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Riapprodo ai Lidi comacchiesi dopo un anno di astinenza. Stessa spiaggia, stesso mare, cantava Piero Focaccia un secolo fa: distese enormi da percorrere sotto il solleone, ma previdenti bagni ti lasciano attraversare la landa desolata in bicicletta; lontano, lontano ancora le postazioni dei venditori di frodo; il viale Carducci parato a festa con ormai le ‘ruine’ delle follies inventate anni orsono da un celebre architetto e poi… e poi… case sfitte, vie sconnesse, graffiti sulle costruzioni in abbandono. Un’ansia percepita, un’urgenza di divertimento che si attua la sera e la notte con le band che allietano i villeggianti e che s’installano negli stabilimenti balneari.
Ed ecco l’urlo! Un poveraccio per tenersi d’acconto quella decina di spettatori che rappresentano il suo pubblico s’è inventato l’urlo da spiaggia. Non sulla scia degli ‘urlatori’ anni Sessanta bensì sullo sviluppo del grido come refrain a una scomposta canea di suoni. Cosa ripete fino all’ossessione il poveretto? ‘Siete bellissimi!!!’ E giù ordini di movenza. I bellissimi sembrano apprezzare e un mormorio approvante solca la notte il cui silenzio è rotto dall’urlo lacerante dei gabbiani che ormi si sono impossessati di quel resto di pineta che la demolizione selvaggia ha risparmiato. Sono urli di bambini sottoposti a tortura; sono urli da lager; sono urli di disperazione che tra il sonno e la veglia ti lasciano immaginare cosa patiscono i migranti e le donne soffocate dall’acqua e dai miasmi dei motori dove muoiono calpestate dai loro stessi mariti, padri, parenti.
L’urlo che non produce nulla ma che lascia luogo a un silenzio stupefatto e, di nuovo, il grido degli uccelli che si riappropriano dei luoghi e intimidiscono come è accaduto a un coinquilino che voleva liberare un gabbianino impigliato in terrazza e che è stato assalito da enormi uccelli corsi in protezione del piccolo.
I gabbiani difendono i loro piccoli. Gli umani li lasciano morire.
Così attratti dal ‘pesse’ fresco guardiamo indifferenti i dannati della terra con le loro povere cose offerte ossessivamente ci risvegliano moti d’insofferenza mentre all’arrivo della sera altri poveracci si provano ad urlare per far danzare i ragazzetti con li diti puntati al cielo.

 

Foto di Luca Bertalmio

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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