Skip to main content

Fino al 1981 la Banca d’Italia era prestatrice di ultima istanza, cioè comprava tutti di titoli di Stato emessi dal Ministero del Tesoro che eventualmente fossero andati invenduti alle aste periodiche. Questo voleva dire principalmente due cose: la prima, era possibile tenere sotto controllo l’interesse al quale si voleva vendere i titoli; la seconda, conseguente alla prima, nel caso il mercato avesse preteso interessi troppo alti lo Stato italiano si sarebbe potuto rifiutare di pagarli avendo a sua disposizione un Ente pubblico che li avrebbe comunque comprati.
Un’altra considerazione da fare, anzi altre due: a quel tempo, quindi, si monetizzava il debito; in fondo se era possibile monetizzare i titoli allora sarebbe stato possibile anche evitare di inscenare la farsa dell’asta pubblica per la vendita di tali titoli.
Detto in maniera più chiara: se il Ministero del Tesoro poteva ordinare alla Banca d’Italia di comprare tutti i titoli invenduti, allora avrebbe potuto anche non emetterli chiedendole direttamente di stampare il corrispettivo in lire. Ma in ogni caso farlo, all’interno di un sistema controllabile, significava pur sempre dare un qualche guadagno al risparmio privato, un altro modo di rispettare la nostra Costituzione, quindi perché non farlo?

Dopo il 1981 si è deciso che bisognava affidarsi ai mercati, quindi che lo Stato non doveva più stampare moneta, ma poteva solo chiederla in prestito e di conseguenza si è decisa l’indipendenza della Banca d’Italia dallo Stato e la sua contemporanea sottomissione alle leggi del mercato. A distanza di ‘qualche’ anno e guardando i dati di crescita, di occupazione e di benessere ci sarebbe da fare qualche considerazione in merito a questa scelta.

Cosa succede oggi? Più o meno procediamo nella stessa direzione: verso il baratro. Lo Stato ha ceduto ulteriormente la propria sovranità monetaria alla Bce, ma mentre fino all’avvento dell’euro avrebbe potuto in ogni momento ritornare sulle sue decisioni e quindi ritornare a monetizzare il suo debito, oggi questa possibilità diventa sempre più remota. Diventa sempre più difficile riprendere il controllo della gestione statale anche perché tutte le leggi in programma per il futuro prossimo sono tese a ribadire questo concetto e sempre più a determinare la supremazia dei mercati in tema di finanziamento degli Stati. In pratica si rende possibile il loro fallimento qualora operassero scelte non gradite alle maestà regnanti il ciclo finanziario. Quindi: perenne ricattabilità.

Tuttavia, che soluzioni diverse siano possibili è sotto gli occhi di tutti, e questo è persino stupefacente. Basta seguire le orme dei nostri Btp decennali e le altalene dello spread. Per farlo partiamo da alcuni dati.

La Bce ha un capitale di quasi 11 miliardi versato dai paesi aderenti all’euro, più altri 120 milioni versati dai paesi che invece non vi fanno parte (per esempio Uk o Danimarca). In base all’ammontare versato si stabilisce la percentuale di partecipazione al capitale della stessa e quindi l’Italia avendo versato 1.332.644.970,33 milioni di euro ha una partecipazione del 12,3108%, in termini assoluti in questa graduatoria siamo terzi dopo Germania e Francia.

Dopo il marasma Berlusconi nel 2011, in cui il nostro spread nei confronti degli ottimi bund tedeschi era arrivato a più di 500 e si slanciava verso i 600, il governatore della Bce Mario Draghi annunciò che avrebbe avviato una grande operazione a sostegno del debito degli Stati attraverso l’acquisto di titoli sul mercato secondario. Operazione questa non nuova: si chiama ‘quantitative easing‘ (alleggerimento quantitativo) e serve per immettere soldi nel circuito monetario attraverso le banche commerciali. La banca centrale, che ha il potere di emettere moneta, ricompra cioè dalle banche commerciali i titoli di Stato che queste detengono e gli dà moneta fresca. Queste ultime, bontà loro, dovrebbero utilizzare questi soldi per immetterli nell’economia reale attraverso il credito alle imprese e i mutui alle famiglie.
Quanti titoli italiani possono essere comprati con questo sistema? Appunto una somma che equivale al 12,3108% del totale, meno la quota utilizzata per comprare obbligazioni, così come previsto dal programma della Bce, delle migliori aziende in circolazione. Insomma una cifra di cui abbiamo già ampiamente detto su queste pagine in altri articoli, ma il punto qui è un altro.

Attualmente il nostro spread oscilla tra i 170 e i 180, la Francia sopra 60, il Portogallo sopra i 350 e la Grecia sopra i 600. Più alto è lo spread più interessi si pagano e poiché uno stato per finanziarsi deve chiedere soldi sul libero mercato, più è alto lo spread e meno questi è propenso a prestargli soldi perché se lo spread è alto vuol dire che fai fatica a rimborsare il prestito per cui il mercato si fida di meno e se deve rischiare di più vuole essere per questo remunerato altrettanto di più. Può sembrare complicato, ma è semplicemente una ruota che gira su se stessa oppure il classico cane che si morde la coda.

Per abbassare lo spread, come abbiamo ampiamente verificato, c’è bisogno dell’intervento di una Banca Centrale e non tanto di un governo nuovo: quello che è successo a noi a partire dal 2011 insomma. Risolse la situazione il “whatever it takes…” di Draghi più che il governo Monti, che semplicemente aveva il compito di fare le riforme strutturali, ovvero di assicurare ai mercati che lo Stato sarebbe intervenuto sempre meno a sostegno di imprese e famiglie italiane. Compito che, tra l’altro, assolse in maniera ineccepibile!

Quindi il senso di tutto ciò è che una Banca Centrale può fare la differenza, è l’unica che può cavalcare i mercati, abbassare gli spread (e quindi gli interessi che si pagano sul debito emesso) e permettere a uno Stato di difendersi dall’ingordigia della finanza privata. Basterebbe per esempio che ci fosse un sistema mutualistico e di cooperazione tra i paesi dell’eurozona con cui superare il principio del Capital Key, secondo il quale la Bce compra i titoli di debito solo in proporzione al capitale versato a similitudine di quanto può avvenire e sembrare giusto in una sana competizione tra aziende private.
Quando, invece, si parla di Stati e non di aziende e interessi privati si dovrebbero tutelare gli interessi dell’intera cittadinanza, comprese donne e bambini, anziani e incapaci, lavoratori e pensionati. Quindi in questo momento la Bce dovrebbe aiutare, per esempio, Portogallo, Grecia e Italia. In altri momenti, altri paesi eventualmente in difficoltà.
Ma questo non potrà mai succedere in questo tipo di Europa da film dell’orrore. Perché i principi sono diversi, ognuno deve fare da e per sé, come nella giungla dove si sa dall’inizio chi vince: il più forte. Oggi il più forte è la Germania e quindi bypassa le regole che impone agli altri e fa il suo comodo; domani, quando il quadro normativo sarà completato e tutto il debito degli Stati sarà consegnato ai vari Soros del mondo, i più forti saranno i mercati finanziari e gli Stati saranno definitivamente distrutti e asserviti al ‘libero’ mercato.

Una Banca centrale che ha il potere di creare i soldi e che, come dice lo stesso Draghi, “ha ampie risorse per affrontare qualsiasi momento di difficoltà”, dovrebbe operare a favore degli Stati (cioè donne, bambini, vecchi, malati, pensionati e diversamente abili, poveri con redditi troppo bassi per essere dignitosi) e non a favore del mercato, il cui essere ‘libero’ non ci fa star meglio.
Certo queste decisioni le dovrebbero prendere i politici che dovrebbero adoperarsi per riprendere il controllo dell’economia e porsi come primo obiettivo quello di dare un’anima a questa Europa che al momento ne è totalmente priva.

tag:

Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it