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Noia, ripetitività, ansietà sono i nemici del nostro star bene, eppure sono così diffuse da costituire tante metastasi del nostro vivere quotidiano.
Non è un caso che da alcuni anni abbia preso piede la parola resilienza, come una competenza indispensabile a vivere i nostri tempi. ‘Resilire’ in latino significa ‘rimbalzare’, ‘saltare indietro’. Un bel modo figurato per rappresentare i nostri tentativi di sottrarci alle routine del lavoro, della scuola, della vita famigliare. Resilienti sono le persone capaci di affrontare efficacemente le contrarietà e di dare un nuovo slancio alla propria esistenza.
Che la parola ‘resilienza’ trovasse cittadinanza nel nostro lessico era inevitabile, considerato che sempre più siamo vittime di un sistema che ha sacrificato sull’altare della produttività e del profitto la noia, l’ansia, la ripetitività del lavoro, massimizzando il paradigma dell’industria dei consumi. La stessa tecnologia non ci ha soccorso in questo, perché anch’essa orientata ad elevare i profitti e a produrre nuovi beni di consumo.
A tutto ciò ormai siamo arresi, però ci invitano ad essere resilienti, un modo per lasciare le cose così come stanno e trovare un compromesso per convivere con questo sistema. Per fortuna siamo ancora animali intelligenti, anche se non sempre può sembrare, e siamo abituati a porci delle domande.
Credo che un po’ a tutti sia capitato di aver provato almeno una volta nella propria vita, il fascino dei momenti in cui con piena soddisfazione ci siamo lasciati prendere da quello che stavamo facendo, con passione, con trasporto, dimentichi di noi stessi e di quanto ci stava attorno, spazi di tempo irripetibili, quasi magici.
Niente di straordinario. C’è anche chi ha definito questo stato con il termine ‘autotelico’, cioè di attività che è fine a se stessa, che dà piacere in quanto tale, a prescindere dal compenso o dall’interesse che ne ricaviamo. Ne scrive Mihaly Csikszentmihalyi, psicologo sociale dell’Università di Chicago, autore della “Flow Theory”. La Teoria del flusso fornisce un altro modo di pensare le organizzazioni sociali, a partire dalle scuole, per creare le condizioni del migliore benessere per studenti e insegnanti e per tutti quelli che lavorano in generale. È possibile per i lavoratori, gli studenti e altri ancora raggiungere l’ottimizzazione delle loro esperienze?
Mihaly Csikszentmihalyi, pioniere della teoria del flusso, descrive quali sono le caratteristiche di un’esperienza ottimale. La concentrazione è così intensa da lasciare in disparte ogni altro pensiero e problema. La coscienza di sé scompare, come il senso del tempo. L’attività produce una tale gratificazione che si è disposti a tutto, a prescindere da quello che si ricava, dalle difficoltà e dal pericolo.
È quello che prova l’artista immerso nel suo lavoro creativo, la spinta, il flusso che lo guida è così intenso che dimentica la fatica, la fame, i disagi. Lo stesso accade nel gioco dei fanciulli e degli adulti, che completamente immersi nella loro attività finiscono per condividere un’esperienza simile a quella dell’artista.
Sostanzialmente un invito a riscoprire il piacere di fare le cose non per un guadagno, ma per il valore dell’esperienza in sé, solo questa è la strada verso l’ottimizzazione.
Cosa significa ciò in campo educativo? Csikszentmihalyi distingue tra attività orientata ad ottenere una ricompensa e attività fondate sul ‘flusso’, sul piacere dell’attività in quanto tale. Insegnare ai fanciulli a diventare buoni cittadini non è ‘autotelico’, mentre lo è apprendere il piacere di interagire con gli altri bambini.
Gli studi condotti dal team di ricercatori dell’Università di Chicago sul grado di soddisfazione dei lavoratori hanno fornito molti esempi di esperienze fondate sulla teoria del ‘flusso’, nate dal desiderio individuale di compiere quell’attività o dalle sfide del lavoro.
Nell’educazione l’esperienza del flusso è importante perché indipendente dalle proprie capacità, dalle sfide e dal compito in quanto tale. Ma i nemici di questo magico stato personale sono appunto la noia, ciò che è routinario, l’ansia.
Chiedere ad uno studente o ad un lavoratore di svolgere compiti che non lo coinvolgono induce noia, come porlo di fronte ad attività che eccedono le sue capacità produce ansia. In entrambi i casi tutto ciò non può contribuire al benessere individuale.
Il flusso dell’intelligenza, il piacere di essere preso, immerso nei pensieri sono l’aspetto più importante dell’istruzione. È quello che si prova quando si legge, la lettura è per Csikszentmihalyi la più completa esperienza di flusso che ci sia al mondo. Leggere coinvolge tutti gli aspetti del flusso, la concentrazione, l’oblio di se stessi e del tempo. Quando le persone leggono provano una esperienza intensa di piacere. La stessa che si prova nel comporre un puzzle, nel risolvere un problema, di fronte ad un’opera d’arte, nel condurre una ricerca scientifica, nel formulare idee in campo sociale, economico, politico, nell’esplorare temi di carattere filosofico. Tutte queste attività sono cruciali per l’istruzione, perché possono produrre la gioia profonda del pensare.
Ce n’è quanto basta per riflettere sul lavoro delle nostre scuole, sui loro curricoli e sulla organizzazione del lavoro scolastico. Si possono ottenere migliori risultati se ci si occupa di fare dell’istruzione e dell’apprendimento un’attività gratificante, attenta al benessere, non solo fisico, ma soprattutto psicologico di ogni allievo.
La ‘teoria del flusso’ di Mihaly Csikszentmihalyi offre numerosi spunti interessanti per chi li sappia cogliere, nella direzione di rendere ottimale la qualità del tempo educativo che i nostri giovani investono sui banchi delle nostre scuole.
Lo studio potrebbe divenire per le nostre ragazze e i nostri ragazzi un vero oggetto del desiderio, perché il luogo in cui si vivono i momenti magici dell’intelligenza, presi dal piacere del flusso di scoprire i saperi, anziché costretti dal compenso dei voti e delle promozioni alla routine dei compiti, all’ansia delle interrogazioni, alla noia delle lezioni.
Non è la ‘resilienza’ la nuova parola d’ordine dell’apprendimento, come pretenderebbe David Puttnam, il lord inglese impegnato sui temi dell’istruzione, autore di programmi culto sulla scuola in televisione e sul web.
La ‘teoria del flusso’ è l’opposto della pedagogia muscolare della ‘resilienza’, come capacità di sopravvivere in questo sistema, senza nulla cambiare. Csikszentmihalyi ci insegna, invece, che una vita migliore è possibile ed è nelle nostre mani. Ne possiamo sperimentare i momenti più affascinanti, che non sono prerogativa dei soli artisti, ma diritto di tutti a partire dai nostri giovani nelle scuole.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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