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Di Cecilia Sorpilli

La costante evoluzione in atto nel rapporto uomo-donna crea le premesse per nuove formule familiari che si sviluppano e affermano nel moderno tessuto sociale. Cecilia Sorpilli ci fa il punto della situazione

Nell’epoca della modernità liquida, come la definisce Zygmunt Bauman, dove tutto si dissolve in una sorta di liquidità, anche i legami familiari si sciolgono facilmente e rapidamente. Convivenze che finiscono da un giorno all’altro, separazioni e divorzi in costante aumento sono il terreno su cui nascono e crescono le cosiddette famiglie monogenitoriali.
Oggi infatti, nella maggior parte dei casi, la famiglia con un solo genitore nasce da una separazione o un divorzio o, dove è possibile, da un’adozione di un bambino da parte di un single o una single.
Spesso i genitori soli sono donne, questo perché, in caso di separazione o divorzio, i figli solitamente vengono affidati alle madri. Diversamente da quanto accade nelle famiglie in cui la coppia è unita, nelle famiglie in cui la madre è sola con i figli si assommano due compiti per la donna: accudire i figli e mantenerli economicamente. Le madri sole sentono di dover rispondere ad un’alta aspettativa sociale che impone loro di ricoprire sia un ruolo materno che paterno e questo, talvolta, genera in loro vissuti di inadeguatezza, ansia, depressione che possono inficiare le loro competenze genitoriali. Molte donne separate però si dicono soddisfatte della loro capacità di affrontare un carico di responsabilità così gravoso, sono contente del rapporto che riescono ad instaurare con i figli e soprattutto si mostrano fiere di riuscire a mandare avanti la famiglia solo con le proprie forze. Molte donne attribuiscono alla separazione un significato di autonomia e libertà che non avevano mai potuto sperimentare prima della rottura della coppia coniugale.
Quando l’unione della coppia si rompe e il figlio rimane a vivere con la madre sola, risente anch’esso delle difficoltà che emergono. Spesso il figlio sperimenta un repentino cambio del suo stile di vita e questo può comportare il possibile insorgere di problematiche psicologiche e comportamentali che rischiano di segnare la carriera scolastica. La presenza di fratelli o sorelle può essere un fattore positivo perché permette ai figli di sfogarsi emotivamente e di condividere i propri sentimenti e i propri vissuti di sofferenza durante la separazione dei genitori. Se però la differenza di età tra i fratelli è elevata può accadere che i fratelli minori si appoggino al fratello maggiore considerandolo quasi come un sostituto del genitore che, in quel momento a causa della separazione, appare distante fisicamente e/o emotivamente.
A volte capita che, per ragioni economiche, il genitore affidatario decida di tornare ad abitare con la propria famiglia, dando origine al fenomeno della ri-coabitazione. La famiglia di origine pur essendo una risorsa fondamentale può divenire una limitazione sia per l’autonomia del genitore, che corre il rischio di regredire allo status di figlio/a perdendo così autorevolezza nei confronti della propria prole, sia per i nonni che si trovano per molte ore al giorno a doversi assumere la responsabilità educativa dei nipoti. I figli, allo stesso tempo, rischiano di trovarsi disorientati di fronte a ruoli educativi che diventano ambigui e davanti alla progressiva perdita di autorevolezza del proprio genitore.
Negli ultimi anni sono in aumento gli affidamenti dei figli ai padri. I padri che scelgono, e quindi lottano per ottenere l’affidamento dei figli, in genere appaiono più sereni rispetto alle madri sole e riescono a sfruttare meglio le risorse della rete parentale per l’accudimento dei figli. Anche i padri però che da soli debbono occuparsi dei figli incontrano le stesse criticità incontrate dalle madri sole; difficoltà nel posto di lavoro, poca disponibilità di tempo, limitazioni nella vita sociale. Inoltre i padri affidatari sono privi di modelli e percorsi di sola paternità per l’educazione dei figli e quindi è importante fornire loro un supporto pedagogico per aiutarli ad affrontare compiti nuovi per la storia personale e sociale della formazione paterna. Vanna Iori, Professore Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, afferma che “Le pratiche educative messe in atto dai padri soli dimostrano che è possibile travalicare gli steccati che dividono le vecchie aspettative nei comportamenti di genere, che la contaminazione non è affatto lesiva dell’identità di genere, che la tenerezza e la cura possono essere espresse anche come virtù maschili”.
In Italia, rispetto ad altri paesi, i rapporti tra padri e figli continuano a perdurare anche dopo la separazione. Questo è un elemento molto importante perché da varie ricerche è emerso che i maggiori danni psicologici per i figli che vivono la separazione dei genitori siano dati sia dal livello di conflitto tra gli ex coniugi, che dall’impossibilità di continuare la relazione con il genitore non affidatario. Per questo motivo è necessario garantire ai figli, per il loro benessere psicologico, la possibilità di continuare la relazione con il genitore non convivente, dando così al ragazzo o bambino la possibilità di mantenere “rapporti validi e continuativi” con entrambi i genitori secondo il principio della cogenitorialità o bigenitorialità. Per tutelare la relazione dei figli con il genitore non affidatario la Legge 54 del 2006 ha stabilito che in via prioritaria i figli devono essere affidati a entrambi i genitori, i quali esercitano congiuntamente la potestà genitoriale (affidamento condiviso). Anna Laura Zanatta, docente di Sociologia della famiglia presso l’Università di Roma La Sapienza, apre un interrogativo: è giusto continuare a chiamare questi nuclei familiari “monogenitoriali” quando i figli mantengono le relazioni con entrambi i genitori? La docente infatti sostiene che “L’affermazione del principio della bigenitorialità mette in evidenza il problema di individuazione dei confini familiari: se dopo la rottura coniugale entrambi i genitori mantengono rapporti validi e continuativi con i figli, è improprio continuare a parlare di famiglia con un solo genitore e diventa più corretto usare il termine famiglia bigenitore o binucleare.”

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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