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Presto di mattina. Olio di letizia, rugiada di fraternità

Olio di letizia, rugiada di fraternità

Come «l’alba è brizzolata di rugiada» (Adam Zagajewski), come rugiada generata dal seno dell’aurora, prima della stella del mattino (cfr. Sal 110, 3), così è l’unzione di fraternità.

«Ecco come è buono e quanto è soave / che i fratelli vivano insieme! Là il Signore dona la benedizione / e la vita per sempre. È come olio profumato. È come rugiada dell’Ermon» (Sal 132/133,1.3 e 2.3). In questo salmo ricorre una duplice simbologia. Anzitutto quella dell’olio profumato, che impregna indumenti e corpo e vi penetra in profondità, ma irradia pure all’esterno sino a risvegliare i dormienti e trasformare la vita in benedizione.

In secondo luogo, la rugiada mattutina dell’Ermon − il monte settentrionale innevato della Palestina (2760 metri) che evoca un’immagine di freschezza in un mondo assolato e bruciato − simboleggia il germogliare inatteso della fraternità e diventa fluente fiume che arriva fino a Gerusalemme, al monte Sion, per ricevere la sua benedizione.

In queste immagini il salmista canta quindi l’amicizia; di più l’amore fraterno come benedizione di Dio, fonte di ospitalità per sempre in un mondo chiuso, dissacrato e morto.

Il giovedì santo è stata la giornata della fraternità sacerdotale nella quale si benedicono gli oli: quello dei catecumeni, in vista del battesimo, il profumato crisma, che rende testimoni di Cristo e del suo vangelo, e l’olio per gli infermi, a sostegno di ogni fragilità, a consolazione non solo dei morenti, ma per tutti coloro che pur feriti, mortificati continuano a lottare e a far argine e resistenza al male.

Sono questi ad un tempo gli oli della vigilanza e della compassione, dell’amore e della gratuità. Quel giorno vengono consegnati dal vescovo a coloro che moderano e guidano le comunità cristiane per diffondere in esse e attorno ad esse il buon profumo di Cristo, la fragranza della sua amicizia e santità ospitale condivisa e da condividere con tutti.

L’olio di letizia è un’unzione nel suo Spirito che, come ricorda il profeta Isaia, chiama i battezzati e in particolare i presbiteri allo stesso compito del Cristo mandato «per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto» (Is 61, 2-3).

È stato il vescovo Cirillo di Gerusalemme, autore delle catechesi mistagogiche, il cantore dell’olio di letizia: «Anche a voi, dopo che siete emersi dalle sacre acque (del battesimo), è stato dato il crisma, di cui era figura quello che unse il Cristo, cioè lo Spirito Santo. Di lui anche il grande Isaia, parlando in persona del Signore, dice nella profezia che lo riguarda: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri” (Is 61, 1)

… Egli fu unto con spirituale olio di letizia, cioè con lo Spirito Santo, il quale è chiamato olio di letizia, perché è lui l’autore della spirituale letizia. Voi, invece, siete stati unti con il crisma, divenendo così partecipi di Cristo e solidali con lui» (Catech. 21, Mistagogica 3, 1-3; PG 33, 1087-1091).

Rugiada notturna, «rugiada del cuore» (Marie Nöel)

Rorida rugiada che stilla nella notte è detta pure l’unzione dello spirito d’amore, la sua attesa, nel Cantico dei cantici. L’Amata dorme, ma il suo cuore veglia. Giunto alla porta è l’Amato, di gocciole notturne i riccioli impregnati (Ct 5,2), picchiettando le sussurra lievemente: «Aprimi, sorella mia, compagna mia, Perché il mio capo è coperto di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne!».

Come non ricordare qui il testo dell’Apocalisse, è il Cristo che parla: «Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (3,20).

Desiderante, mistica rugiada è quella del Cantico pregna dell’amore di Dio per il suo popolo: «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò di vero cuore. Sarò come rugiada per Israele» (Osea 14, 5-6). Questa rugiada diviene così sorgiva immagine della carità pastorale dei presbiteri e anche di ogni battezzato.

Lo Spirito, “vento pieno di rugiada”, li fa essere rugiada in terra arida, che mitiga l’arsura, notturna guazza che annuncia la stella luminosa del mattino, carità pastorale che si fa tutto a tutti; ricorda Paolo (1Cor 9,19): «pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti» ed esorta noi: «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12, 14-16).

Nel Talmud la rugiada è presa a simbolo delle lacrime e dell’afflizione del popolo in esilio, di cui sono intrisi i riccioli del capo di Dio che viene a visitare il suo popolo: «Perché i capelli del mio capo sono pieni delle tue lacrime, come un uomo che abbia i capelli del suo capo intrisi della rugiada del cielo; e il ricciolo è pieno delle gocce dei tuoi occhi, come un uomo che abbia il ricciolo pieno delle gocce di pioggia che cadono nella notte»; come se − aggiungo io − le lacrime del suo popolo e quelle di tutti i popoli fossero tra i suoi occhi e nei suoi occhi, le sue stesse lacrime.

Profetizza Isaia: «e di nuovo vivranno i tuoi morti. Svegliatevi ed esultate voi che giacete nella polvere. Sì, la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre» (Is 26, 19).

Mandati a costruire un ‘noi’, a costruire fraternità

Quest’anno si è celebrato il Triduo pasquale nella Cattedrale cittadina, riaperta dopo cinque anni dovuti ai restauri, e le parole del vescovo Gian Carlo Perego all’omelia della messa crismale di giovedì santo le ho sentite vive, motivanti nel profondo il mio ministero tra la gente, per le parrocchie dell’unità pastorale e per la nostra città.

Questi orientamenti pastorali rilanciano sinteticamente i contenuti della sua Lettera pastorale Insieme sulla strada di Emmaus e si intrecciano con lo slancio e l’invito pastorale di papa Francesco per una riforma ecclesiale, per una chiesa in uscita, delineate sia nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium sia in Fratelli tutti.

Dopo aver raccomandato di porsi sempre in ascolto della Parola di Dio, commentando il testo di Isaia egli ha ricordato a coloro che si pongono al servizio del Vangelo, che sono chiamati «ad avere e a diffondere un’attenzione particolare nell’annuncio della Parola di Dio e nella promozione umana, con un’attenzione ai ‘miseri’, a chi ha ‘i cuori spezzati’, agli ‘schiavi’, agli ‘afflitti’, ai ‘carcerati’ per dare loro libertà, consolazione, fasciare le ferite con ‘olio di letizia’».

Tra la Prima e Nuova Alleanza vi è infatti una continuità nell’opzione preferenziale per i poveri, confermata nelle parole programmatiche di Gesù nella sinagoga di Cafarnao all’inizio del suo ministero: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18).

“Di chi mi devo fare fratello?”

Il vescovo Perego ricorda poi che la Fratelli tutti inizia con una domanda concreta: «“Di chi mi devo fare fratello?” L’obiettivo è che − scrive Papa Francesco − “alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”» (FT.35).

Non solo il presbiterio deve divenire il luogo del “noi”, ma le stesse comunità cristiane, «l’Unità pastorale, come prima la parrocchia, deve conservare questo obiettivo di costruire un ‘noi’, costruire fraternità».

Facendo proprio l’interrogativo di papa Francesco in Fratelli tutti anche il vescovo Gian Carlo si domanda quali siano gli ostacoli che sono di impedimento alla costruzione di questo “noi” anche nella città; cosa impedisce la fraternità?

La prima difficoltà è da vedersi nella distanza tra il singolo e la comunità (F.T. 12), perché l’individualismo ha fatto perdere il senso della storia, riproponendo chiusure, violenza, trasformando le persone in consumatori. L’amore per la città chiede l’educazione alla politica come la più alta forma di carità, divenendo un compito delle comunità cristiane.

Ostacola pure la costruzione della fratellanza nelle città quella che papa Francesco chiama la cultura dello scarto, una cultura corporativa, senza memoria storica, interessata a salvaguardare ciò che è utile più che ciò che è bello. Contro questa cultura è necessario favorire la cultura dell’altro, che valorizza la diversità, che promuove l’unità, che salvaguarda la bellezza delle cose e del creato.

In ogni unità pastorale un Centro d’ascolto Caritas

Questo inderogabile invito ci è chiesto dal vescovo Perego per il determinarsi sempre più evidente «dell’«indebolimento dei diritti e della loro esigibilità». Questo implica «un impegno serio di advocacy, di tutela delle persone, che chiede la presenza di un Centro di ascolto Caritas in ogni unità pastorale, per cogliere le ingiustizie o anche solo per indirizzare le persone a ciò che è a loro dovuto».

Un’altra difficoltà sta nella «debole cultura dell’accoglienza dei migranti, campo quotidiano di sfida delle Beatitudini e del discorso della montagna. L’illusione che la chiusura preservi dal male che solo gli altri portano segna profondamente anche le nostre comunità e non le rende capaci di un’accoglienza fraterna intelligente».

Dallo stile comunicativo infine dipende la capacità di costruire fraternità dentro e fuori le comunità cristiane, che accorci le distanze, riprendendo nelle relazioni lo stile narrativo del vangelo che è lo stile del samaritano, parabola decisiva che papa Francesco rilegge nell’enciclica: «Abbiamo bisogno – dice il Papa – di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana» (n. 42).

«Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino» (Lc 10, 34)

Così «il Buon Samaritano – prosegue Perego – diventa un modello sociale e civile, ma anche lo stile di ogni cristiano, ma soprattutto del presbitero, oltre che il criterio con cui giudicare tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Il crisma unge il battezzato e il cresimato come il presbitero, ricordandoci il sacerdozio comune dei fedeli, a cui è ordinato il sacerdozio ministeriale».

Il vescovo infine ha ricordato le parole di Paolo VI, che nel discorso dell’ultima sessione conciliare, identificava la spiritualità stessa del Concilio Vaticano con quella del Buon Samaritano:

«l’olio e il crisma che oggi consacriamo ci sono consegnati dal Signore risorto come segni e strumenti per costruire fraternità e cura dei più deboli (olio degli infermi), per accogliere nella Chiesa catecumeni e battezzati, per un ministero “consacrato con l’unzione”, di cui rinnoviamo oggi le promesse. Nella nostra vita diffondiamo con questi oli e con il crisma il “profumo di Cristo”, Buon Samaritano, perché la Chiesa e la città vivano, risorgano. Così sia».

E così la rugiada…

È come l’amicizia scrive p. David Maria Turoldo proprio a commento del salmo 132 dell’inizio. «Il sangue non conta niente da solo. La linea del sangue può essere una trincea di oscuri istinti, di interessi a volte mortali.

Solo l’amicizia ha il divino potere di superare il sangue, il censo, la classe, la razza, e fare che due esseri veramente si amino, confortati dalla stima dell’uno per l’altro, accettando tutti e due la rinuncia a prevalere, e a espropriarsi l’uno per l’altro.

E ho scritto che anche la chiesa, se vuole essere vera, non può essere che una chiesa di amici. Così la città, se vuole essere umana» (Turoldo-Ravasi, “Lungo i fiumi”… I Salmi, San Paolo Cinisello Balsamo, 1987, 455).

 

Dimmi: “sono io il tuo amico”

Col suo olio delizioso mi ha unto il capo,
col suo calice di vita ha inebriato il mio cuore,
migliori del vino sono le sue misericordie…
Gesù è mio e io sono suo.
Egli si compiace di me, s’è rivestito di me
e io mi sono rivestito di lui.
(F. Graffin, in Orient syrien, 3/1958, 319).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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