Abbado, lo sguardo oltre il palco: passione civile e attenzione verso i giovani
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Di Claudio Abbado mi piace ricordare due aspetti singolari del suo essere un grande direttore e un grande artista. Due modi di intendere il proprio ruolo che ne fanno una personalità rara se non unica nel grande panorama culturale italiano ed europeo.
La sua attenzione verso i giovani, la sua costante passione civile.
Sono caratteristiche che ho avuto il privilegio di toccare con mano più volte, negli anni in cui Abbado aveva scelto, per generosità, Ferrara come una delle sedi della sua poliedrica attività musicale e culturale nel mondo.

Verso i giovani talenti il Maestro aveva non solo una particolare sensibilità ma la volontà costante di creare sempre nuove occasioni per impegnarli e valorizzarne le esperienze.
Basti pensare che a Ferrara o da Ferrara Abbado ha dato vita a due orchestre giovanili che hanno suonato e continuano a suonare nei più importanti teatri e sale da concerto d’Europa. Al fatto che Daniel Harding considera Ferrara come il luogo della sua maturazione come direttore d’orchestra. Alla promozione che Claudio Abbado ha fatto della Simòn Bolìvar Youth Orchestra del Venezuela e del suo giovane direttore Gustavo Dudamel, all’aiuto che ha sempre voluto fornire alla Scuola di Musica di Fiesole.
Ma il personale rapporto che Abbado aveva con i giovani musicisti delle sue orchestre si apprezzava soprattutto sul campo, potendo assistere alle prove per l’esecuzione dei concerti e delle opere liriche che decideva di eseguire.
Questa, una delle esperienze più belle e istruttive che si possano ricordare, per l’atmosfera del tutto originale, impegnata e spontanea insieme, allegra, quasi giocosa a volte, e nello stesso tempo serissima come meritava una lezione di altissimo livello. Ma più che un professore, Claudio (come era obbligo chiamarlo), sembrava un fratello maggiore prodigo di consigli, un compagno di corso più anziano pronto a suggerire ed aiutare i colleghi meno esperti. Instancabile nello spiegare, sempre amabilmente, cosa c’era davvero scritto dietro le note. Ma fermissimo nelle sue posizioni e convinzioni che si percepivano essere sempre frutto di riflessioni profonde.
Claudio Abbado sul palco del direttore era autorevole in maniera assoluta, senza dover mai alzare la voce, incisivo senza fare nessun gesto men che armonioso. In grado di ricavare il suono che voleva sorridendo ai musicisti. Severo con chi non era all’altezza. Con la sua esperienza e lettura profonda della musica educava e conquistava, orientava, suggeriva, sottolineava fino a ottenere dall’orchestra l’interpretazione che voleva . Un’interpretazione sempre nuova e ricca di sfumature, senza indulgere alle mode ma scavando in profondità nella partitura e nel suo significato. Basti ricordare le recenti esibizioni mahleriane a Lucerna o il ciclo di concerti a Roma con i Berliner dei primi anni 2000.
La passione civile di Abbado si esercitava soprattutto nella fermissima determinazione di fare qualcosa di concreto per migliorare le condizioni ambientali dei luoghi in cui viveva e lavorava.
A me pareva fosse non solo frutto di una ferma convinzione circa le conseguenze nefaste di un certo sviluppo urbano e industriale, ma anche l’idea che fosse suo dovere restituire qualcosa di permanente alle città che lo ospitavano. Magari il piacere di lasciare qualcosa di bello anche ai cittadini che non avevano potuto ascoltarlo. Di qui i progetti delle fioriere, dell’alberazione dei viali, dei parcheggi interrati, delle auto a idrogeno, dell’uso intensivo della bicicletta e delle ciclabili. Non tutti i suoi progetti erano immediatamente realizzabili, ma la sua richiesta era puntuale e studiata nel dettaglio: “Vengo a suonare da voi se voi vi impegnate a fare questo”. Si vedeva dal suo sguardo quando le risposte dell’amministratore di turno non erano all’altezza delle sua aspettative. Chi gli prospettava buona volontà malgrado le difficoltà delle decisioni e della burocrazia, veniva messo alla prova. Chi provava a imbrogliarlo lo perdeva.
Ambiente soprattutto, ma non solo.
Credo sia un ricordo importante per tutta la comunità ferrarese, una di quelle testimonianze che restano per sempre, come simbolo di un’epoca, l’occasione in cui diresse uno splendido Re Lear di Shostakovic con la bandiera della pace distesa sul palco davanti al podio. Era il marzo del 2003, stava scoppiando la guerra in Iraq e Claudio accettò volentieri di dare rappresentazione visiva al sentimento di contrarietà che dominava fra la gente di Ferrara e non solo.
Le sue capacità di far conoscere i significati meno ovvi della musica e il suo impegno per il progresso civile ci mancheranno molto.

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Gaetano Sateriale
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