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Scrivere ancora sulla spaventosa strage di Charlie Hebdo potrebbe essere presunzione: in questi momenti solo il silenzio sarebbe consentito se non fosse che in certe situazioni estreme il foglio bianco, la mancanza di parole potrebbe essere segno di resa. Resa all’odio implacabile che arma la mano dei terroristi. Un commento di Corrado Augias ha portato la discussione su un binario percorribile e condivisibile. Anche gli italiani hanno avuto una stagione del terrore e quel terrore era sprigionato da una (falsa) concezione della sinistra. Solo quando la sinistra si è opposta alla strage ecco che la ragione, l’illuminismo come ora si è soliti dire, ha saputo prendere il sopravvento sulla irrazionalità del fatto, dell’odio come momento di scelta. Ma ci siamo dimenticati che dal nostro Paese è stato esportato nel mondo il metodo e la violenza della mafia? Ci siamo scordati che la discriminazione è stata l’incidenza più violenta di gran parte delle tragedie del Novecento: in America con le stragi degli anni Trenta, con i soprusi contro i neri. E in Europa sorgeva la violenza fascista fino alla tragedia della Shoah o dei campi di concentramento siberiani al tempo di Stalin. E nonostante questo dato storico serpeggia nell’opinione pubblica la convinzione che tutti i mussulmani siano colpevoli, come se in Francia la condizione degli immigrati dell’ex impero francese che ha portato cinque milioni di loro in quel Paese sia spiegabile con un stile di vita e di convinzioni anti illuminista. Siamo allora noi italiani tutti mafiosi? Sono allora tutti i francesi anti-mussulmani? Sono dunque i tedeschi tutti nazisti?. Sono infine tutti i russi stalinisti? Ovviamente no! Ma è la mancanza di razionalità che insorge feroce a condannare sbarchi di clandestini, il concetto stesso di famiglia diverso dal nostro, ma soprattutto le convinzioni religiose. Ha ragione Umberto Eco ad affermare che non i mussulmani sono un pericolo ma l’Isis la forma più odiosa di una rivendicazione di un credo religioso a sostegno di una politica feroce. Non sono d’accordo con un mediocre scrittore e debole pensatore come Houellebecq che viene indicato come l’origine della vendetta terrorista assieme ai disegnatori di Charlie Hebdo per le sue idee ora espresse nel romanzo-saggio “Sottomissione” il quale secondo le recensioni (non ho ancora letto il libro) immagina una sottomissione dell’Occidente al pensiero mussulmano. Ogni giustificazione del fanatismo religioso è di per sé accusa d’intolleranza. Qualcuno mi scrive che il fanatismo cristiano ha prodotto il pensiero più forte dell’Occidente: dalla poesia all’arte, dalla musica alla filosofia, alla scienza. E questo non sarebbe successo nel mondo mussulmano. Ma cosa ne sappiamo noi? E comunque nessuna forma di terrorismo ideologico e pratico può essere giustificato da questa dubitabile consequenzialità. Ciò che si richiede e che dovrebbe guidare il nostro pensiero, specie per chi pratica la cultura come mestiere, non è tanto – o non solo- la com-partecipazione al destino dei caduti di Charlie Hebdo come singoli, come individui, ma il tentativo di evitare nella banalità del giudizio (si ricordi “La banalità del male” di Hannah Arendt) un coinvolgimento generale che ottunde il pensiero e pigramente lo lascia in mano ai luoghi comuni: è un negro, è un meridionale, ora, è un mussulmano. Ricordo lo stupore con cui – era il 1962 – recandomi in Austria per partecipare a un grande convegno su “Industria e letteratura” organizzato dallo scrittore Paolo Volponi e dal filosofo Rosario Assunto, vidi nella stazione di Monaco, alla porta della toilette della stazione, la scritta “Proibito l’accesso ai lavoratori turchi e italiani”. Nel paese austriaco sede estiva dell’Università austriaca, Alpbach, il gestore dell’unico caffè non voleva servire gli italiani per l’odio che ancora nutriva per il nostro popolo dopo le vicende non della seconda, ma della prima guerra mondiale!
Alla fine aiutati da un musicista ungherese che parlava tedesco, allievo di Bèla Bartok e che diverrà tra gli amici più cari della mia vita ci siamo seduti ad un tavolo e abbiamo parlato, oste ed avventori, fino a stringerci la mano e gustare il più buon strudel che abbia mai mangiato.
Non sono racconti moralistici o peggio pietistici ma è il vero, credo, segno dell’opposizione del pensiero illuminista, basato sulla tolleranza verso qualsiasi forma di pensiero diverso dal nostro, all’odio, alla barbarie, alla violenza, all’ottundimento della ragione, a quella fede feroce che Montale cantava nella “Primavera hitleriana”, “Oh la piagata/primavera è pur festa se raggela in morte questa morte”. Così, come penso, è necessario si debba ragionare rispetto a simili mostruosità, quale quella della strage di Charlie Hebdo, attaccandosi alla speranza che Clizia, la donna amata dal poeta Montale, colei che porta in sé il pegno di una sconfitta della fede feroce che “ Forse le sirene, i rintocchi/ che salutano i mostri nella sera/ della loro tregenda, si confondono già/ col suono che slegato dal cielo, scende, vince-/ col respiro di un’alba che domani per tutti/si riaffacci, bianca ma senz’ali/ di raccapriccio, ai greti arsi del sud…”.

Ma tutti insieme.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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