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Mentre l’ultimo report dell’Ocse segnala ancora una volta la distanza del nostro sistema formativo dal mondo del lavoro e, guarda caso, contemporaneamente alla mobilitazione degli studenti contro le esperienze di alternanza scuola lavoro, la Pearson, multinazionale di servizi per l’educazione, contraddistinta dal motto “always learning”, apprendere sempre, di report pubblica il suo: “The future of skills employment in 2030”. Insomma il futuro dell’occupazione da qui a circa quindici anni.
Si tratta di una ricerca che la Pearson ha condotto sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito in collaborazione con la fondazione Nesta per l’innovazione. Sebbene lo scenario non sia il nostro, in tempi di globalizzazione matura è difficile pensare che le indicazioni che se ne possono derivare non valgano anche per noi.
I risultati indicano una relazione particolarmente forte tra capacità cognitive di ordine superiore e futura domanda professionale: abilità relative al pensiero sistemico, capacità di riconoscere, capire e agire su interconnessioni e feedback nei sistemi sociotecnici, capacità di giudizio e processo decisionale, analisi dei sistemi e valutazione di sistema. La futura forza lavoro avrà bisogno di un’ampia base di conoscenze oltre a quelle caratteristiche più specializzate che saranno necessarie per occupazioni specifiche.
Del resto già il Research Council aveva avvertito che una combinazione di abilità cognitive intrapersonali e interpersonali: flessibilità, creatività, iniziativa, innovazione, apertura intellettuale, collaborazione, leadership e risoluzione dei conflitti, è essenziale per stare al passo con il XXI secolo.
Qui si pone il tema del rapporto tra formazione e occupazione per quanti nel 2030 si presenteranno sul mercato del lavoro e che attualmente frequentano il primo ciclo del nostro sistema scolastico.
La prospettiva che si trovano di fronte è quella di una vita lavorativa in cui dovranno mutare diverse occupazioni e per questo sarà necessario possedere una molteplicità di competenze facilmente trasferibili da un ruolo all’altro. Un quadro che contrasta con l’organizzazione dei nostri curricoli scolastici ancora impostati sull’apprendimento di contenuti e di abilità procedurali simili a prescrizioni o a ricette da seguire. Oggi i sistemi formativi di tutto il mondo sono davanti alla sfida di preparare i giovani a una reinvenzione incessante di se stessi e a impieghi che ancora non esistono.
Da questo punto di vista la nostra scuola caratterizzata dall’individualismo e da una aspettativa di carriere lavorative uniformi non può più funzionare. Nel futuro prossimo prioritarie saranno le capacità di collaborazione, comunicazione e risoluzione dei conflitti per affrontare situazioni complesse che richiederanno contributi multidisciplinari. Le nostre aule sono troppo rivolte al passato, con insegnamenti fondati sulla presentazione di contenuti e di istruzioni, è come se continuassimo a formare studenti destinati a girare la manovella di una pianola, quando il futuro ha necessità di studenti che imparino ad improvvisare in una jazz band.
Eppure non mancano le opportunità per invertire la rotta. Globalizzazione e automazione, digitalizzazione e media possono costituire potenti strumenti per preparare i nostri studenti a una vita di intelligenza collaborativa, a creare spazi digitali, ad elaborare linguaggi creativi. I media oggi consentono la simulazione in aula, offrono agli studenti la possibilità di “indossare i panni” di molti ruoli professionali prima di entrarvi. In rete esistono programmi e ambienti di programmazione gratuiti che danno agli studenti l’opportunità di essere produttori, di formarsi all’innovazione, all’iniziativa e al lavoro di squadra.
La chiave da tempo sottolineata a livello mondiale dalle ricerche più avanzate sull’apprendimento, rispetto alla quale le nostre scuole sono in grave ritardo, è l’apprendimento per problemi, l’apprendimento per progetti, fare delle classi dei laboratori dove sia normale apprendere lavorando. Tutte cose che da noi non si praticano perché il focus resta ancora tenacemente incentrato sulle singole discipline, sulle materie tra loro disperatamente isolate.
Apprendere per problemi consente agli studenti di apprezzare la rilevanza della loro preparazione in classe e di essere consapevoli dei modi multidisciplinari con cui la conoscenza accademica può migliorare il mondo reale.
Abbiamo innanzitutto bisogno di reinventare i nostri modelli educativi ormai obsoleti, ma il vero e più grande ostacolo che in questo processo abbiamo di fronte non è l’apprendimento, ma il disimparare, imparare a disimparare ciò che ci fa da ostacolo all’innovazione.
Una sfida centrale del nostro tempo è la creazione di supporti intellettuali, emotivi e sociali che consentano agli studenti di svolgere il difficile compito di disimparare continuamente i vecchi metodi di istruzione, mentre contemporaneamente ne imparano di nuovi. Se ciò avrà successo, gli studenti saranno presto gli inventori del loro futuro.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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