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È terminata da qualche giorno la mostra rodigina presso il Palazzo Roverella del pittore russo Kandinsky padre dell’astrattismo. Ben organizzata anche se piccolina, la mostra è stata apprezzata da migliaia di visitatori.
Grandi tele famose al fianco di quelle più piccole meno conosciute. Colori su tela, su vetro, xilografie, raffiguranti linee e forme astratte o scene fiabesche; a richiamo delle tradizionali icone russe oppure tendenti all’impressionismo francese. E poi le idee del pittore. Le frasi, testimonianze scritte, la pittura concettualmente enunciata e la sua personalissima visione del mondo a colori.

Una di queste si concentra sul bianco. Lui – a detta della guida che ci ha accompagnato – pareva fosse ossessionato dal nero. Da quando una chiazza gli cadde per sbaglio su una tela, lo convinse che sarebbe stato come un baratro da evitare. Pochi i quadri che dopo questo episodio, vedono il nero padrone della tela, solo qualche linea sottile nel bianco puro a sottolineare o colori e dividere gli spazi.

“Il bianco […] è come un simbolo di un mondo in cui tutti i colori, come proprietà e sostanze materiali, sono scomparsi. Questo mondo è così lontano sopra di noi che non possiamo percepire alcun suono. Da là viene un grande silenzio che, rappresentato materialmente, ci si presenta come un freddo muro insormontabile, che si prolunga all’infinito. […] É un silenzio che non è morto, bensì ricco di possibilità. Il suono del bianco è come un silenzio di cui all’improvviso si riesce a capire il significato.”

Per Kandinsky i colori erano come le note. Ogni colore ha un effetto sulla psiche ed è come se producesse un suono: il rosso così vivace è il suono di una tuba, l’arancione energico risuona come una campana, il giallo squilla come una tromba, il verde armonico ricorda un violino, il blu è un flauto, quieto e profondo, il viola instabile ha la voce della zampogna. Mescolati sulla tela bianca sono un concerto senza parole, come l’arte astratta e la pittura che per risuonare negli occhi dell’osservatore, possono parlare anche senza forme.

Il bianco allora è silenzio, in un mondo lontano, quasi fuori dal nostro; la base sulla quale si muove sinuosa la melodia dei colori, il suono delle forme non complete. Da ricomporre nella stretta percezione della nostra retina.

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Ambra Simeone

Ambra è nata in un paese di mare e ogni volta che si trova in un posto nuovo, lì lascia qualche goccia salmastra. Quando scrive si lascia trasportare dalle brezze marine, quando disegna non usa squadre o righelli, e per entrambe le cose la bussola fa più di un giro. Quello che legge e ascolta non è assimilabile ad un solo genere, perché per lei le parole e la musica non seguono nessuna corrente.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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