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“Im par tut uguai!” (trad. Mi sembrano tutti uguali!)
“Dit? Ank’a mi!” (trad. Dici? Anche a me!)
“I’è cinis o indian. Iè tirà e urdinà” (trad. Sono cinesi o indiani. Sono eleganti ed ordinati)
“Di, am par chi gava di soldi” (trad. Sembrano ricchi)
“Dam a ment: la scarpa d’un vilàn l’an à mai fatt pèca!” (trad. Credimi: la scarpa di un contadino non ha mai fatto strada!)

Siamo di fronte al Duomo di Ferrara. Due amici ferraresi, appoggiati alle loro biciclette (spiciula), stanno passando le ore calde della mattinata in attesa del pranzo. Davanti a loro, sul sagrato, c’è un gruppo di turisti giapponesi intenti ad ammirare ed a stupirsi delle meraviglie nascoste nella facciata del Duomo. Ma quando avviene questo incontro? Oggi, ieri, forse qualche anni fa considerando la presenza della bicicletta (spiciula) che marca il tempo circolare del tutto scorre. Tuttavia, un incontro uguale e con le medesime considerazioni antropologiche è successo davvero circa 430 anni fa.

Nel decimo anno dell’Era Tensho (1582), un gruppo di ambasciatori costituito da tre giovani uomini partì da Nagasaki il 20 Febbraio 1582. Essi rappresentavano i tre daimyo cristiani, o signori feudali, del Kyushu. A capo degli ambasciatori vi era il dodicenne Ito Mancio (Mancho, Ito Sukemasu). Partirono dal Giappone e, attraverso Cina, India, Portogallo e Spagna, giunsero in Italia dopo aver viaggiato 3 anni. Visitarono le principali città italiane (Firenze, Roma e Venezia), vennero ricevuti dal Papa Gregorio XIII e tornarono in Giappone nel Luglio del 1590.
Gli ambasciatori visitarono anche Ferrara. Arrivarono in città il 22 Giugno 1585, accolti dal duca Alfonso II d’Este e dalla giovane moglie Margherita Gonzaga. Leonardo Conosciuti scrisse al cardinale Luigi d’Este a Roma (25 Giugno 1585): “L’Indiani […] furono ricevuti da S.A. che li ha alloggiati il principale nelle cam[e]re del Specchio, l’altro in quelle dalla Stuffa, et li altri dui in quelle dalla Pacientia. L’istessa sera fu sgombrato il Duomo, et postavi l’ombrella piu ricca, tapeti di viluto cr[emisi]no et quatro scarane21 simili, dove d[ome]nica mattina furono condotti. …finita la messa li fecero vedere il corso, et pigliare la perdonanza all’altare del I° sacram[en]to poi li condussero in Castello, et mangiorno nella salla delle cam[er]e del Specchio. Il dì hebbero musica, et la sera cena alla montagnuolla con balletti”.

Nel Marzo del 2014, presso la Fondazione Trivulzio di Milano è stato scoperto un ritratto di Ito Mancio eseguito da Domenico Tintoretto (figlio di Jacopo) nel 1585. La scoperta ha due importanti significati storici: Tintoretto ha effettivamente creato ritratti ad olio (cosa nota solo sui documenti storici) e gli ambasciatori vennero ufficialmente ospitati da Venezia.

L’occasione per esporre in Giappone il ritratto di Ito Mancio eseguito dal Tintoretto è stata la celebrazione del 150° anniversario delle relazioni diplomatiche fra Giappone ed Italia. La mostra si è tenuta dal 17 Maggio al 10 Luglio 2016 presso il Museo Nazionale di Tokyo.

Ah, dimenticavo! Ma cosa avranno pensato gli ambasciatori giapponesi incontrando i ferraresi rinascimentali? Nelle cronache ferraresi di quel periodo vi sono indicazioni approssimative. Qualcuno credeva fossero “nepoti Indiani del re del Giapone” o provenienti da una imprecisata India, si diceva che i legati fossero due, tre o quattro.

Giovanni Maria di Massa (1582-1585) scrive: “arivò a Ferrara quatri giovani indiani, nepoti del re del Giapone e figlioli, et erano tuti quatri vestiti di raso morello ala longa con trene d’oro sopra guarnite riccamente, et avevano le fatie loro tuto a uno modo, che no si conoscevano l’uno dal’altro, et medemamente li servitori loro si asomiliavano alli padroni, cosa certo maraviliosa da vedere, dove che li ditti signori si meravigliavano asai deli nostri paesi che noi altri non foseme simile l’uno al’altro di volto”.

I ferraresi si meravigliavano delle somiglianze fra gli ospiti giapponesi, mentre questi erano stupiti della diversità dei volti ferraresi.
Immagino che gli ambasciatori giapponesi abbiano lasciato Ferrara portandosi i bei ricordi dei lauti banchetti, probabilmente caratterizzati dai menù ereditati dal Messisbugo, organizzati nei Bagni Ducali sulla montagnola di San Giorgio (Montagnone). Sulla strada del ritorno un ambasciatore disse all’altro:
“Strani questi ferraresi ne!”,
“A Ferrara ho imparato questo. La bóca unta l’an zzcór mai mal” (trad. la bocca unta non parla mai male).


Bibliografia
Innello T. 2012. “L’Indiani gionsero qui sabato”. Riflessi ferraresi della prima missione giapponese alla Santa Sede (1585). Annali Online di Ferrara, Lettere, volume 1, 339-356

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Davide Bassi

È Professore di Paleontologia e Paleoecologia presso il Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Ferrara. Amando l’Arte si occupa di paleoecologia e sistematica delle comunità bentoniche fossili del Giurassico e del Cenozoico. La ricerca scientifica universitaria e l’Arte lo hanno indirizzato verso il Giappone dove è stato visiting professor presso il Tohoku University Museum (Institute of Geology and Paleontology, Graduate School of Science) e l’Università di Nagoya.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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