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Oggi, vi invito ad avvicinarvi all’arte per vedere come possa essere uno strumento per giocare insieme e guardare con occhio curioso le cose. Così vi racconto di “una caccia al tesoro” con due amici fotografi, Corrado Pavani e Paolo Squerzanti. Un gioco che nella ovvietà dell’immagine cercata, un cuore disegnato, ha provato a superare la banalità e ha trovato creatività e bellezza.

D.W. Winnicot un illustre psicoanalista ha scritto un intero libro sull’importanza del gioco per conoscere la realtà e coltivare nel tempo la creatività. Afferma Winnicott: “l’esperienza culturale comincia con il vivere in modo creativo ciò che in primo luogo si manifesta nel gioco”.

VOGLIO DIRLO A TUTTA LA CITTÀ (*). La forma inconfondibile del cuore

L’amore è un sentimento senza tempo. I modi per dimostrare l’amore rispecchiano la storia … oggi ad esempio, la velocità del lessico dei social : “TVB”. C’è però una cosa che resta indelebile, nonostante tutto: le scritte sui muri. Le stesse frasi ricorrenti, espresse, se non in maniera completamente artistica, sicuramente in maniera plateale.

Esiste da sempre, tra gli innamorati, la necessità di fare outing, di uscire allo scoperto e dichiarare il proprio sentimento al prescelto. Anzi di più: la volontà di dirlo a tutta la città.

L’innamorato di turno rappresenta con un simbolo, il cuore, ed un predicato verbale, ti amo, il suo stare di fronte all’oggetto amato, e lo presenta allo sguardo di tutti perché il suo gesto appartiene allo stesso ordine del manifestarsi nel mondo.

L’autore produce un’immagine che è “fenomeno”, “presentificandola” egli attualizza la propria realtà interna. La sua è una testimonianza concreta e visibile, la sua voglia di stupire la persona amata lo porta ad esporsi. Un gesto romantico, sentimentale, stupido, gratuito, che non ha la certezza della risposta sperata e lo induce al rischio del rifiuto e del dileggio.

“Ti amo” è urlato di fronte a tutti, in esso c’è solo l’urgenza emotiva che lo evoca. Il discorso d’amore appare unilaterale, ma non è un soliloquio, non rimane tra sé e sé, non è sussurrato all’amato, ma è detto con forza a chiunque transiti vicino al luogo in cui quel grido è emesso.

Si può notare, come scrive Barthes analizzando i topoi fondanti del linguaggio amoroso, che in essi i gradi di libertà e la creatività individuale risultano piuttosto ridotti. “Io ti amo” è quasi un motivo sintattico, un refrain, che, però, serve a plasmare quell’unica frase che può esprimere l’immediato emotivo.

Ma la dichiarazione d’amore non è delegata solo alle parole scritte. Più spesso ciò che si vuole rivelare è sintetizzato, tradotto o accompagnato da una immagine simbolica. Il simbolo contiene, infatti, di per sé, quello che vuole significare; è qualcosa di più concreto, statico, assoluto e il contesto (basta un muro scalcinato, una corteccia, una panchina, una vetrata) non è basilare nell’interpretazione.

Il legame tra oggetto significato e immagine significante è sempre decodificato in maniera intuitiva e immediata, non necessita di un’elaborazione intellettuale e trova la sua forza non nella originalità del segno, ma in virtù della sua ovvietà convenzionale. Il cuore simbolo possiede un significato immediato, il sentimento d’amore contenuto al suo interno che si riveste di una valenza metafisica nascosta, espressa dall’intimo rapporto tra la raffigurazione sensibile del simbolo e la sua valenza ideale.

[Traduzione: Secondo alla sua Prima.”Ovunque tu sia, buongiorno. Ti prego Signora , amami”] Epigrafi a Pompei
Appare fin dall’antichità e lo si trova già in alcuni geroglifici come triangolo rovesciato, che indicava la sede dell’anima, forma che conserva tuttora anche se tondeggiante. Ma era molto di moda anche tra gli antichi greci, tanto che è stato ritrovato su monete risalenti a 3000 anni fa. Il disegno riproduceva la forma del seme del Silfio, una pianta che, per le sue proprietà come contraccettivo, era strettamente associata all’amore.

Nel corso della storia, a seconda delle idee dominanti, il cuore è stato usato alternativamente, in queste due accezioni, come luogo di tutte le emozioni o come sede privilegiata della passione amorosa.

Anche la religione ha usato questo simbolo: nell’Islam il cuore è il trono di Dio, nella devozione cristiana è simbolo della passione di Gesù o dell’amore materno della Madonna. Nell’arte e nella letteratura è stato riproposto sia nell’accezione di amore terreno sia dell’amore mistico.

Tutto molto lontano dalla realtà biologica di quest’organo vitale che, anzi, quando è riprodotto nella sua tangibilità corporea, non ci provoca moti dell’animo o turbamenti emozionali, ma più sensazioni angoscianti di disgusto e di morte. Il simbolo, riportato all’oggetto concreto, perde tutta la sua valenza sentimentale, riportandoci in un mondo materiale, prosaico, mortale, finito.

Anche l’arte contemporanea si serve di questa icona inconfondibile.
Mart ad esempio è un artista che disegna il mondo a forma di cuore per esprimere “l’amore che ho per l’arte” e poi lo attacca su carta in giro per la città. E poi Harring, Freda Kahlo, ChagallScrivere sui muri è un facebook ante litteram, è voler essere sotto gli occhi di tutti, il più possibile, di tutta la città almeno.

Ma il disegno di un cuore non è in assoluto un’opera d’arte. Non è street art, perché non è un gesto che mira all’arredo urbano, non è un’opera sito specifico, perché non è pensato come intervento estetico da inserire in un dato luogo, se non per una intenzionale strategia legata all’attraversamento del destinatario. Non è neanche una provocazione da writer, che attraverso il suo tag è se stesso che vuole mostrare.

Il cuore invece insegue finalità romantiche, la voglia di stupire una sola persona, quella amata, mentre tutti gli altri rivestono solo il ruolo di testimoni. Eppure c’è arte. C’è nella misura in cui è un gesto espressivo, c’è quando rende visibile un affetto interno, c’è quando il risultato della comunicazione risente dello strumento utilizzato (penna, vernice, intaglio), e interagisce con il supporto (muro, corteccia, sabbia).

Siamo nel campo dell’estetica quando l’artista innamorato deve fare i conti con la probabilità di essere visto, o le difficoltà materiali d’esecuzione per imprimere quel segno: tecnica, sperimentazione, progetto.

L’icona grafica del cuore è ormai quello che viene definito un glifo, sfruttata per la sua facile intelligibilità e adottata da numerosi marchi. Da uno stereotipo scontato sono sorte interpretazioni o commistioni inesauribili che hanno originato un’iconografia nuova e al tempo stesso familiare.

Ma, all’artefice che noi stiamo osservando non interessa colpire il vasto pubblico, l’offerta è solo per un unico sperato acquirente, l’uso del cuore è solo quel cuore e l’io ti amo non è una riproposta popolare, non è mai, assolutamente, scontato.

Percorro questa strada, la SS 16 in direzione di Ferrara, quotidianamente da oltre 20 anni e, alla casa cantoniera di Gaibanella, leggo questo messaggio d’amore da altrettanto tempo. La scritta, probabilmente, è anche più vecchia.

È una scritta rossa sull’intonaco sgretolato bianco e ricorre più volte sui diversi lati della casa. Orietta, il fortunato oggetto d’amore di un uomo che dichiara il suo sentimento ma non il suo nome.

L’apparire di quella scritta ogni giorno ha un effetto rassicurante. Indipendentemente dall’esito reale di questa storia d’amore, quando leggo: “Orietta, ti amo” permetto a quell’amore di resistere nel tempo e di essere continuamente confermato.

“Orietta ti amo” lo leggo oggi ed è oggi che è vivo; non è come una foto ingiallita, una lettera ritrovata che ti ancora al passato. Non evoca nostalgia, non provoca l’annoiato senso di un cliché ripetuto e stanco. “Orietta ti amo” ti illude che l’amore sia immortale, immutabile nel tempo anche se, forse, con il tempo non è più stato pronunciato. “Ciao amore mio” è ribadito nell’eterno incontrarsi del mattino e nell’accomiatarsi della giornata.

Paolo, Corrado ed io ci siamo divertiti a collezionare fotografie di cuori e scritte amorose. Ma non siamo gli unici: c’è un blog che si intitola Amoregridatosuimuri; il sito di Repubblica riporta un articolo: Scritte sui muri: l’amore sgrammaticato.

Ci sono altri che si offrono di scrivere biglietti d’amore per S. Valentino e messaggi amorosi. Noi abbiamo cominciato per dare risposta ad una curiosità romanticamente antropologica: “Cosa spinge un innamorato a cercare di mettere sotto gli occhi di tutti il proprio sentimento, e tutti gli innamorati in modo analogo?”

Ma, avvicinandoci a queste parole urlate, che non riuscivano a stare contenute nell’intimità e nella riservatezza, ci siamo accorti che, man mano, il nostro sguardo cambiava. Le stesse parole, lo stesso simbolo ma nessuna scritta, nessun disegno uguale all’altro. E, acuendo lo sguardo, oltre la tenerezza o la poesia abbiamo scorto la bellezza.

Una scritta veloce che lascia trasparire il gesto, come nella painting art di Pollok, e che noi riusciamo a percepire in quelle gocce di vernice, non previste, ma che rendono quella scritta più pregnante.

La cura nel definire il contorno, in modo che le iniziali rimangano racchiuse e protette. Un accostamento cromatico gradevole, forse involontario, accessorio, ma che dona più eleganza al tratto. La scritta avventurosa, in un luogo eroico da conquistare. Quella pensata, preparata, realizzata con cura e intenzionalità.

In tutto questo noi abbiamo cominciato a vedere bellezza. Le nostre macchine fotografiche hanno messo a fuoco quei particolari che andavano oltre la contingenza della dichiarazione.

Diventavano davvero metafore universali, per cui le iniziali, la frase specifica, diventavano un pretesto per inneggiare all’Amore e agli Innamorati. Dal contenuto all’estetica.

E, laddove i veri protagonisti cercavano di dare voce al loro sentimento privato, gli scatti dei fotografi astraevano quel momento soggettivo a testimonianza di un sentimento universale.

Un segmento di vita veniva visto nella sua portata immortale. Ed è in ciò per noi la bellezza.

Disegna il tuo cuore. Cartellone disegnato dai visitatori della mostra

La ricerca della forma inconfondibile del cuore era diventata una piccola ossessione non so quanti scatti abbiamo fatto!

Il gioco è diventato un progetto che ha dato luogo ad una mostra e ad un libro. Ma se vi piace giocare potete continuare la caccia al tesoro.

 

(* )“Voglio dirlo a tutta la città. La forma inconfondibile del cuore” è il titolo della mostra che si è tenuta tra il 5 marzo e il 10 aprile 2016, presso la sala esposizioni del Mercato Centro Culturale di Argenta, e del libro/catalogo di Corrado Pavani, Paolo Squerzanti e Giovanna Tonioli, pubblicato per l’occasione.

Per leggere gli  altri interventi  della rubrica L’Arte che Cura di Giovanna Tonioliclicca sul nome della rubrica o su quello dell’autrice.

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Giovanna Tonioli

Giovanna Tonioli da molto tempo si occupa di Dipendenze Patologiche nel servizio pubblico. A lungo, come educatrice, ha pensato di fare uno dei mestieri più belli perchè coraggioso, avventuroso, “stupefacente” come le storie delle persone. Il battesimo lo deve a Marco Cavallo e, sull’onda del pensiero della Psichiatria Democratica, le piace abbattere le porte chiuse e lottare contro tutte le forme di stigma; è testimone delle più svariate umanità. Si è laureata in Psicologia clinica, si è specializzata presso l’Istituto di Psicoterapia Espressiva di Bologna ed è socia di Art Therapy italiana. Lavora a Ferrara. L’incontro con l’arte terapia è stata una svolta importante sia personale che professionale – ma Marco Cavallo lo sapeva già – e così come libero professionista svolge l’attività di Psicoterapeuta Espressiva, dove l’arte, la creatività e l’estetica si sposano con la psicoanalisi, le neuroscienze, la mente con il cuore delle persone. Una terra di mezzo, uno spazio transizionale in cui le parole possono incontrarsi con tutte le forme espressive, il rigore con la curiosità e il gioco, la disciplina con l’immaginazione. Giovanna è anche un mezzo (e sottolinea “mezzo”) soprano, una sfocata fotografa, un’artista naif. Vive in provincia di Ferrara, precisamente alla Cuccia, una piccola casa in uno sperduto borgo di campagna, con i suoi cani che nel tempo si avvicendano, ma che, sempre, sono a loro modo grandi maestri di vita.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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