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Giorno: 10 Marzo 2021

Coronavirus. L’aggiornamento in Emilia Romagna: 10 marzo 2021.

 

Coronavirus. L’aggiornamento in Emilia-Romagna: su oltre 41mila tamponi effettuati, 2.155 nuovi positivi, di cui 1.018 asintomatici. 1.020 i guariti. Vaccinazioni: 520mila dosi somministrate.

Il 94,2% dei casi attivi è in isolamento a casa, senza sintomi o con sintomi lievi. L’età media nei nuovi positivi è 42,4 anni. 43 i decessi.

Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 287.136 casi di positività, 2.155 in più rispetto a ieri, su un totale di 41.414 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore. La percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti da ieri è del 5,2%.

Continua intanto la campagna vaccinale anti-Covid, che in questa fase riguarda il personale della sanità e delle Cra, compresi i degenti delle residenze per anziani, in maggioranza già immunizzati, gli ultraottantenni in assistenza domiciliare e i loro coniugi, se di 80 o più anni, e le persone dagli 85 anni in su; proseguono le prenotazioni per quelle dagli 80 agli 84 anni, iniziate il 1^ marzo. Poi il personale scolastico e universitario e le forze dell’ordine.

Il conteggio progressivo delle somministrazioni effettuate si può seguire in tempo reale sul portale della Regione Emilia-Romagna dedicato all’argomento: https://salute.regione.emilia-romagna.it/vaccino-anti-covid, che indica anche quante sono le seconde dosi somministrate.

Alle ore 15 sono state somministrate complessivamente 519.796 dosi; sul totale, 164.509 sono seconde dosi, e cioè le persone che hanno completato il ciclo vaccinale.

Prosegue l’attività di controllo e prevenzione: dei nuovi contagiati, 1.018 sono asintomatici individuati nell’ambito delle attività di contact tracing e screening regionali. Complessivamente, tra i nuovi positivi 473 erano già in isolamento al momento dell’esecuzione del tampone, 725 sono stati individuati all’interno di focolai già noti.

L’età media dei nuovi positivi di oggi è 42,4 anni.

Sui 1.018 asintomatici, 560 sono stati individuati grazie all’attività di contact tracing, 50 attraverso i test per le categorie a rischio introdotti dalla Regione, 14 con gli screening sierologici, 21 tramite i test pre-ricovero. Per 373 casi è ancora in corso l’indagine epidemiologica.

La situazione dei contagi nelle province vede Bologna con 661 nuovi casi, poi Rimini (282), Reggio Emilia (272) e Ravenna (269); quindi Ferrara (141), Cesena (131), Forlì (123), Modena (104). Seguono le province di Parma (72), Piacenza (67) e Imola (33).

Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.

Nelle ultime 24 ore sono stati effettuati 23.316 tamponi molecolari, per un totale di 3.599.065. A questi si aggiungono anche 299 test sierologici e 18.098 tamponi rapidi.

Per quanto riguarda le persone complessivamente guarite, sono 1.020 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 216.774.

I casi attivi, cioè i malati effettivi, a oggi sono 59.448 (+1.092 rispetto a ieri). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 56.021 (+1.013), il 94,2% del totale dei casi attivi.

Purtroppo, si registrano 43 nuovi decessi: 2 a Piacenza (due uomini, di 71 e 77 anni); 5 nella provincia di Parma (tre donne di 78, 84 e 89 anni e due uomini di 71 e 80 anni); 2 nella provincia di Reggio Emilia (una donna di 92 anni e un uomo di 68); 4 nella provincia di Modena (una donna di 89 anni e tre uomini di 80, 82 e 84 anni); 19 nella provincia di Bologna (8 donne: di 65, 84, 86 anni, due di 90, una di 93 e due di 95, di cui una residente a Imola; 11 uomini – di 47, 67, 74, 76, 78, 80 anni, due di 82, due di 86 e uno di 89 anni); 4 nella provincia di Ferrara (tutti uomini: di 54, 66, 80 e 91 anni); 4 in provincia di Ravenna (due donne di 84 e 97 anni; due uomini di 84 e 94 anni); 3 in provincia di Forlì-Cesena (due donne di 62 e 98 anni; un uomo di 90 anni). Nessun decesso nella provincia di Rimini.

In totale, dall’inizio dell’epidemia i decessi in regione sono stati 10.914.

I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 333 (+26 rispetto a ieri), 3.094 quelli negli altri reparti Covid (+53).

Sul territorio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono così distribuiti:10 a Piacenza (numero invariato rispetto a ieri), 19 a Parma (+1), 28 a Reggio Emilia (+3), 70 a Modena (+9), 90 a Bologna (+3), 33 a Imola (+5), 31 a Ferrara (invariato), 15 a Ravenna (+1), 4 a Forlì (invariato), 8 a Cesena (+1) e 25 a Rimini (+3).

Questi i casi di positività sul territorio dall’inizio dell’epidemia, che si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: 20.620 a Piacenza (+67 rispetto a ieri, di cui 35 sintomatici), 19.401 a Parma(+72, di cui 46 sintomatici), 35.980 a Reggio Emilia (+272, di cui 113 sintomatici), 49.820 a Modena (+104, di cui 71 sintomatici), 60.736 a Bologna (+661, di cui 301 sintomatici), 10.228 casi a Imola (+33, di cui 16 sintomatici), 16.525 a Ferrara (+141, di cui 29 sintomatici), 21.881 a Ravenna (+269, di cui 174 sintomatici), 10.993 a Forlì (+123, di cui 96 sintomatici), 13.736 a Cesena (+131, di cui 99 sintomatici) e 27.216 a Rimini (+282, di cui 157 sintomatici).

NO Al FORUM MONDIALE DELL’ACQUA A FERRARA
Sbagliata e grave la candidatura del Comune di Ferrara

Da: COMITATO ACQUA PUBBLICA FERRARA e GRUPPO BLU FERRARA

Abbiamo appreso con stupore e rammarico che il sindaco Alan Fabbri ha annunciato che il Comune di Ferrara ha aderito al Comitato promotore nazionale per candidare il nostro Paese a ospitare il Forum Mondiale dell’Acqua nel 2024 e a indicare la nostra città per svolgere un ruolo importante per quell’evento.
Ci teniamo a evidenziare che, a dispetto del nome, il Forum Mondiale dell’Acqua (WWF – World Water Forum) creato dal Consiglio Mondiale dell’Acqua è una sede cui i Governi sono chiamati a partecipare e a discutere sotto l’egida delle più grandi multinazionali del settore, che tentano di ottenere il via libera alla definitiva mercificazione del diritto all’accesso all’acqua e la definitiva privatizzazione dei servizi idrici integrati.
Da sempre i movimenti mondiali per l’acqua – e quello italiano tra loro- contestano la legittimità del Forum Mondiale dell’Acqua, peraltro definito nel 2009 dal Presidente dell’Assemblea dell’ONU, Miguel D’Escoto Brockmann come profondamente influenzato dalle società idriche private e strutturato in modo da precludere ogni possibilità che i principi relativi al riconoscimento del diritto all’accesso all’acqua e la tutela di questo bene siano le priorità della propria iniziativa.

Anzichè accodarsi alle schiere dei privatizzatori del servizio idrico e delle grandi aziende multinazionali che ne sono le principali protagoniste, avremmo voluto che il sindaco della nostra città si fosse pronunciato contro la quotazione in Borsa dell’acqua nelle Borse di Chicago e Wall Street, avvenuto alla fine dell’anno scorso, che segna non solo la totale mercificazioe dell’acqua, ma anche il fatto che su di essa si possa tranquillamente speculare.
Oppure ricordare che, sempre nel 2024, scade nel territorio ferrarese la concessione del servizio idrico a Hera, azienda quotata in Borsa e ispirata da una logica privatistica, e che dunque è possibile passare ad una gestione pubblica e partecipata del servizio idrico, dando attuazione ai referendum sull’acqua del 2011.
Confidiamo comunque che il sindaco si esprima su questi punti e, per parte nostra, continueremo a batterci perché il nostro Paese non ospiti nel 2024 il Forum Mondiale dell’Acqua e per salvaguardare la risorsa acqua come bene comune e per ripubblicizzare il servizio idrico.

COMITATO ACQUA PUBBLICA FERRARA
GRUPPO BLU FERRARA

Agricoltura: Il bilancio del Piano di sviluppo rurale 2014-2020.

 

Agricoltura: Il bilancio del Piano di sviluppo rurale 2014-2020: ad oggi, su oltre un miliardo di fondi Ue investiti, già erogato dalla Regione il 72% del totale, 843 milioni di euro.

L’Europa plaude al risultato raggiunto dalla Regione nei pagamenti del Piano di sviluppo rurale: con 10 mesi di anticipo raggiunta la soglia comunitaria per evitare il disimpegno dei fondi non utilizzati entro il 2021. Mammi: “Una capacità di erogare i contributi che conferisce all’Emilia-Romagna un primato in ambito nazionale”

Bologna – La Regione accelera sui contributi pagati sui bandi del Programma di sviluppo rurale e rispetta, con ben 10 mesi di anticipo, il termine ultimo per assegnare i fondi, evitando il disimpegno dei fondi non utilizzati entro il 2021.
“Un risultato davvero significativo”, secondo la Direzione generale Agri della Commissione europea, che nel corso di un incontro con la Regione ha fatto il punto sull’attuazione del Psr dell’Emilia-Romagna.
Dagli inizi della programmazione a oggi i pagamenti erogati in termini di spesa pubblica  hanno superato gli 843 milioni di euro, il 72% della disponibilità complessiva del Piano di sviluppo rurale 2014-2020  che in Emilia-Romagna ammonta a 1 miliardo e 170 milioni di euro.

“Un risultato ottenuto in un anno particolarmente difficile causa la pandemia in corso- ha commentato l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi-, che ha comportato il ricorso a misure straordinarie di adeguamento dei procedimenti e in alcuni casi anche allo slittamento delle date di chiusura dei progetti. Si conferma la capacità amministrativa della nostra Regione nel sostenere il comparto agricolo, dalle singole imprese alle organizzazioni, dagli agriturismi alle piccole realtà. È fondamentale spendere tutte le risorse che la Commissione Europea mette a disposizione delle imprese agricole e spenderle bene, e l’Emilia-Romagna consegue di nuovo questo obiettivo con 10 mesi di anticipo sulle scadenze, lavorando per stimolare la competitività del nostro settore agricolo e agroalimentare”.

Nel corso dell’incontro, è stato affrontato anche il tema della programmazione del Psr per i prossimi due anni: infatti col regolamento n. 2220 del 23 dicembre 2020 la Commissione europea ha disposto l’estensione dell’attuale Psr 2014-20 fino al 2022.

Infine, il punto sul progamma  Leader cheopera nelle aree svantaggiate tra cui montagna e basso ferrarese. Anche in questo caso e malgrado la partenza ritardata di Leader di un anno rispetto al resto del Psr, i Gruppi di azione locale, le partnership tra enti pubblici e soggetti privati che hanno come obiettivo lo sviluppo economico e l’occupazione  nelle zone rurali,   hanno già concesso in media contributi per oltre il 63%  delle proprie disponibilità che ammontano a 41 milioni di euro.

 

L’impatto della pandemia sul lavoro femminile:
tutti i dati del rapporto realizzato dalla Regione.

 

Pari opportunità. L’impatto della pandemia sul lavoro femminile. Tutti i dati del Rapporto realizzato dalla Regione. Assessora Barbara Lori: “Valorizzare il ruolo delle donne strategico per uno sviluppo sostenibile, equo ed inclusivo”. In Emilia-Romagna una situazione di partenza in linea con le più avanzate regioni europee, ma la crisi ha acuito ritardi e criticità.

Su 100 posizioni perse nel settore ‘Commercio, alberghi e ristoranti’ 55 riguardano donne, quota che sale a 81 ogni 100 negli ‘altri servizi’. Ancora inferiore a quello maschile il lavoro fuori casa (25 contro 36 ore settimanali), mentre quello domestico e di cura resta in gran parte sulle spalle di mogli e madri. L’impegno della Regione per fare della questione femminile una priorità trasversale a tutti i settori

Bologna – Una situazione di partenza migliore, in linea con le più avanzate realtà europee, ma che presenta ancora criticità, che la crisi sanitaria, economica e sociale provocata dalla pandemia ha aggravato. In Emilia-Romagna le donne lavorano fuori casa in media 5 ore di più di quanto accade nel resto del paese, ma pur sempre in misura inferiore rispetto agli uomini: 25 contro 36 ore settimanali. Mentre il lavoro di cura e domestico continua a restare in misura sostanziale sulle loro spalle: 23 contro le 7,38 ore maschili, un dato non troppo diverso da quello registrato nel resto del Paese (26 ore contro 7).Una disomogeneità dei carichi di lavoro messa in evidenza in questi mesi anche della distribuzione dello smart working.  A fronte di un incremento del 23% di quello maschile, è cresciuto del 58% quello femminile per far fronte alla chiusura di scuole e servizi per l’infanzia.

Sono alcuni dei dati contenuti nel Rapporto “Emergenza Covid: l’impatto sulle donne e le azioni promosse dalla Regione Emilia-Romagna“. Realizzato dalla Regione e presentato oggi in video conferenza stampa dall’assessora regionale alle Pari opportunità Barbara Lori, il report analizza l’impatto di genere delle politiche regionali attuate nel periodo della pandemia.

“Nonostante si confermi una delle migliori realtà italiane in tema di occupazione femminile, anche l’Emilia-Romagna ha fatto le spese di un lockdown che ha acuito le disuguaglianze.  Ecco perché valorizzare il ruolo e la partecipazione delle donne nell’economia e nella società regionale è fondamentale per la ripresa ed è strategico per generare uno sviluppo sostenibile, equo ed inclusivo, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 – spiega l’assessora alle Pari opportunità, Barbara Lori-. In quest’ottica abbiamo convocato il ‘Tavolo regionale permanente per le politiche di genere’ con focus tematico sul lavoro femminile, con l’intento di raccogliere criticità e suggerimenti. Per avviare azioni e progettualità sia a fronte all’emergenza Covid, sia di tipo più strutturale, migliorando la presenza femminile nel mondo del lavoro. Ciò ha consentito di approfondire il tema in tutti i suoi aspetti: da quello educativo e formativo, alla condivisione delle responsabilità di assistenza familiare e alla predisposizione di adeguate misure di sostegno alla famiglia, fino alla stabilità occupazionale e alla concreta possibilità di realizzare i propri percorsi di carriera al pari dei colleghi uomini.”

La solida rete di servizi di conciliazione, il forte investimento nell’istruzione e nella formazione professionale, gli  interventi e servizi per l’infanzia, le persone anziane e disabili non autosufficienti e l’impegno comune verso un’occupazione piena e di qualità.

Certamente in Emilia-Romagna negli anni sono stati conseguiti risultati importanti. Tuttavia anche lungo la Via Emilia sono state proprio le donne a pagare il prezzo più alto della pandemia: non solo sul fronte delle violenze domestiche drammaticamente aggravate dal lockdown, ma anche sul fronte occupazionale, come evidenziamo i dati Istat riferiti a questo territorio.

Per tutto il 2020 si sono verificate ripetute flessioni congiunturali dell’occupazione con un legame diretto con le misure di contenimento dell’epidemia. Gli effetti più importanti si sono manifestati tra marzo e giugno 2020 – con oltre 37mila posizioni dipendenti perse, di cui oltre 22mila femminili, pari al 60%.

La riapertura delle attività ha comportato una ripresa dell’occupazione nel terzo trimestre con un recupero del 53,7% delle posizioni di lavoro dipendente perdute nel periodo precedente, peraltro in misura più favorevole proprio per le donne (+ 14 mila) che per gli uomini (+ 5mila).

Ma non abbastanza. L’analisi per genere in alcuni settori continua infatti a indicare ancora una maggiore penalizzazione della componente femminile dell’occupazione: su 100 posizioni perse nel settore ‘Commercio, alberghi e ristoranti’ 55 riguardano donne, quota che sale a 81 posizioni femminili perse ogni 100 negli ‘altri servizi’.

Obiettivo lavoro:
Dal nuovo “Patto per il lavoro e il clima”, al “Tavolo permanente per le politiche di genere” (che riunisce Centri anti violenza, Enti locali, sindacati, Rappresentanze economiche e sociali, oltre ai principali organismi di garanzia del settore), all’ “Area integrazione del punto di vista di genere” formata da rappresentanti di tutte le Direzioni generali, la questione femminile è trasversale a tutte le politiche regionali. E dovrà tradursi in una sempre maggior attenzione a favore di provvedimenti concreti per quanto riguarda innanzi tutto il settore del lavoro e formazione.

Ma tanto è stato fatto.  Sono 42 i progetti per favorire l’accesso al lavoro, i percorsi di carriera e la promozione di progetti di welfare aziendale. Promossi da Enti locali e da Associazioni del privato sociale e sostenuti dalla Regione con 1 milione di euro sono attualmente in corso. La loro scadenza è stata infatti prorogata al primo semestre 2021, a causa dell’emergenza Covid.

E poi il sostegno all’imprenditoria femminile attraverso il Fondo Starter: nel corso del 2020 sono stati erogati 83 finanziamenti ad altrettante imprese femminili per oltre 4,6 milioni di euro, mentre sono state 59 le imprese e le professioni femminili che hanno potuto usufruire di 1,2 milioni di euro grazie al Fondo Microcredito.

Passando per il sostegno alle competenze digitali, requisito importante per garantire migliori opportunità occupazionali, con 4 milioni di euro nel 2020; i servizi attivi per il lavoro con 28.251 persone, in maggioranza donne (14.734), che sempre nel 2020 hanno potuto usufruire di interventi formativi; la Carta della responsabilità sociale d’impresa: obbligatoria per partecipare ai bandi regionali e che impegna le aziende che la sottoscrivono a perseguire azioni per le pari opportunità.

Senza dimenticare gli interventi e i servizi relativi al diritto allo studio scolastico e universitario. A livello universitario, dai dati raccolti risulta che è costituito da studentesse il 60% dei 23.983 beneficiari di borse di studio dell’a.a. 2019/2020.

A fianco delle donne vittime di violenza:

Nel periodo marzo-giugno 2020 sono state 804 le telefonate arrivate dall’Emilia-Romagna al numero anti-violenza 1522 per chiedere aiuto, protezione o consulenza: più del doppio delle chiamate registrate nello stesso periodo del 2019 (365). In forte crescita anche la frequenza dei primi contatti, passati da 289 di marzo-giugno 2019 a 683 nel 2020 (+394 casi).

Un’emergenza cui la Regione ha risposto sostenendo con un finanziamento di 357mila euro da destinare a Comuni e Unioni di Comuni – oltre che con una specifica campagna di comunicazione – la rete dei 21 centri antiviolenza. Una realtà capillare cui si aggiungono 41 case rifugio e 16 centri per uomini maltrattanti, di cui 7 pubblici e 9 del privato sociale.

Nell’anno appena trascorso la Regione è stata destinataria di un finanziamento statale di quasi 2 milioni di euro per il mantenimento dei Centri antiviolenza e delle case rifugio esistenti.

Non solo: per accompagnare le donne vittime di violenza nel difficile cammino verso una ritrovata indipendenza, la Regione ha stanziato nel 2020 658mila euro in favore degli Enti Locali. Obiettivo: realizzare interventi per il sostegno abitativo e l’accompagnamento nei percorsi di fuori uscita dalla violenza di genere, grazie all’erogazione di voucher fino a 6mila euro a donna.

 

La rete dei servizi:

Una rete di servizi solida, diffusa e capillare. E che gioca un ruolo fondamentale nel garantire pari opportunità alle donne.

In Emilia-Romagna l’88,8% dei Comuni ha un servizio di asilo nido, l’89,6% offrono servizi per l’infanzia. I corrispondenti dati nazionali sono 56,6% e 59,6%.

Tra le prime azioni della Regione, all’indomani del lockdown è stata quella di assicurare la riapertura dei centri estivie anche per il 2020 sono state stanziate risorse per garantire una maggiore partecipazione e venire incontro alle esigenze dei genitori che lavorano.  Per aiutare le famiglie nel pagamento delle rette la Regione ha stanziato anche nel 2020 6 milioni di euro, provenienti dal Fondo sociale europeo, mentre a supporto della riorganizzazione in sicurezza dei centri estivi sono arrivati ai Comuni dell’Emilia-Romagna quasi 10 milioni di euro stanziati dal Governo con il Decreto Rilancio.

Ma non solo: nel 2020 una quota significativa del Fondo sociale regionale – 28,2 milioni su oltre 49 milioni di euro, – è stata dedicata a rafforzare i servizi e gli interventi a favore dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia. A settembre 2020 tale fondo è stato aumentato di 6,3 milioni di euro, per rafforzare ulteriormente gli interventi previsti, facendolo salire a 55 milioni.

Nel 2020 a causa dell’emergenza sanitaria i 40 Centri per le famiglie esistenti in Emilia-Romagna hanno spostato velocemente molte attività on line (es. consulenze educative, counselling psicologico, ecc.). Così anche i gruppi di preparazione alla nascita con molte adesioni e molta partecipazione. Sono state organizzate attività di supporto per genitori di bambini disabili, eventi formativi e di confronto dedicate alle donne straniere.

La pandemia da Covid-19 ha colpito molto duramente le persone non autosufficienti, le loro famiglie e gli operatori della rete dei servizi socio-sanitari. Fin dalle prime fasi dell’emergenza, è emerso il problema del sostegno al domicilio delle persone con disabilità, delle persone anziane e dei caregivers. Un impatto particolarmente forte sulle donne che tendono a sostenere il maggior peso delle attività di cura all’interno della famiglia, anche se nel lungo termine questo gap sta via via diminuendo.

Vite di carta /
“Casa d’altri”, il racconto perfetto di Silvio D’Arzo

Vite di carta. “Casa d’altri”, il racconto perfetto di Silvio D’Arzo

Così è stato definito da Eugenio Montale: “un racconto perfetto”. Mi riferisco a Casa d’altri, scritto nel 1947 da Ezio Comparoni, un giovane autore di Reggio Emilia che per pubblicazioni precedenti si era dotato di altri pseudonimi e che per questo suo racconto lungo aveva scelto di firmarsi Silvio D’Arzo. Ho ritrovato  il suo nome in appunti ormai datati, presi a un corso d’aggiornamento per docenti di letteratura italiana; il relatore era il grande Andrea Battistini, che ne caldeggiò la lettura a chi gli chiedeva quali fossero gli autori canonici del Novecento. E’ passato anche troppo tempo, ora voglio conoscerlo. Per prima cosa cerco negli scaffali della mia libreria e trovo quasi subito un volumetto che ho comprato all’epoca, L’uomo che camminava per le strade: una raccolta di racconti dello stesso D’Arzo uscita nel 1993 a cura di Daniele Garbuglia, in cui è riportata una buona bibliografia sull’autore; da lì spicca il nome di Eraldo Affinati come curatore dell’opera saggistica di D’Arzo, raccolta sotto il titolo Contea inglese.

Ho conosciuto Affinati e letto il suo intenso L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani; so che lavora con passione e scrive con sguardo profondo. Si aggiunge a Montale e a Battistini nello spingermi verso questo giovane scrittore reggiano che era del 1920, come mio padre, e come me si era laureato in Lettere a Bologna, lui però a soli 21 anni. Un grande talento morto a 32 anni di leucemia. Non so da cosa vi facciate convincere voi nelle scelte di lettura, io sono piuttosto sensibile alle parabole di vita così segnate dalla tyche e mi lascio guidare volentieri dal giudizio di coloro che mi sono maestri.

Eccomi dunque con il volumetto dei racconti tra le mani. Scelgo di leggere in ordine casuale i testi che vi sono raccolti e sono ben contenta che Casa d’altri qui non ci sia. Sento che devo rispettare delle tappe di avvicinamento al capolavoro. Vado solo a sbirciare le poche righe che lo riassumono nella edizione Einaudi del 1980, che intanto mi sono procurata, in cui la introduzione è scritta proprio da Affinati: i protagonisti sono un prete e una vecchia. Il fulcro della storia ruota intorno a una domanda che la donna rivolge al prete. Mi piace. Mi piace che i personaggi siano persone così e che le parole scambiate tra loro stiano al centro del racconto.

Comincio a leggere e la voce narrante, che è quella del parroco di un paese dell’Appennino reggiano, mi introduce alla povera vita che si conduceva lassù poco dopo la fine della seconda guerra. Nelle pagine iniziali siamo dentro la vita quotidiana del prete: sta lasciando la casa di un morto e dà le disposizioni per il funerale del giorno seguente; incontra il giovane parroco del paese vicino che è appena arrivato ed è pieno di iniziative e lo raggela dicendogli che lì, nella zona di Montelice, la vita non cambia mai, non succede niente di niente.

C’è un giorno diverso, però. L’esordio della storia è nei fatti che vi accadono sul far della sera: il prete sta tornando a casa e nota una donna che giù nel canale lava dei panni. E’ sola nella natura autunnale dalle tinte viola e tiene vicina a sé una capra. Il parroco non la conosce: deve essere venuta a vivere qui da poco; la pensa come un “uccello sbrancato” e nei giorni che seguono ripensa a lei. Si aspetta che prima o poi vada da lui a parlargli, come fanno tutte. Da lui che si è ridotto a essere “un prete da sagre e nient’altro”, mentre ai tempi del seminario veniva chiamato doctor ironicus per la sua arguzia. Vecchio lui, ormai, e vecchia e solitaria lei. Per molte sere ripassa dal punto in cui l’ha vista la prima volta, solo per inquadrarla un momento nel freddo della sera, mentre la luce se ne va.

È amore. Rileggo alcuni passaggi per comprenderlo. Amore fulmineo, è predilezione e attrazione totale. Solo che D’Arzo dissemina brevi segnali linguistici di questo terremoto interiore che travolge il parroco e li distribuisce nei suoi pensieri, a piccoli dosaggi. Mentre le giornate scorrono, apparentemente uguali, il prete non pensa ad altro che ad allontanarsi da casa sul far della sera per rivedere la vecchia. Assume anche informazioni su di lei e viene a saperne il nome, Zelinda, e l’età, sessantatre anni. Fa la lavandaia e fatica da mattina a sera con la sola compagnia della sua capra. “Mai una volta alla processione: mai ai Vespri: mai in chiesa”. Una sorta di Lupa verghiana.

Attendo che arrivi la domanda fatidica che lei rivolge al prete tempo dopo, la sera in cui hanno camminato insieme per un tratto di strada. Ora sono giunti sulla soglia della casa di lei, sull’estrema soglia mi verrebbe da dire, e lei chiede: “se in qualche caso speciale…qualcuno potesse avere il permesso di finire un po’ prima”. Ecco, di nuovo non capisco. Ritorno indietro alle pagine in cui il prete si accorge della vita faticosa che Zelinda porta avanti, un giorno dopo l’altro. Non ho considerato abbastanza “il male di vivere” che la riguarda. Ho voluto cercare nelle pagine solo i segnali dell’attrazione che il prete prova per lei, scomodando lo Stilnovo con i suoi nodi concettuali: lo sguardo che innamora l’uomo, la visione epifanica della donna e il suo incedere e la sua ritrosia, come elemento che ancor più incatena l’amante.

Devo aver seguito una falsa pista di lettura. Non solo, ammetto che fatico a rapportarmi allo stile di questo testo: ora  trasmette mille echi letterari che me lo rendono familiare, da Manzoni a Fenoglio, da Verga a Machiavelli, ora mi torna estraneo e diverso da ogni altro racconto o romanzo del Novecento che ho attraversato. Saranno le frasi brevi, dal tono perentorio. Frasi costruite spesso su battute popolari che comprendo solo in parte. E sì che sono emiliana come l’autore. Il ritmo narrativo è segmentato e si alternano asserzioni dalla carica semantica sempre diversa: una breve frase sul tempo autunnale già freddo, la successiva sui gesti del personaggio, quella dopo sugli universali della vita e della morte. Non so se mi piace. Capisco che nel mio ruolo di lettore sono in cammino e la strada non è agevole. Lo stile di Silvio D’Arzo un minuto mi fa sentire ‘a casa’ e un minuto dopo mi ha tolto ogni certezza. Meno male che l’introduzione di Affinati mi soccorre ed è un raffinato scavo dentro al testo, di cui fa emergere lo straordinario valore letterario.

Ho recuperato il senso della domanda:  Zelinda vuole sapere se è permesso che qualcuno si tolga la vita, che lei ponga fine alla sua. Cosa le risponde il nostro prete, che in lunghi anni di ministero pastorale a Montelice ha celebrato matrimoni alla buona, cresimato ragazzi e messo d’accordo “sette caprai per un fazzoletto di pascolo”? Dice egli stesso “Sul momento non mi venne parola. Ma poi no, non fu neanche così: alla bocca mi salirono parole e parole e raccomandazioni e consigli e ‘per carità’ e ‘cosa dite’…Tutte cose d’altri, però…Di mio non una mezza parola: e lì invece ci voleva qualcosa di nuovo e di mio, e tutto il resto era meno di niente”. È una risposta inadeguata. Nella studiata simmetria del testo spicca l’asimmetria tra i ”cosa dite”, convenzionali, e la profondità filosofica della domanda.

Il prete da sagre chiude il suo racconto con due brevi sequenze: l’una nella casa di Zelinda, dove la salma di lei viene lavata e il pianto funebre sta per cominciare. L’altra quando, qualche tempo dopo, incontra il prete di Braino e trova che la vita del paese lo ha ingrassato. I segni del tempo che è trascorso sono tutti qui: le morti che si sono succedute (anche Melide, la perpetua, non c’è più), i chili che il curato ancor giovane ha messo su nella monotona vita della montagna.

“Allora mi vien sempre più da pensare ch’è ormai ora di preparare le valige per me e senza chiasso partir verso casa. Credo d’avere anche il biglietto. Tutto questo è piuttosto monotono, no?”
Casa? Penso che voglia intendere la vera casa, in cui un parroco aspira a tornare più di ogni altro, la casa del Padre. Anche se la relazione tra le persone del racconto è tutta orizzontale e la religiosità di Zelinda, che vuole morire e degli altri che restano a vivere, si consuma nei riti che essi compiono e nelle liturgie. Questa terra è casa d’altri. Così come cose d’altri sono le parole inadeguate, le parole trite. Credo di avere afferrato il senso che regge il racconto.
Mi tiro un po’ su, ma il cammino dentro questo testo è ancora lungo.

Nell’articolo faccio riferimento ai seguenti testi:
– Silvio D’Arzo, L’uomo che camminava per le strade, a cura di Daniele Garbuglia, Quodlibet, 1993
– Silvio D’Arzo, Casa d’altri e altri racconti, a cura di Eraldo Affinati, Einaudi, 1980
– Eraldo Affinati, L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani, Mondadori, 2016

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari della rubrica di Roberta Barbieri clicca [Qui]

DIARIO IN PUBBLICO
Il semi-vaccinato: notizie dal fronte

 

E finalmente, nonché orgogliosamente, mi presento alla Fiera per ricevere l’agognata prima dose di vaccino anti-Covid. L’organizzazione è perfetta, aiutata anche dal rispetto che i giovani medici, infermieri, assistenti sanitari, laureandi professano nei confronti dei ‘fragili’ vecchietti. L’infermiere che mi pungerà mi accoglie con un sonoro: “Buonasera, Gian Antonio!” e alla risata che accompagna la mia sorpresa ad essere chiamato così rispondo che il pomposo doppio nome da decenni è sostituito dal più pratico Gianni. Mi sento dentro un po’ troppo radical chic nel distinguere tra il nome affibbiatomi dalla levatrice Carolina – mamma consenziente – e il nom de plume più pratico e meno ‘artistico’.

Nella sala di attesa, dopo la vaccinazione, corrono veloci le ultime notizie, tra cui quella della presenza del celebre presidente di Ferrara Arte, venuto ad ispezionare la zona dove verrà collocata l’enorme installazione di Gaetano Pesce della poltrona-donna trafitta dalle frecce, regalata dall’artista alla nostra città; ma invano si tenterà di estorcermi qualsiasi giudizio sulla Maestà sofferente. Si ha diritto anche alla privacy del giudizio.

A casa, sentendomi in forma, senza quei piccoli disturbi che di solito accompagnano, si dice, la somministrazione del vaccino, mi sistemo in poltrona, pronto a sfidare la riprovazione dei miei amici culturalmente più schizzinosi e quindi a vedere ed ascoltare il Festival di Sanremo e da quel momento…. mi si prospetta una visione del mondo che mai avrei saputo immaginare. Una specie di gigante che, mi dicono, sia un grande giocatore di calcio pronuncia detti da terzo millennio con un sorriso malvagio e immediatamente si sviluppa una discussione se il numero delle sue scarpe sia il 46 o non invece il 47! Rattristato dalla mia docta ignorantia tendo l’orecchio al canto di personaggi che raccontano al nulla la loro esperienza di vita. Uno poi agita una treccia lunga metri con una vaga rassomiglianza con la mia adorata Mina.

Poi ecco arriva LEI. Meravigliosa. Una apparizione avvolta in sete e lustrini dove tutto è tondo: viso, corpo, vestiti e ricami. È la splendida Orietta Berti, che porta con somma grazia le cappe sante ricamate dovunque, quasi fosse appena tornata dal cammino di Compostela o dal Mont Saint-Michel. Canta una canzone dedicata all’amore della sua vita, il mitico Osvaldo, e immagino la lacrimuccia che spunta sulle ciglia della casalinga di Voghera, come avrebbe commentato il sublime Arbasino. Poi, tra le spiritosaggini del nasuto Amadeus e del suo compare di lazzi Fiorello, si apre un commento apparentemente serio tenuto dalle signore dell’informazione: Giovanna Botteri e Barbara Palombelli. Una serie di banalità tutte condivisibili. E in un momento privilegiato eccola, la grande, immensa Ornella Vanoni. Il volto è una maschera orrenda dove s’aprono due occhi che trafiggono; la bocca una pompa di reflusso, che nulla ha di umano. E un apparente modesto vestito nero fa intravvedere, velato, un maestoso seno di ottantenne che raggiunge agevolmente l’ombelico. Ma appena intona il suo canto ecco che la magia ritorna e quella voce racconta e ci dice che non sono solo canzonette.

Oggi, festa della donna, vado al mercato in compagnia di Lapo, un delizioso peloso che sempre più mi rende difficile e quasi insopportabile l’assenza di un’altra, Lilla. Ma la realtà implacabile si fa strada: alla nostra età non possiamo permettercela. Quasi disperato saccheggio lo stand dei fiori e fresie, margherite, tulipani, giacinti invadono la casa. Fra pochissimo il tempo scandirà un altro anno di vita reale e, incalzato a scegliermi un regalo, cerco invano tra libri, dischi, cachemire e scarpe qualcosa che possa contrastare l’effetto pandemico. Invano.

La crudele giornata si conclude con ciò che temevo di più. Il grande congresso pavesiano che si terrà a Parigi non può essere fatto né in presenza né in autunno, bensì ad Aprile, perciò mi si invita mestamente ad accettare le regole della ‘distanza’ e parlare in piattaforma.

Peccato.

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In copertina: Ornella Vanoni, Raffaella Carrà e Orietta Berti, 1960 (Wikimedia Commons)

Il caso singolare di Gian Pietro Testa e del suo nuovo libro

Il giornalista Gian Pietro Testa arrivò per primo quel 5 giugno 1975 sul luogo dove fu ammazzata la brigatista Mara Cagol. Con questo ricordo si apre Il caso singolare di Gesù e della cagnetta Evaristo, edizioni La Carmelina, con prefazione dell’attore Giuseppe Gandini, un libro che vorrei fosse Gian Pietro a raccontare perché ogni suo ricordo è un pezzo di storia d’Italia, di giornalismo e di umanità. In questo breve libro, parla Fraschenor, cioè Giuseppe Mazzini, un personaggio che accompagna Testa nei suoi romanzi da diversi anni e che, dopo avere scelto di non parlare più arroccandosi solo nel suo pensiero, o meglio, in un pensiero che pensa di pensare, tornare a parlare, vivere, ricordare, soprattutto interrogarsi.
Ma c’è un ghiribizzo, un pensiero bizzarro e dittatore senza capo né coda che dialoga con Fraschenor Mazzini, gli si pone di fronte e prende il largo, si chiede se la Madonna avesse abortito cosa sarebbe successo: “non ci sarebbe stato tutto quel guazzabuglio di scontri, di balle, di guerre, non ci sarebbero stati i 76 Papi, no quelli sarebbero esistiti, forse non vestiti di bianco, ma pur di comandare avrebbero indossato un paio di calzoni blu e una camicia rossa, e forse ciò non è avvenuto per la semplice ragione che il soldato italiano si sarebbe confuso con quello vaticano”.
Giuseppe Gandini, che una quindicina d’anni fa portò a teatro Lettera semiseria di un comunista a signore Dio illustrissimo di Gian Pietro Testa, firma la prefazione di quest’ultima pubblicazione parlando di ballata, di uno scritto intriso di misticismo materialista. Gian Pietro Testa, che rimane uno dei giornalisti e degli intellettuali più lucidi del nostro tempo, va ancora una volta letto per quello che racconta e per come lo racconta.