Il mio presepe è vuoto
L’8 dicembre, Festa dell’Immacolata, è per tradizione il giorno in cui molti preparano l’albero di Natale o il presepe. Anch’io sono tra quelli.
Prendo le scatole che contengono le cose che servono per il presepe ma sono bloccata.
Tengo nella mano la statuina del Bambin Gesù ma penso che non posso metterlo nella grotta: il bambinello è morto. Forse è nato prematuro perché Maria, la madre, è traumatizzata dai bombardamenti e non c’è energia per le incubatrici, forse fa parte dei duemila bambini che sono morti sotto il fuoco incessante dei bombardamenti, forse ancora è il frutto di uno stupro accaduto durante una grande festa e la mamma è stata violentata e il padre, Giuseppe, preso in ostaggio e se non sono stati uccisi ne riparleremo il prossimo anno.
No, non posso metterlo nel Presepio.
Allora penso metterò nella capanna Maria e Giuseppe piangenti vicino alla culla vuota. Ma no! Sono stati colpiti insieme a tanti, ventimila persone, nel tentativo di scappare alle bombe e ai missili. O sono in quella colonna interminabile obbligata a spostarsi al Sud di Gaza.
Ripongo nella scatola la Sacra Famiglia.
Devo pensare a qualcosa almeno di simbolico per il mio presepe. Metterò la grotta in cui forse troveranno rifugio. Sì. È un buon simbolo.
“Tu scendi dalle stelle
E vieni in una grotta al freddo e al gelo
O Bambino mio, io ti vedo qui a tremar
Mancano panni e fuoco”
Ma che dico! Tutto il paese è diventato un cumulo di macerie, le case gli ospedali le scuole sotto la raffica dei colpi compresa la taverna in cui la sacra famiglia avrebbe chiesto ospitalità, stalla compresa.
Nella scatola ci sono il bue e l’asinello ma … servono per spostare i carri con le poche cose per l’esodo forzato di migliaia di palestinesi. Questo è l’imperativo di Israele. Come allora quando in tanti dovevano spostarsi per il censimento imposto dai Romani. E poi non c’è bambinello da scaldare.
Penso allora di costruire un paesaggio con i pastori, le pecorelle, le botteghe: quella del falegname, del fabbro, la lavandaia, la donna che cuoce il pane, il macellaio, il venditore di ricotta e formaggio, il pollivendolo, il venditore di uova, il venditore di pomodori e frutta, il vinaio, il pescivendolo. Ma di nuovo dimentico che tutti tranne i ventimila che sono morti stanno fuggendo, sperando di non essere colpiti dai carri armati o dai raid aerei. Che non c’è cibo, che la farina è finita, che non c’è acqua.
Perciò neanche le botteghe e i personaggi del presepe trovano posto.
Le stelle che i pastori vedono, che li avrebbe destati sorpresi dal sonno per l’adorazione del Bambino Gesù non sono quelle per arrivare al presepio, sono le luci accompagnate da fragori terribili e assordanti. Splendono sì, e la loro luce è più forte delle stelle di Natale.
Rimane il paesaggio: sarà vuoto ma bellissimo. Il cielo pieno di stelle, il ruscello, le montagne
Le stelle brillano ma sono sempre le scie delle bombe, l’acqua non c’è in queste strade polverose. Che senso avrebbero le montagne che circondano il nulla?
Nella scatola del presepe mi rimangono gli angeli.
Me li ricordavo eterei piumati sorridenti e dolci e invece li ritrovo spaventati e incapaci a oltrepassare il fuoco di colpi che attraversano il cielo.
Alla fine trovo i Re Magi, di solito li metto lontani perché sono in viaggio e arriveranno per l’Epifania. I re magi non riescono a passare i confini, trovano chiusa ogni via di collegamento,
La stella cometa che li guidava
Astro del ciel
Luce dona alle menti
Pace infondi nei cuor
anche lei era la scia di una bomba.
I Re Magi si sono fermati. Sono Tre perché era il numero dei continenti allora conosciuti, oggi ce ne sarebbero di più ma non cambierebbe niente. Eppure loro potrebbero fare qualcosa ma riportano i doni a casa. Rimangono ai confini immobili e inutili.
Quest’anno il mio presepe è vuoto, anzi è pieno solo di ruderi, di rovine, di sudari.
Aspetterò il prossimo Avvento:
(…) un felice Natale
e un meraviglioso anno nuovo
speriamo che sia davvero un buon anno
senza alcuna paura
la guerra è finita, se lo vuoi
la guerra è finita, adesso
John Lennon, Happy Xmas (War Is Over)
Cover: Gaza, dicembre 2023
Giovanna Tonioli
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
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Bellissimo racconto della modernità, terribile e amara.
complimenti
Racconto sincero e pieno di umanità indignata. Grazie Giovanna.
P.s.: ora per mandarti questo commento devo andare a dimostrare che non sono un robot come quelli che buttano le bombe dagli aerei.
racconto sincero e pieno di umanità, grazie Giovanna .
P.S.:ora per mandare questo commento devo dimostrare che non sono un robot come quelli che buttano le bombe dagli aerei sulla gente .
grazie per averci condotto per mano in questa riflessione che almeno per i minuti della lettura ci tiene connessi alla nostra umanità.
Grazie Giovanna per questo racconto che è anche una riflessione sul nostro terribile presente, sulla guerra e su tutte le sofferenze che l’ accompagnano. Ci fai ricordare che i simboli rischiano di essere vuoti contenitori e che la realtà va sempre guardata negli occhi.
Grazie Giovanna per il tuo racconto che è anche una riflessione sulla guerra e sulle sue terribili conseguenze. Ci ricordi che i simboli possono essere ormai privi di significato e che la realtà va sempre guardata negli occhi