“Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo.” Plinio il Vecchio
Il mio primo viaggio in Africa risale ad esattamente venti anni fa. Sembra ieri. Sembra ieri soprattutto per quelle emozioni ancora vive che non potrò mai dimenticare.
La prima volta era stata la Nigeria, un paese non facile, allora come ora. Ho ancora negli occhi il verde intenso del Delta del Niger, sorvolato in elicottero, stretta come una sardina fra colleghi nigeriani di buona taglia. Ricordo le nenie sommesse udite intorno alla base, quelle cantilene ignote e un poco oscure che mi accompagnavano il sonno che piombava su di me dopo giornate di lavoro intense e molto impegnative. I cibi così diversi, quelle spezie a me ignote che irritavano le mucose. Odori, sapori, colori, era tutto così forte. Le strade erano affollate, non si passava da nessuna parte, i colori dei vestiti erano allegri, tutti sorridevano. Ti domandi come si possa sorridere in condizioni tanto complesse. Forse perché gli africani dicono che loro hanno il tempo, mentre noi occidentali solo l’orologio.
Questa riflessione sul tempo mi turba da sempre, il caso vuole che proprio qualche giorno fa, nel suo blog appena nato (o meglio, vlog, come lo chiama lui), il mio amico regista Mattia Bricalli mi ci ha riportato, in una puntata speciale.
Il tempo pare sempre troppo poco. Donare tempo è quanto di più importante si possa fare, un regalo prezioso. Donarlo agli amici, ai familiari, agli sconosciuti, a chi ha tanto tempo libero e non sa come occuparlo. Penso agli anziani soli, soprattutto. Regalare loro qualche ora è il dono più importante, senza fretta, senza correre sempre. Correre dove, poi, e per quale motivo. E gli africani lo sanno fare, con il tempo ci giocano, si sbizzarriscono, e te lo regalano, a piene mani, calorosamente e generosamente.
L’Africa è terra generosa, di grandi spazi, di immense foreste, di potenti risorse, di sorrisi aperti, di mani tese, di giovani speranzosi, di anziani saggi, di donne coraggiose, di lunghe tradizioni. È un continente pieno di contraddizioni ma dà e ha la vita. Tanta.
Per elencarne pregi e difetti non basterebbero pagine e pagine, così come non basterebbero per parlare di scrittori, esploratori e viaggiatori che ne sono rimasti affascinati. Mi piace ricordarne uno per tutti, il mio preferito, Antoine de Saint-Exupéry, lui e il suo deserto. Perché l’Africa è anche terra di grandi deserti, il battesimo della solitudine.
Avrei vissuto anche nel deserto algerino, ancora non lo sapevo, e da lì ne sarei uscita cambiata per sempre. Cielo stellato, dune immense, il mormorio notturno degli animaletti, luoghi apparentemente comuni che diventano autentica esperienza mistica se vissuti in prima persona. Emozioni indescrivibili che vi lascio solo immaginare e percepire.
Quel deserto ondulato era molto diverso da quello maliano, sassoso e pieno di insidie. Ma anche qui gli anziani tuareg che mi parlavano del tempo che fu sarebbero stati una mia ricchezza, per sempre. Tombouctou mi avrebbe portato ai confini del mondo, Djenné, “la città di fango”, mi avrebbe insegnato la potenza della comunità, quando tutti insieme, ogni anno, si devono ricostruire, con pazienza e precisione, le abitazioni fatte di sabbia e di una sorta di malta naturale. Ed è una festa. Tutti per tutti, uno per tutti. Pure qui il sorriso non manca. E ti chiedi ancora una volta come sia possibile. Quante lune, quanti soli…
“Non sono mamma, purtroppo”, rispondo alla sorridente signora congolese che mi accoglie con un “bonjour maman” all’aeroporto di Pointe Noire. Lei mi dice che le dispiace molto. Lì per lì non capisco. Scoprirò dopo che non essere mamma in quel paese è un immenso dolore – magari non si può esserlo per qualche problema di salute o per altra strana diavoleria -, perché quello è il dono più grande della vita. Senza levate di scudi femministi, posso solo dire che quel gesto di empatia di quella gentile signora mi aveva profondamente toccato. Era la sua cultura, giusta o sbagliata che sia (chi ero o sono io per dire che è sbagliata?), e con me aveva condiviso il suo delicato sentire. Empatia.
Anche da quel paese sarei partita, ancora una volta, molto cambiata, inclusa l’incapacità di effettuare un qualsiasi acquisto e spendere soldi inutilmente per mesi. Parsimonia, ad assoluto rispetto di chi aveva poco o nulla. Fare con meno. Accontentarsi.
La vita ad Algeri era invece scandita dalla litania del muezzin. Inizialmente fastidiosa, mi svegliava alle cinque del mattino, ma era poi diventata compagna fedele delle mie giornate. Mi faceva aprire gli occhi e scoprire l’alba, aveva un suo perché, il sole sorgeva e mi salutava dispettoso. L’aria era frizzante e invitava alla riflessione. Mi sarebbe mancato, incredibile a dirsi, così come avrei senti la mancanza di quell’odore di pane appena sfornato che arrivava alla mia finestra. Avevo un appartamento molto grande, vedevo cielo e buganvillee, il loro colore intenso sarebbe stato un altro ricordo di quell’Africa più “nordica”, così come il profumo del gelsomino. Per non dimenticare la sabbia fra i capelli spettinati dal vento caldo in arrivo dal deserto, i giardini ricamati con le loro fontane e la preghiera a Notre Dame d’Afrique. E poi il pollo arrosto imbottito di riso. Odori.
Anche Tripoli mi avrebbe portato i suoi ricordi intensi, fatti del colore blu quasi accecante del Mar Mediterraneo e dei suoi cieli su Leptis Magna, là dove acqua e orizzonte si confondono e si perdono in un unico abbraccio. Quella città mi avrebbe fatto conoscere il mio futuro marito, romano di altri tempi e colonna portante della mia vita, come le imponenti colonne dei siti archeologici di quel paese travagliato. Colonne su colonne, colonne dopo colonne. Roma chiama Roma. Un fil rouge dove tutto aveva un senso.
Leptis Magna, Tripoli, Libia, foto Simonetta Sandri Africa, Madre terra, terra madre, terra di meraviglie e di grandi contraddizioni, terra che merita rispetto e venerazione, terra giovane e forte, di passato e di futuro, di speranze.
Africa dalle grandi foreste, come quelle del Congo, dello Zambia, del Ghana o del Kenya di Wangari Muta Maathai, la “donna che piantava alberi”, per parafrasare Jean Giono, prima donna africana a ricevere il Nobel per la Pace, nel 2004. Amore e passione.
Africa, terra di donne coraggiose, che portano acqua e giare sulla testa, terra di mancati diritti, di acqua ed energia elettrica che non ci sono per tutti. Terra di storia, di grandi conquiste, di nobili imprese, di lotta per i diritti, di rara e preziosa bellezza.
Lì nasceva e nasce tutto. Lì tutto potrebbe finire. A noi tutti evitare che questo accada.
Articolo pubblicato su Meer, 1 ottobre 2023
Immagine in evidenza, Leptis Magna, Terme della Caccia, Tripoli, Libia. Foto Simonetta Sandri
Simonetta Sandri
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Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
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Francesco Monini
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Davvero Magnifico. Dopo questo tuo viaggio, il tuo racconto, le tue foto, la mia voglia di Africa è diventata un’urgenza. Grazie Simonetta.
Grazie di cuore
È bello condividere il tuo racconto che vede un’umanità che purtroppo abbiamo perduto da tempo. Al di là della bellezza di un ambiente davvero stupendo, anche non sempre rassicurante, la vera ricchezza che hai raccolto sta nel sorriso,nella vera empatia che le persone ti hanno dimostrato,ma che fa parte della loro esistenza quotidiana,dell’impostazione della loro vita…cosa che noi abbiamo “sotterrato”scambiandola con la diffidenza e l’isolamento e pseudo relazioni social. Forse sarebbe interessante che molti avessero modo di fare queste esperienze per capire quale può essere il vero senso della vita in comunità…forse anche il consumismo sfrenato e indotto come l’individualismo e la competizione non sarebbero,come di fatto avviene, il veleno dei rapporti umani interpersonali che limitano la possibile visione della vera bellezza del vivere. Grazie.