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Il rito che accompagna il nuovo anno testimonia la necessità di scandire il tempo lineare della vita che scorre sempre in fretta, dando a esso un significato. Gli auguri che ci scambiamo esprimono soprattutto il bisogno di caricare di speranza il futuro, in primo luogo quello che riguarda noi stessi, e poi anche quello che riguarda la società in cui viviamo. “Anno nuovo e vita nuova” è la sintesi popolare che sorregge questa universale esigenza: pensare il cambiamento, renderlo permeabile alla speranza che sapremo migliorare noi stessi e ciò che sta attorno a noi.
Per un dispositivo psicologico ci piace pensare che girare la pagina di un calendario possa rappresentare un elemento facilitatore per esprimere desideri, per sostenere propositi mai mantenuti e, prima di tutto, per essere più saggi. Ognuno si dà obiettivi personali ed esprime le proprie speranze a modo suo. Facciamo bilanci, ripercorriamo gli elementi salienti dell’anno passato. Esorcizziamo le paure di un futuro che per definizione non conosciamo con il grande rito collettivo degli auguri.
Lo stesso accade per quanto riguarda la vita pubblica. Quest’anno i commenti di molti autorevoli quotidiani interpretano un sentimento diffuso: la divaricazione crescente tra le attese positive per la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica e la sfiducia rispetto alle possibilità di sciogliere i nodi relativi al contesto socio-economico e a un assetto politico-istituzionale in uno stato di persistente fragilità. Si preconizzano nuove tecnologie capaci di prestazioni fino ad oggi impensabili, come un treno ad altissima velocità tra Milano e Roma o scoperte scientifiche in grado di migliorare la cura di molte malattie: per esempio si annuncia il vaccino contro il virus dell’ebola nel prossimo anno, mentre si proclama che nel 2015 per la prima volta il vaiolo non ha fatto più vittime in Africa.

Tuttavia il 2015 sembra aver aumentato l’incertezza al di là dei ricorrenti riferimenti al ritrovato ottimismo. Per quanto riguarda lo scenario socio-economico, il 2016 dovrà fronteggiare gli stessi problemi dell’anno passato. Come potrebbe non essere così, del resto? Prevale la generale convinzione che le gravi questioni che abbiamo affrontato nell’anno appena finito non siano alle spalle. Dovremo convivere con il rischio del terrorismo, confidando che i governi sappiano coordinare strategie efficaci per arginarlo e sconfiggerlo. Dovremo fare i conti con imponenti processi migratori fino a ora rimossi o accettati in nome della solidarietà, senza un ragionamento ampio sulle condizioni necessarie per fronteggiarli positivamente e senza democrazie solide ed efficienti in grado di favorire l’inclusione. Dovremo convivere con le difficoltà della politica nel fare i conti con le crescenti diseguaglianze sociali e regionali, con una crescita economica bassa, con la difficoltà di creare occasioni di lavoro per tutti, con un sistema dell’istruzione non all’altezza delle sfide, con la persistente sfiducia diffusa e un paese a due velocità. Dovremo convivere con una politica assestata su scorciatoie demagogiche e che non sembra in grado di fare un coraggioso investimento nella qualità dei rappresentanti.
In questo quadro dai toni preoccupanti l’unico ancoraggio sembrano gli inviti alla responsabilità individuale opportunamente richiamati dal presidente Mattarella. Se prendiamo sul serio gli auguri che ci scambiamo all’inizio dell’anno, non ci resta che partire da qui, non perché ciò sia sufficiente, ma perché è ciò che comunque ci compete.

Maura Franchi vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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