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da: Claudio Riccadonna

Vent’anni fa, Il rigore sbagliato da Baggio il 17 luglio del 1994, nella finale del campionato mondiale contro il Brasile, gettava in uno stato di mesta prostrazione e di disperazione milioni di telespettatori italiani, che agognavano di rialzare quella coppa, ben 12 anni dopo il trionfo spagnolo dei ragazzi di Bearzot. Come dimenticare la concentrazione sul dischetto del pallone d’oro, annata 1993, e il tiro successivo alto sopra la traversa con palla finita tra gli spalti?
Eppure come è strana la vita! Infatti, dall’altra parte del mondo si concludeva contemporaneamente uno dei più terribili conflitti etnici della storia del XX secolo, il genocidio nello stato africano del Ruanda di oltre un milione di tutsi e di moderati hutu, perpetrato da un’isterica follia collettiva. Un’attenzione, pressoché esclusiva, catalizzata sull’evento mediatico sportivo per eccellenza, capace di incollare ai teleschermi miliardi di spettatori, probabilmente negava a quella tragedia una pari dignità informativa. D’altra parte l’informazione è “prospettica”!
Il Ruanda, stato africano, “non rilevante” nel quadro degli equilibri internazionali, sprofondava nell’oblio; la sua storia è difatti quella dell’indifferenza dell’Occidente che si disinteressò della tragedia che si andava progressivamente consumando. Davvero poco si fece a livello europeo e mondiale per fermare il massacro.
A distanza di tempo seguiranno le accuse al governo francese, ritenuto responsabile di complicità nel genocidio. Il governo parigino avrebbe fornito armi ai governativi e quindi anche alle speciali milizie addestrate alla “soluzione” del problema ruandese, interessato peraltro allo sfruttamento delle grandi risorse dello Zaire orientale, un territorio che meglio si controllava proprio dal confinante Ruanda.
Bellissimo ed efficace il film del regista Terry George “Hotel Rwanda”, che racconta la storia di Paul Rusesabagina, che, da moderno Shindler, si prodigò strenuamente per salvare la vita a migliaia di suoi connazionali. La visione del film, per la sua elevata pregnanza didattica, è senz’altro da consigliare, adatta specialmente per studenti delle scuole secondarie di secondo grado. Pellicola straordinaria che, grazie alla forza dei suoi contenuti, non potrà che rimanere impressa. “Non è un documentario, perché il cinema può avere un impatto politico più forte, grazie all’identificazione con i personaggi”; il film ci consente di riflettere di quanto la guerra, in ogni sua declinazione, porti l’uomo al bordo di un precipizio da cui non si può più tornare indietro!” (Terry George alla presentazione del film nel 2004)

Claudio Riccadonna, Ala (TN)

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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