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da: ufficio stampa giunta regionale Emilia-Romagna

Il settore moda emiliano-romagnolo presenta oltre 7.200 imprese per la parte manifatturiera, circa 52 mila addetti nonché un export di 4,6 miliardi di euro che rappresenta il 12,7% delle esportazioni nazionali. Oggi in Regione un confronto per costruire nuove politiche industriali che valorizzino il sistema moda traducendolo in processi di innovazione e ricadute concrete di sviluppo dei territori. Gli assessori regionalei Palma Costi e Patrizio Bianchi:”Il rilancio del fashion emiliano romagnolo passa da ricerca, innovazione, export e una produzione a forte identità che possa poggiare su una rinnovata rete di distribuzione”.

Bologna – Più di 7.200 imprese per la parte manifatturiera (5,5% delle imprese regionali), circa 52 mila addetti (il 5,1% degli addetti regionali), un export di 4,6 miliardi di euro (12,7% delle esportazioni nazionali). E se alla parte tipicamente industriale si aggiunge la componente terziaria legata alla filiera della moda – con quasi 23 mila imprese che impiegano circa 90 mila addetto – il fashion made in Emilia-Romagna raggiunge quasi 30 mila imprese e 142mila addetti.
Sono questi, in sintesi, i numeri del sistema moda in Emilia-Romagna, un tassello importante nell’economia regionale duramente colpito dalla crisi economica, emersi nel corso dei lavori del convegno “Emilia-Romagna Fashion. Quale politica industriale per il sistema moda” svoltosi oggi a Bologna in viale Aldo Moro dove tra l’altro, durante i lavori, sono stati presentati approfondimenti e scenari sul tessile, abbigliamento e calzaturiero: un confronto finalizzato a costruire nuove politiche industriali per valorizzare la filiera moda traducendole in processi di innovazione e ricadute concrete di sviluppo dei territori.
Il settore del fashion che ha registrato una fase di rallentamento dovuta in parte alla crisi economica globale in parte alla forte contrazione della domanda interna nonché ad un necessario riposizionamento delle imprese e ad una ristrutturazione generale che sta portando verso nuovi assetti organizzativi. Infatti dal 2003 al 2015 la produzione complessiva è calata del 41,9%, mentre con l’avvio della crisi, dal 2008 al 2015, il fashion ha perso complessivamente il 7,8% delle imprese e 10,4% degli addetti (sul versante produzione -14,8% le imprese e -18% gli addetti mentre per quanto riguarda la parte commerciale -4,4% le imprese e -0,2% gli addetti).
«Esistono diversi livelli su cui è necessario agire per rilanciare il sistema. Da un lato – spiega l’assessore regionale alle Attività produttive Palma Costi – occorre agire sul livello nazionale per affrontare e discutere le questioni che riguardano anche il commercio internazionale, la tutela del “made in” e le questioni che riguardano il credito d’imposta e la fiscalità. Dall’altro, la Regione, ha già messo in campo misure ed azioni per supportare e incentivare l’internazionalizzazione, la nascita di nuove imprese, e la promozione dell’innovazione anche nelle imprese di piccole dimensioni. In questo incubatori, acceleratori e Fablab diventano luoghi non solo di contaminazione e trasferimento ma anche di raccolta di nuove idee e nuovi modi di interpretare la moda. Due i prossimi passi. Il primo è quello di portare le nostre proposte al Governo chiedendo un confronto anche sulle politiche del commercio internazionale e sulla fiscalità delle imprese; il secondo è quello di organizzare un focus nazionale specifico sull’internazionalizzazione».
«La Regione – spiega l’assessore regionale alle Attività produttive Palma Costi – sta mettendo in campo misure rivolte soprattutto alla formazione, sia tecnica che alta formazione, alla nascita di nuove imprese, alla contaminazione tra poli tecnologici e impresa per l’incremento e la diffusione dell’innovazione anche nelle imprese di dimensioni minori. In questo i Fablab diventano luoghi non solo di contaminazione e trasferimento ma anche di raccolta di nuove idee e nuovi modi di interpretare la moda che diventano ancor più fondamentali per questo settore».
L’assessore regionale al Lavoro e Università Patrizio Bianchi ha evidenziato che il comparto della moda «per affrontare i nuovi mercati globali con una produzione e una distribuzione competitive, deve saper coniugare ricerca, innovazione e nuove tecnologie all’identità del patrimonio produttivo stratificato nel tempo. I prodotti di qualità del nostro manifatturiero debbono avere come valore aggiunto la capacità di esaltare l’identità del prodotto stesso e del territorio in cui è realizzato. Riposizionare il sistema del fashion e presidiare il mercato globale è possibile con una produzione a forte identità che possa poggiare su una forte, ampia e innovativa rete di distribuzione».
Anche nella filiera della moda le imprese che esportano ed innovano riescono a competere. Le imprese esportatrici nella filiera della moda – considerando sia la produzione sia la commercializzazione (tessile, abbigliamento, pelli, macchine per la lavorazione, agenti commerciali, ingrosso, dettaglio e ambulanti) – sono complessivamente 2.047 (8,8% del totale): il 77% delle produttive esporta e di queste il 53% è esportatore abituale mentre il 53% del commercio esporta e di queste il 28% è esportatore abituale. Ben 1.045 (51%) delle esportatrici ha meno di 5 addetti, 15,7% delle esportatrici è impresa artigiana e l’8,2% delle artigiane della filiera moda esporta: il 28,2% la quota media per impresa esportatrice del fatturato realizzato all’estero sul totale fatturato.

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REGIONE EMILIA-ROMAGNA


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

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