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Con l’inizio dell’anno scolastico si ripropone un tema del caro scuola alle famiglie: scuola mia quanto mi costi!

La scuola chiede a ciascuno di attrezzarsi: libri, materiale didattico e quant’altro; è perfino invalso l’uso che, soprattutto all’ingresso della scuola primaria e secondaria di primo grado, gli insegnanti forniscano alle famiglie la lista delle strumentazioni necessarie ad affrontare l’impegno scolastico. Ovviamente su tutto prolifica l’industria dell’editoria scolastica e l’indotto che gravita attorno ad essa.

C’è una sorta di vegetazione che si innesca nel corpo della scuola che ormai si dà per scontata e che si alimenta per via di simbiosi parassitaria, qualcosa di cui, nonostante l’autonomia, gli istituti scolastici pare non siano in grado di liberarsi; secondo i dati del rapporto Eurydice del 2012, i soli paesi europei che impongono agli insegnanti l’uso dei libri di testo sono Grecia, Cipro e Malta, che sono, peraltro, gli unici paesi in cui la selezione dei libri di testo è compiuta a livello centrale.
E allora c’è da chiedersi perché nonostante l’autonomia didattica, organizzativa e di sperimentazione sancita del DPR 275 del 1999, nelle nostre “buone scuole” continui a resistere un arnese così vecchio ed equivoco come il libro di testo in tempi di nuove tecnologie che mettono a disposizione in tempo reale la biblioteca e l’emeroteca più grandi del mondo che permetterebbero di scrivere tanti libri di testa anziché compulsare il libro di testo.

Come mai dai tempi di “Dio, patria e caramella” alla biblioteca di lavoro di Mario Lodi il libro di testo continua a resistere come sintomo di una scuola incapace di cambiare se stessa?

È una questione grave che denuncia una scarsa spinta al rinnovamento e la resistenza di ampie sacche di pigrizia e di ignoranza.

Nell’altra società, che è il mondo separato della scuola in cui da noi s’usano aggregare per ore quotidiane le infanzie e le adolescenze, si continuano a celebrare antiche usanze e rituali che hanno negli insegnanti i loro sacerdoti, mentre la forza del verbo risiede tra le pagine dei libri di testo, tutti uguali come i messali in chiesa, specificatamente scritti per l’uso scolastico, per onorare le richieste del sacro dio “programma” o “curricolo standard”, secondo una versione più aggiornata del lessico.

Pensiero, intelligenza, creatività non abitano le nostre aule dove la mediocrità degli insegnamenti nutre altra mediocrità negli allievi in una sorta di coazione a ripetere. Del resto perché meravigliarsi, quando il sito del Miur celebra il libro di testo come “…lo strumento didattico ancora oggi più utilizzato mediante il quale gli studenti realizzano il loro percorso di conoscenza e apprendimento. Esso rappresenta il principale luogo di incontro tra le competenze del docente e le aspettative dello studente, il canale preferenziale su cui si attiva la comunicazione didattica”?
Non so se l’autore di questo testo, lo stesso ministero, si renda conto dell’idea di scuola che propagandano: il libro di testo come percorso di conoscenza e apprendimento… luogo di incontro tra docenti e studenti… canale della comunicazione didattica…

Questa sarebbe la buona scuola del ventunesimo secolo?

L’idea più malinconica di scuola, di sapere in pillole, di morte della ricerca, di costruzione del sapere, di confronto tra intelligenze. In questa scuola cattedre, banchi e libri di testo sono gli unici ad essere a loro agio, ciò che non potrà mai essere a proprio agio sono le menti dei nostri studenti.

C’è da chiedersi se esistono docenti in grado di far scuola senza il pannolone del libro di testo; c’è da chiedersi cosa si faccia nel nostro paese per far crescere professionalità docenti del tutto nuove, al passo con le sfide dei tempi che viviamo, ma che soprattutto attendono la vita delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi.
Le nostre sono scuole ancora chiuse al sapere, non c’è vita, non c’è dinamica, e soprattutto sono troppo costose per le famiglie che pagano cara una formazione sempre più scadente; pare che almeno in materia di libri di testo il ministero preferisca stare dalla parte del “si è sempre fatto così” quello che la “Buona scuola” al suo esordio si proponeva di superare, per “pensare in grande”, prometteva. Per il momento il grande non si vede e il “si è sempre fatto così” resiste con la partigianeria dello stesso Miur.

Realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica…

“Scuola aperta”, “laboratorio permanente”, dove “permanente” è l’opposto di “saltuariamente”, mica l’hanno scritto persone da una vita didatticamente eversive come il sottoscritto, è solo il testo del comma 1 dell’articolo 1 della legge 107 di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione. Al momento le uniche cose che le nostre scuole promettono di aprire sono le pagine dei quaderni e dei libri di testo sui banchi nelle aule.
Continuo a credere che “la buona scuola” non sia in grado di curare i mali del nostro sistema nazionale di istruzione e formazione, perché neppure l’accanimento terapeutico può pretendere di tenere in vita nel terzo millennio un sistema scolastico, sottolineo sistema, che ha avuto da tempo il suo momento e che meriterebbe di conquistarsi finalmente il riposo eterno.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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