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L’Europa tradita di Ventotene e la sudditanza senza fine all’alleato padrone

Come doveva essere l’Europa secondo i suoi fondatori?

Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, nel Manifesto di Ventotene  -isola in cui erano stati confinati- fatto rocambolescamente uscire nel 1941, l’anno più nero, quando il nazismo (e il fascismo a ruota) dominavano l’Europa, con visione profetica indicarono le “condizioni” di edificazione dell’Europa post bellica: “socialista” (oggi diremmo di progresso o democratica). Non secondo l’approccio della collettivizzazione sovietica, ma un continente in cui “le forze economiche non debbono dominare gli uomini ma essere da loro sottomesse, guidate, controllate affinchè le grandi masse non ne siano vittime. Al tempo stesso le forze di progresso che scaturiscono dall’interesse individuale non vanno spente…ma esaltate, estese offrendo loro una maggiore opportunità di sviluppo…vanno consolidati e perfezionati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggior vantaggio per tutta la collettività”. Di qui la formulazione secondo cui “la proprietà privata deve essere abolita, limitata, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio”. Seguono alcuni presupposti indispensabili:

a) non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività monopolistica, sono in condizione di sfruttare la massa dei consumatori;

b) occorre eliminare i ceti parassitari e perciò “distribuire le ricchezze accumulate nella mani di pochi privilegiati” per effetto del “diritto di proprietà e di successione”, il che dovrebbe “accadere durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario”;

c) “i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze tra le posizioni di partenza nella lotta per la vita”;

d) occorre “assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio, il vestiario col minimo di conforto necessario per conservare il senso della dignità umana”;

e) “la liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti”.

A ben vedere la Costituzione Italiana ha preso spunto dai propositi di Spinelli e Rossi, che ritroviamo negli articoli 3 (dignità della persona), artt. 42 e 43 (limitazioni della proprietà privata in funzione della utilità sociale). Per venire ai temi di oggi ci sono spunti anche per il “salario minimo”, già auspicato, peraltro, dal fascismo del 1919 e per un sussidio di cittadinanza ai più poveri che si può desumere dal punto d).

Agli “europeisti” si potrebbe far notare che la crescita delle destre è dovuta ad un’ Europa dell’euro e della moneta incentrata sul libero mercato e su quella “dittatura del denaro” molto lontana dai nobili propositi dei suoi fondatori. Un’ Europa che ridimensiona il Welfare a colpi di quel “Patto di Stabilità” che anche Mario Draghi critica nel suo intervento a Washington del 14 febbraio alla Nabe Economic Policy Conference, quando dice: “…la UE agisca unita per cambiare l’azione delle banche centrali…serve un debito comune per fare investimenti sociali…occorre una difesa comune…se vogliamo preservare la democrazia…le banche centrali dovranno essere più attente alle politiche di riequilibrio se vogliamo difendere i nostri valori sociali europei… di fronte alla globalizzazione non gestita,…facilitare aiuti di Stato ove giustificati,…coordinare la difesa…una politica di bilancio più significativa…che vuol dire deficit pubblici persistentemente più alti,…affrontare le disuguaglianze… ”. Sembra un discorso da socialista. Fa una certa impressione, perché Draghi non ha supportato queste politiche quando lui era al Governo, se si esclude il 2012 quando alla BCE, per difendere l’euro, avviò il “whatever it takes”, cioè una politica di deficit spending keynesiana (seppure in ritardo di 3 anni sulla Federal Reserve Usa). Ammetterà che il suo Governo non è “riuscito” a tassare i superprofitti di banche e imprese, né a tassare le successioni dei ricchi…

Draghi dice solo una mezza verità: omette di aggiungere che le cose che racconta sarebbero realizzabili se l’Europa diventasse autonoma dagli Stati Uniti, se oltre alla difesa si dotasse di una sua propria politica estera, ma ciò sarà possibile (come afferma anche Lucio Caracciolo) quando Germania e Italia daranno vita a nuovi accordi che modifichino quelli siglati nel secondo dopoguerra nell’ambito degli aiuti del Piano Marshall, che ci imponevano di seguire gli Usa per cent’anni in politica estera.

L’Europa (con Inghilterra e Russia entrambe fuori) è diventata, soprattutto negli ultimi 20 anni di “globalizzazione non gestita”, la 52^ stella degli Stati Uniti, incapace di darsi una propria politica estera e di perseguire al proprio interno il progetto social-egualitario di Spinelli e Rossi.

A giugno avremo le elezioni europee. Le destre avanzano ma non saranno ancora capaci di governare col PPE. A novembre nelle elezioni americane potrebbe vincere Trump, eventualità considerata disastrosa da molti analisti. Di certo arriverebbe uno “scossone” che potrebbe, però, spingere l’Europa a scelte finora sempre rinviate, come una difesa comune e la propria edificazione come polo autonomo capace di vere politiche sociali.

Photo cover: Altiero Spinelli e la moglie Ursula Hirschmann

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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