Giorno: 21 Novembre 2020

Il Teatro Barattoni si prepara per la ripartenza

Da: Massimiliano Venturi

La sospensione delle attività teatrali ed in generale dello spettacolo dal vivo ha interrotto bruscamente la stagione del Teatro Barattoni di Ostellato, che oltre a numerosi eventi con compagnie locali avrebbe dovuto ospitare a primavera presenze illustri come Stivalaccio Teatro (con il comicissimo Don Chisciotte, coprodotto dal Teatro Stabile del Veneto), i comici Dondarini e Dalfiume, volti noti di Zelig e di altri programmi televisivi, e la musica della Bandeandrè.
Nonostante la chiusura del teatro, non si è fermato il lavoro organizzativo volto a gestire al meglio le condizioni per la ripresa delle attività. Così Massimiliano Venturi, direttore artistico di SiparOstellato tratteggia l’impegno di questi mesi e le prospettive per il futuro: “La stagione teatrale 2020 era cominciata sotto i migliori auspici, registrando il tutto esaurito in occasione della serata che ha visto il ritorno a Ostellato del comico bolognese Vito.
Sold out di pubblico sfiorato anche in occasione dell’appuntamento con Giobbe Covatta, che aveva scelto proprio il palco del Teatro Barattoni per presentare l’anteprima del suo nuovo spettacolo.
Molto entusiasmo hanno raccolto anche gli spettacoli pomeridiani per ragazzi e famiglie realizzati in varie località; in particolar modo a Dogato, dove da 3 anni grazie alla preziosa collaborazione della Scuola dell’Infanzia i burattini trovano sempre ad attenderli una platea e calorosa.
L’entusiasmo e la crescente risposta di pubblico registrati in questi anni, grazie anche alla programmazione in rete con Comacchio, ci danno impulso a non demordere, e ad affrontare questa nuova fase di stop preparandoci al meglio per la ripartenza: grazie alla volontà degli artisti, con cui in questi mesi abbiamo mantenuto un contatto ed un dialogo continuo, eravamo pronti a ripartire riprogrammando gli eventi nei mesi di novembre e dicembre. Il decreto del presidente del consiglio emanato a fine ottobre ci ha invece costretti a fermarci ancora.
Ma non ci diamo per vinti. Gli artisti hanno confermato la loro disponibilità, e rimane da parte nostra immutata la volontà, condivisa con l’amministrazione comunale e l’associazione Ragno d’Oro, di portare a compimento la stagione teatrale non appena sarà possibile riprendere l’attività.
Allo stesso modo, pur consapevoli delle limitazioni in cui ci troveremo ad operare anche in termini di numero di spettatori che potremo accogliere, contiamo di poter proporre al pubblico del Teatro Barattoni un nuovo cartellone per la stagione 2021 che si ponga in continuità con la qualità artistica proposta in questi anni, così da poter ritornare ad incontrarci a teatro in piena sicurezza, non appena ce ne saranno le condizioni.”

Dello stesso avviso sono i volontari che animano le attività dell’Associazione Il Ragno d’Oro, il cui cartellone Teatrica…mente si era aperto all’insegna del buon umore e con ottimi numeri, con lo show di Duilio Pizzocchi. L’associazione conta di recuperare gli spettacoli sospesi non appena sarà possibile, e sta già guardando avanti ai programmi futuri, che vedranno senz’altro tra i protagonisti il gruppo GAD di Ostellato e la già annunciata compagine Good Friends Company, con il musical La faccia delle Donne. Non mancheranno inoltre spettacoli ed eventi di carattere benefico, così come il premio al personaggio dell’anno e tanti altri appuntamenti culturali anche in spazi differenti dal Teatro.

Le attività promosse dall’associazione saranno possibili anche grazie alla collaborazione con la Protezione Civile di Ostellato e con Auser, che già dalla scorsa stagione ha attivitato un servizio di trasporto così da poter permettere di assistere agli eventi anche agli spettatori non automuniti o non autosufficienti.
Nonostante le attività siano sospese, è attiva la campagna di tesseramento, aperta a tutti quanti vogliano aderire e sostenere le attività dell’associazione Il Ragno d’Oro (informazioni e contatti sulla pagina facebook).

La volontà di ripartire è sostenuta dall’amministrazione comunale, come testimoniano le parole di Andrea Zappaterra, assessore alla cultura: “Il Comune di Ostellato è vicino all’associazione culturale Il Ragno d’Oro e al direttore artistico Massimiliano Venturi, in questa fase molto complessa per il teatro.
Eravamo già pronti per recuperare le serate perse la stagione scorsa, ma per via del recente DPCM siamo stati costretti a chiudere di nuovo. Siamo al lavoro per riorganizzare la riapertura, nel momento in cui sarà possibile farlo.
Ostellato da sempre investe in cultura e in particolare nel teatro, che sono veicoli straordinari di promozione del territorio.”

Transizione energetica: promuovere la realizzazione di campi fotovoltaici nelle discariche esaurite

LO CHIEDE UNA RISOLUZIONE DEL GRUPPO REGIONALE DI EUROPA VERDE

Silvia Zamboni, Capogruppo Europa Verde: “In Emilia-Romagna ci sono circa 50 impianti dismessi, per complessivi quattro milioni di metri quadri di territorio. Con la mia risoluzione chiedo di utilizzarle per realizzare impianti fotovoltaici. Sarebbe una grande operazione di rigenerazione ambientale a supporto della transizione energetica in linea con il Patto per il Lavoro e il Clima della Giunta”.

Bologna, 21 novembre 2020 – Il Gruppo Europa Verde dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha depositato una risoluzione per impegnare la Giunta ad incentivare l’installazione di panelli fotovoltaici per la produzione di energia rinnovabile sui terreni delle discariche esaurite della regione.

In Emilia-Romagna ci sono, attualmente, circa 50 discariche dismesse e il loro numero è destinato a crescere perchè il piano regionale dei rifiuti prevede un sostanziale abbattimento della quantità di rifiuti indifferenziati conferibili in discarica. Secondo le stime di Legambiente, che ha promosso una campagna di raccolta firme per il riutilizzo green delle discariche, le aree attualmente già dismesse offrirebbero da sole superfici disponibili ad accogliere pannelli fotovoltaici pari ad almeno 4 milioni di metri quadri per una potenza installata stimabile attorno ai 60 MW. Questa disponibilità di aree incrocia gli obiettivi che la Regione Emilia-Romagna si è data sia in relazione alla produzione di energia rinnovabile (100% al 2035), sia in relazione alla riduzione del consumo a fini energetici di suolo agricolo o di terreno produttivo, indirizzando la localizzazione degli impianti in contesti marginali e residuali sotto il profilo agronomico.

“Creare delle energy farm fotovoltaiche sulle nelle discariche esaurite consente la rigenerazione di quelle aree e contemporaneamente la produzione di energia da fonti rinnovabili, con benefici per l’ambiente e il contrasto all’emergenza climatica. L’Emilia-Romagna si è data obiettivi ambiziosi sulle rinnovabili e sul risanamento ambientale che bisogna concretizzare con misure coerenti – dichiara Silvia Zamboni, Capogruppo di Europa Verde e Vice Presidente dell’Assemblea legislativa – I Verdi, storicamente, sono la forza politica che ha portato nelle istituzioni le istanze e le battaglie ambientaliste nate nei territori. In quest’ottica abbiamo raccolto l’appello di Legambiente sul riutilizzo delle discariche, un’operazione che offre anche nuove opportunità economiche e occupazionali. La svolta verde, al centro del nostro programma per le regionali, sarà possibile solo con la collaborazione tra istituzioni e società”.

INVITO/Giornata internazionale contro la violenza alle donne. La situazione in Emilia-Romagna nell’anno segnato dall’emergenza Coronavirus

Video conferenza stampa della assessora alle Pari opportunità Barbara Lori e della presidente dell’Assemblea legislativa Emma Petitti martedì 24 novembre alle ore 13

Gli effetti del lockdown, le difficoltà economiche e sociali. Tutti i dati del Rapporto 2020 dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere. Le richieste di accredito entro le ore 12 di martedì 24 novembre

Bologna – Lockdown, difficoltà economiche e sociali. Ovvero: come l’emergenza Coronavirus ha influito su maltrattamenti e abusi alle donne, acuendo preesistenti situazioni di fragilità o innescandone di nuove.

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, mercoledì 25 novembre, l’assessora regionale alle Pari opportunità Barbara Lori e la presidente dell’Assemblea legislativa Emma Petitti faranno il punto sulla situazione in Emilia-Romagna, partendo dai dati del Rapporto 2020 dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere.

La video conferenza stampa è in programma martedì 24 novembre alle ore 13.

Per ragioni tecniche, i giornalisti che intendono partecipare sono pregati di inviare, entro le ore 12 di martedì 24 novembre, una mail di conferma all’indirizzo stampaseg@regione.emilia-romagna.it.

Lega Giovani: una legge contro le molestie online

Da: Lega Giovani Ferrara
Dopo aver appreso della vicenda che ha coinvolto diverse studentesse dell’Università di Ferrara, molestate su Internet con messaggi e foto oscene, il coordinatore provinciale della Lega Giovani (gruppo giovanile della Lega ndr), Luca Cardi, interviene con queste parole:

«La nostra solidarietà va a tutte le ragazze che sono state vittime di questi comportamenti. Non possiamo accettare che qualche troglodita ancora non capisca come questo squallido atteggiamento non sia una forma di corteggiamento ma soltanto una forma di molestia, anzi di violenza. E la stragrande maggioranza delle volte, chi compie questi atti, a danno sia di ragazze minorenni che maggiorenni, rimane impunito. Non può passare il messaggio che si tratti di uno scherzo, o di un comportamento innocuo. Come reagirebbero gli autori se capitasse lo stesso alle loro madri o alle loro sorelle? Non penso sarebbero contenti.

La cosa che mi ha colpito di più è sapere la vergogna, o il senso di colpa, che le ragazze vittime di questi comportamenti provano: a sentirsi in colpa dovrebbero essere invece i loro molestatori. È giunta l’ora di mettere fine a questa storia: oggi stesso mi metterò in contatto con i nostri parlamentari e chiederò di lavorare assieme ad un progetto di legge che tuteli le vittime e punisca penalmente chi, nascosto dietro ad un computer o ad un cellulare, molesta le persone con messaggi e foto oscene non richieste.»

Orientamento Aleotti-Dossi

Da: Prof.ssa Simona Rondina

L’IIS Aleotti Dossi propone due indirizzi di studio: Liceo Artistico e Istituto Tecnico Costruzioni, Ambiente e Territorio, i due cuori pulsanti della nostra scuola.

Scegliendo uno dei due percorsi avrai modo di maturare competenze umanistiche e scientifiche, capacità progettuali e tecniche, che ti permetteranno l’acquisizione bilanciata di quelle abilità richieste oggi sia per il mondo del lavoro, sia per la prosecuzione del percorso di studi. Svilupperai la capacità di appassionarti, osservare, imparare ad imparare, impadronendoti degli strumenti culturali fondamentali, potenziati anche attraverso l’ampia progettualità della nostra Scuola.

Per gli annuali OPEN DAY dedicati all’orientamento in entrata, nel rispetto delle vigenti norme anti Covid-19, i docenti e gli studenti dell’IIS Aleotti – Dossi, hanno organizzato dei video-incontri a distanza che si svolgeranno nelle date: 28-11, 13-12, 16-01 per il Dossi, e 29-11, 12-12 , 17-01 per l’Aleotti. I partecipanti saranno virtualmente accompagnati nella visita delle nostre sedi e verranno illustrati gli obiettivi didattico-educativi, gli sbocchi professionali e tutte le informazioni utili relative alla nostra ricca e articolata offerta formativa.

Gli incontri si svolgeranno attraverso la piattaforma digitale Google MEET e per partecipare è OBBLIGATORIA LA PRENOTAZIONE sul sito www.aleottidosso.edu.it

Bergamini (LEGA): “Una risoluzione per chiedere fondi specifici”

Da: Fabio Bergamini, Regione Emilia Romagna

UNA RISOLUZIONE PER CHIEDERE FONDI SPECIFICI, ALLO SCOPO DI METTERE IN SICUREZZA I PARCHI DELLE STRUTTURE SANITARIE (A COMINCIARE DA QUELLO DEL ‘BORSELLI’) E FARNE GIARDINI PER LA RIABILITAZIONE DELLE PERSONE AFFETTE DA DEMENZE

FERRARA, 21 Nov. – «E’ intenzione mia e del gruppo in consiglio regionale della Lega, quello di richiedere un fondo sperimentale da impiegare per attrezzare i parchi vicini alle strutture ospedaliere, alle Case della Salute ed alle residenze sanitarie per anziani, per progetti riguardanti le demenze». La proposta è stata protocollata ieri mattina in Assemblea Legislativa e porta la firma di Fabio Bergamini e degli altri consiglieri regionali del Carroccio. Ma di che cosa si tratta? «Una delle strade percorribili, nell’assistenza moderna delle persone affette da demenza – avverte Bergamini – è quella di utilizzare ampi spazi, privi di pericoli, e che siano funzionali a sessioni di riabilitazione neuro-psichiatrica delle persone colpite da demenza. Allo scopo di ritardare le complicanze della patologia, conservare il più a lungo possibile le funzioni residue e valorizzare le potenzialità del paziente verso una migliore qualità della vita. Stimolando nel contempo la memoria remota e riducendo il disorientamento spazio-temporale dei soggetti in trattamento». Da qui arriva la proposta: «Ci sono parchi bellissimi, ed un esempio arriva da quello dell’area della Casa della Salute del “Borselli”. Con un fondo adeguato e, magari, la collaborazione dell’associazionismo, potremmo farne un luogo sicuro in cui svolgere attività per le persone affette da malattia di Alzheimer e altre patologie purtroppo sempre più diffuse sul territorio». In Emilia-Romagna sono 65.658 le persone affette da demenze, ed il 60% di queste ultime soffre della malattia di Alzheimer. Un problema crescente nella provincia di Ferrara, anche per ragioni anagrafiche. Progetti di spazi verdi dedicati alla cura di particolari malattie che caratterizzano l’età geriatrica sono presenti in molti punti del territorio emiliano-romagnolo. Il sindaco di Bondeno, Simone Saletti, ed il vicesindaco con delega alle politiche sociali del Comune, Francesca Piacentini, appoggiano quindi l’idea di un “Giardino per l’Alzheimer” vicino alla Casa della Salute. «Esiste da tempo un discorso aperto con l’Azienda sanitaria – dicono – e si potrebbe riprendere il tema, soprattutto se dovesse esserci il conforto di un fondo della Regione finalizzato a questo tipo di progetti».

Coronavirus. Nuova ordinanza regionale: autorizzata la vendita anche nel fine settimana dei prodotti per la cura e l’igiene della persona e della casa.

Nei negozi di vicinato, nelle medie e nelle grandi strutture di vendita quando fuori dai centri commerciali. Autorizzata anche la vendita di articoli di cartoleria e cancelleria. Modificata l’ordinanza del 12 novembre: la scadenza anticipata al 27 novembre, quando il ministro della Salute deciderà rispetto alla classificazione delle Regioni

Bologna – Una nuova ordinanza, firmata oggi dal presidente della Regione, conferma le misure introdotte con la precedente del 12 novembre (in vigore dal 14) per il contrasto della pandemia, introducendo limitate modifiche di armonizzazione rispetto al provvedimento assunto dal ministro della Salute venerdì scorso, che ha inserito l’Emilia-Romagna nella cosiddetta zona arancione. Il provvedimento entra in vigore già da domani e si limita a ritoccare quello precedente in due aspetti: da un lato integrando l’elenco delle attività di vendita consentite nei prefestivi, quando restano chiuse le medie e grandi strutture di vendita, e nei festivi, quando restano chiuse le attività commerciali in genere; dall’altro modificando il termine di scadenza delle restrizioni ulteriori specificamente previste dalla nostra Regione.

Il provvedimento, tra l’altro, conferma che nei giorni prefestivi gli esercizi commerciali insediati nell’ambito di centri commerciali, di aree commerciali integrate e di poli funzionali restano chiusi al pubblico, salvo che per la vendita di generi alimentari, per le farmacie, parafarmacie, tabaccherie ed edicole. Anche le medie e grandi strutture di vendita non insediate all’interno di centri commerciali, aree commerciali integrate e poli funzionali, restano chiuse al pubblico, salvo che per la vendita di generi alimentari, di giornali e riviste, farmacie, parafarmacie, tabaccherie. A queste categorie merceologiche consentite, qui la novità, si aggiungono ora i prodotti per la cura e l’igiene della persona e per l’igiene della casa, gli articoli di cartoleria e cancelleria.

Anche nei giorni festivi continua ad essere sospesa ogni tipo di attività di commercio, sia in sede fissa che su area pubblica, fatta eccezione per la vendita di generi alimentari, di giornali e riviste. E continuano a rimanere aperte anche farmacie, parafarmacie, tabaccherie. Anche in questo caso, si aggiunge la possibilità di vendita di prodotti per la cura e l’igiene della persona e per l’igiene della casa, degli articoli di cartoleria e cancelleria. Rimangono comunque chiusi esercizi commerciali che si trovano nell’ambito di centri commerciali, di aree commerciali integrate e di poli funzionali, in questo caso salvo che per la vendita di generi alimentari, farmacie, parafarmacie, tabaccherie e edicole.

Infine, per armonizzare le norme vigenti in Emilia-Romagna con le norme nazionali, la scadenza dell’ordinanza del 12 novembre viene anticipata a venerdì 27 novembre, quando il ministro della Salute sarà chiamato a riesaminare il proprio provvedimento che ha spostato l’Emilia-Romagna in fascia arancione.

“In continuità con l’ordinanza adottata la settimana scorsa, sulla base dell’andamento epidemiologico- afferma il sottosegretario alla Presidenza della Giunta, Davide Baruffi- abbiamo ritenuto di confermare le misure ulteriormente restrittive introdotte anche per la prossima settimana. Se la stabilizzazione dei casi e l’ulteriore flessione dell’indice Rt della nostra regione per la quarta settimana di seguito, ma fino a quando non scenderà sotto l’1 il virus continuerà a circolare pericolosamente, ci fa ben sperare rispetto ai risultati che stiamo ottenendo, è altrettanto vero che permangono numeri alti. In questi giorni ci giochiamo molto, anche rispetto a come sarà il prossimo mese di dicembre. Per questo ci siamo assunti la responsabilità di non derogare ancora alle limitazioni presenti, fiduciosi che altri sette giorni possano consolidare questa tendenza. Ciò non significa ignorare incongruenze che ci sono state segnalate, né vogliamo complicare inutilmente la vita di cittadini ed esercenti. Abbiamo quindi previsto limitate modifiche all’elenco delle attività di vendita consentite, allargandolo soprattutto a beni di prima necessità come quelli per l’igiene della persona e della casa. Questo senza intaccare la portata dell’ordinanza, che vuole esplicitamente prevenire assembramenti sia nel centro delle città sia nei centri commerciali”.

“Inoltre, abbiamo anticipato la scadenza dell’ordinanza rispetto al termine del 3 dicembre, per poter aggiornare le valutazioni del caso alla luce delle decisioni che il ministro Speranza sarà chiamato ad assumere tra una settimana esatta anche per quanto riguarda la classificazione della nostra regione. Dobbiamo continuare a rispettare le regole di sicurezza- chiude Baruffi- perché il rischio resta alto. Nello stesso tempo, i sacrifici stanno dando risultati. E noi vorremmo accelerare il più possibile il percorso di uscita da restrizioni che penalizzano l’economia e la socialità, mantenendo condizioni di sicurezza”.

PRESTO DI MATTINA
La seconda voce dell’anima

«Se ascoltaste oggi la sua voce! Non indurite il cuore». È un versetto del salmo 95,8: un ‘vocale’ convertito in testo nelle pagine del salterio, che ridiventa suono nella proclamazione a voce alta. Fa parte di una salmodia liturgica, del canto che, quale grande invitatorio alla preghiera, apre il culto giudaico e cristiano. Ma questo versetto rispecchia pure l’esperienza che ognuno sperimenta ogni volta che legge un libro. Dalle pagine aperte risuona infatti l’invito non già alla lettura ma all’ascolto, a seguire la voce che prende forma e si traduce in un corpo, nell’espressione di un viso. Lo sguardo di un volto che attende anche solo una risposta silenziosa. È un volto, segnato da sillabe e vocali, che viene risagomato ogni volta, di nuovo, come sequenze cinematografiche, sotto gli occhi di chi legge.

Ci si stupisce sempre come la prima volta, aprendo un libro, che basti così poco, poco più di un niente per dire e udire cose nuove. Una manciata di lettere combinate ai suoni e tenute insieme da noi, fin da piccoli, chini sul sillabario – «l’alfabeto il modello d’ogni combinatoria d’unità minime» direbbe Italo Calvino – poi seguendo la rubrica dei nomi nuovi, per imparare il mistero della vita che porti dentro e si congiunge con quella di fuori.
Sillaba dal greco syllabḗ, “prendo, riunisco insieme” suoni a lettere unite in un’unica emissione. Congiunge insieme vocali (“lettera dotata di voce”) e consonanti (che “suona con” o “suona insieme” alla vocale). E il lemma ne è come la premessa, il titolo, l’argomento, l’invitatorio che viene prima come porta d’ingresso al dire.

È il miracolo del linguaggio vocale e scritto: segni e suoni amalgamati assieme, lettere come nel gioco di dame e cavalieri che si allontanano e si lasciano, si cambiano di posto rincorrendosi dentro alla parola stessa o nella frase o nella pagina passando poi da una all’altra, da un libro a quello successivo, sino a formare in ciascuno una biblioteca interiore. Un’immagine che ritroviamo nella lettera inviata a Eliodoro da san Girolamo nella quale, riferendosi alla prematura scomparsa di Nepoziano, suo figlio spirituale, ricorda: «l’assidua lettura, e prolungate meditazioni avevano reso il suo cuore come una biblioteca di Cristo» (Lettera LX a Eliodoro).
È il linguaggio come un prodigio, simile a quello del caleidoscopio che punta l’oscurità luminosa del mistero e, ruotando, le tessere come lettere disegna figure e sensi nuovi al nostro vivere, traduce e interpreta l’esistenza, e quanto più inserisci vetri colorati quanto più nel caleidoscopio prendono forma parole nuove, frammenti di un infinito comprendere e interpretare.

Ogni volta che si apre un libro, la lettura ci pone in un’attualità di ascolto di un passato altrimenti muto, con effetti prodigiosi ricordati da un versetto del salmo 62 [61]: «Una cosa ha detto il Signore, due ne ho ascoltate». La voce non rimane infatti prigioniera dell’evento passato che l’ha suscitata una prima volta; ma attraverso la scrittura ri-parla una seconda volta anche oggi. È come se la voce diventasse testo e questo, quando è compreso, ridiventasse voce interiore, risveglio e chiamata al senso.

In una prima occasione la voce si è udita nella sua enunciazione originaria. Poi infinite volte è stata mediata e tradotta dal testo che la rende ri-udibile nel segno della scrittura. È allora anche una questione di traduzione, insieme testuale ed esistenziale, elaborata da colui – l’interprete –, che è chiamato a vivere una prossimità così intensa con l’altrui scrittura da generare un processo di assimilazione e comprensione, che lo spinge a riversare se stesso nel testo, se non a incontrare se stesso in colui che con altre lingue lo scrisse.

Così, l’abbiamo imparato per esperienza, «la lettura non è mai un monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nel libro ci rivela qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo in uno slancio intimo della coscienza affettiva, che può valere anche un atto d’amore. E qui forse, tra il lettore e lo scrittore, si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia a faccia di una vera e propria relazione etica» (E. Raimondi, Un’etica del lettore, Bologna 2007, 13-14).

L’intera Bibbia può considerarsi allora come una conversazione in itinere. L’invito permanente all’ascolto, all’incontro e al dialogo: per tentare alleanze; per formare amicizie; per ricercare quel santo Graal di quell’ultima cena, che ha visto nella condivisione del pane e del calice, un comunicare nell’agire e nel patire, il simbolo reale di quell’amore così grande da spingersi a dare la vita per gli amici. Il calice della vivificante vita del Figlio dell’uomo, che sarà in grado di trovare solo chi saprà rivolgere all’altro – ecco l’istanza etica – raffigurato al cavaliere che lo custodisce, ormai malato e vecchio di millenni, la domanda giusta: «qual è il tuo dolore, la tua ferita?».
La Torah e i Vangeli, formati in diversi momenti e tempi della storia, sono ancora una narrazione in corso, che continua anche oggi a cercare e a trasformare i suoi lettori. Leggendola, infatti, la loro vita verrà ridefinita e interpretata in un modo nuovo.

Suggestiva appare dunque l’immagine del poeta e saggista inglese John Donne che scrive: «Tutta l’umanità deriva da un unico autore, e costituisce un unico volume. Quando un uomo, muore, non viene strappato via un capitolo dal libro, bensì viene tradotto in una lingua più alta; ed ogni capitolo deve essere così tradotto. Dio impiega diversi traduttori; alcuni pezzi sono tradotti dalla vecchiaia, alcuni dalla malattia, alcuni dalla guerra, alcuni dalla giustizia, ma la mano di Dio è in ciascuna traduzione, e la sua mano rilegherà di nuovo tutti i nostri sparsi fogli per quella biblioteca nella quale tutti i libri saranno aperti l’uno all’altro» (J. Rosen, Il Talmud e internet, Einaudi, 2001, 11).

Com’è umile e solenne aprire un libro. Ne nasce un’intimità che cresce a poco a poco, una familiarità che soppianta l’in-conoscenza. Lo si apre bensì con le mani, ma come in punta di piedi, sospesi, in attesa di qualcosa, di qualcuno, come si fosse a Natale, anche in pieno agosto. Girare pagina è poi un’altra, come vedere un bambino fare un passo, e poi un altro, un poco più sicuro, e poi via via più spedito e allegro, quando egli si scopre nel libro e prende confidenza, sino a che, voltando le pagine del libro, questo dischiude le pagine del lettore, come fossero “aperti l’uno nell’altro”.

Un libro può diventare così la seconda voce della propria anima. L’ho imparato leggendo un racconto chassidico in cui si narra di un vecchio libro di preghiere, del rabbino suo lettore e dei suoi nipoti: «I suoi nipoti dissero, un giorno, al Rabbi:nostro nonno e nostro maestro: il tuo libro di preghiere è vecchio, le pagine sono ingiallite, alcune di esse sono quasi illeggibili e noi abbiamo deciso di regalartene uno nuovo, in segno del nostro affetto e della devozione che abbiamo per te”. Rispose il Rabbi: “da innumerevoli anni io prego da questo libro: ogni mattina, ogni pomeriggio ed ogni sera. Esso è diventato vecchio insieme a me. Le sue pagine mi sono familiari, così come io sono divenuto familiare a loro. Esse sono una testimonianza della mia vita; esse hanno conosciuto i momenti di gioia e di serenità che il Santo dei Santi ha voluto concedermi, ed anche i momenti di dolore e di sofferenza. Le lettere di ogni riga, di ogni pagina di questo vecchio libro mi hanno aiutato a esprimere al Creatore, tutto l’amore e tutta la fiducia che io sento per Lui. Ogni lettera, ogni parola del vecchio libro, sono entrati nella mia persona. Così come la mia persona, sembra entrata in ogni sua lettera ed in ogni sua parola. Io ed il vecchio libro siamo divenuti una sola cosa. A volte, quando tutto quello che esiste intorno a me sembra crollare, quando io, con dolore, vedo il male prevalere sul bene, e l’ingiustizia prevaricare il senso della giustizia, e sento il mio corpo farsi privo di forze, in tal maniera, da non poter dar voce alle sante preghiere che in antico i Maestri composero, allora basta che io passi il mio indice sulle parole stampate del Libro, perché avvenga in me qualcosa di strano, di misterioso. A me sembra che da quelle pagine esca una voce, che non è la mia, ma che alla mia molto assomiglia. Miei cari nipoti, questo vecchio libro dalle pagine ingiallite, dopo così lungo tempo, di vita in comune, sembra aver appreso a pregare per me. Esso è insostituibile, perché rappresenta la seconda voce della mia anima”» (A. Sonnino, Racconti chassidici dei nostri tempi, Assisi/Roma 1978, 110).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]  

GLI SPARI SOPRA
La ricerca di un futuro

In Italia, ora più che mai servirebbe una partito che si richiamasse ai valori di Enrico Berlinguer, alla modernità della sua opera e del suo pensiero. Concetti e parole inserite profondamente nel Comunismo Italiano, fonte di democrazia e di ideali per quattro generazioni di persone. Andato disperso e abiurato dalla fine del secolo breve fino a questo secondo decennio del ventunesimo secolo. In molti lo decantano, addirittura gli avversari politici ne tessono le lodi, ma la sua figura fa ancora tremendamente paura perché davvero dei dirigenti di una qualche sigla politica si ispirino a lui per il futuro, per il prosieguo del tempo che scorre rapido. Non esiste una avanguardia in Italia, che nel suo nome cerchi di aggregare dei compagni per realizzare davvero qualche cosa di nuovo. Esistono sigle politiche che espongono la sua effige nelle sedi, come ricordo o come santino, ma non ripercorrono le sue idee, le hanno abbandonate da decenni. Almeno quattro altri partiti espongono l’effige della falce e del martello non come elemento aggregante o come i simboli del lavoro, motivo per cui nacquero un paio di secoli orsono, ma come medaglie di purezza esclusive e non inclusive. La bandiera rossa è stata gettata nel fosso da tanto, troppo tempo, sotto l’immagine di Enrico nessuno mai ha voluto costruire unità e forza del progresso e popolo.

La parola democrazia deriva dal greco, ed è composta dai termini demos (che significa “popolo”) e kratos (che significa “potere”), Potere al Popolo, queste sono le basi del Marxismo. Questo concetto pone le idee di Berlinguer sul piedistallo della modernità, senza bisogno di ricordare le deviazioni che molti governi Comunisti presero dalla rivoluzione d’ottobre in poi.

Sommossa popolare, appunto per portare al potere gli ultimi, gli sfruttati, i braccianti, gli operai, quelli che nei millenni mai ebbero diritti e voce in capitolo, sfruttati e vilipesi dalla notte dei tempi. Tale rivoluzione avvenne però nella nazione meno preparata ad accoglierla, quella grande madre Russia che non aveva una classe operai forte e consapevole, ma era per lo più composta da braccianti che solo pochi decenni prima erano ancora servi della gleba, la nazione che mai Marx individuò come avanguardia per le masse popolari.

Dico questo perché il pensiero comune continua ad additare il Comunismo realizzato col Comunismo reale. L’Euro comunismo di Berlinguer, e ancor di più l’anomalia italiano porsero il più grande partito dei lavorati del mondo libero a traino di una terza via, mai davvero cercata e né tantomeno seguita dai referenti delle sinistre dopo il giugno del 1984.

Ora che non esiste più un mondo diviso in blocchi, dove l’Est ha superato l’Ovest nella ricerca del profitto per pochi a discapito degli ultimi, le idee di Berlinguer diventano una necessità.

Io credo che in tanti, troppi vedano Enrico come una foglia di fico, dietro cui nascondere la propria lontananza dai suoi ideali.

Un mondo raggrinzito e ammalato intorno al concetto di capitale, bolso e senza respiro, in questi tempi di pandemia, dove esiste solo una classe sociale che continua ad aumentare i profitti a discapito di tutti gli altri, dipendenti, artigiani, commercianti, operai, tutti in lotta tra loro per in dicare chi più di altri è fonte di privilegio. Accomunati da un unico nemico, che viene dall’Africa, quella massa di diseredati che servono ai partiti, quasi tutti, per sottolineare le differenze e per conservare quelle briciole di pane che i padroni del vapore spargono alle masse intrise di cattiveria e con la bava alla bocca, con la paura che l’ultima scaglia di pane duro venga utilizzata per nutrire chi sta peggio di noi.

Una grossa parte della classe operaia che non è più classe, che non ha più coscienza di se si è imbruttita nelle idee, instillate goccia a goccia da anni di propaganda revisionista. L’analfabetismo funzionale ha superato quello di ritorno, un popolo senza età che si informa sui social media, che posta e riposta immagini di pensieri altrui. Un solo piccolo e maledetto virus sta squassando il mondo conosciuto, portando alla luce decenni di sfruttamento della natura in maniera malevola e senza criterio, sistemi all’apparenza democratici dove chi ha i soldi si cura, mentre gli altri vengono lasciati annegare, non solo in maniera figurativa. Un sistema agli sgoccioli dove privato e privatizzazioni, ricercate da schieramenti centripeti hanno portato all’evaporazione del Welfare, dove la sanità pubblica è diventata azienda e la sanità privata si arricchisce con i soldi dei contribuenti, oltre che dei pochi privilegiati che ne possono disporre.

Un mondo dove la scuola è sempre ai margini dei programmi di partiti sempre più simili, dove nemmeno Lombroso riuscirebbe a riconoscere gli uni dagli altri.

Sono ripetitivo e limitato nei miei grezzi concetti, forse perché alle volte spero che qualcuno, migliore di me riprenda da terra quella bandiera rossa e la sventoli, come una guida turistica sulla piana di Ghiza e dove un popolo, davvero unito la segua, nella ricerca di una utopia necessaria e non più procrastinabile.

Dolce Enrico, mi piacerebbe che ti staccassero dalle cornici entro le quali sei stato relegato in questi trentasei anni, mi piacerebbe che tu stesso potessi togliere la polvere della tua dignità troppo spesso usata come paravento.

Si lo vorrei davvero un partito di ispirazione Berligueriana, dove potermi sentire a casa, dove poter credere che il mio piccolo contributo possa essere una briciola di sabbia, per costruire un argine contro l’abbruttimento di questi tempi. Dove le mie idee possano confrontarsi e confondersi con quelle di tante compagne e compagni, senza l’assurda ricerca della purezza, senza lucidare troppo la falce, senza dibattere sul tipo di martello (da carpentiere, da muratore, da montatore meccanico, ecc.).

Berlinguer non solo come oggetto di ricerca o peggio di culto (lui lontano anni luce dal culto della personalità) ma come pensiero critico, vivo, da ritrovare, da ripercorrere, una ricerca di un futuro migliore, radicale, non moderato, ma inclusivo, alla ricerca della diversità e dell’impurezza.

Io credo che solo in questo modo, solo avendo ben chiaro il passato si possa sperare in una rinascita, una luce in un futuro che ora a me sembra troppo cupo, anche solo per ricercare la speranza.

Il telepate

Nell’enorme sala, la luce filtrava debolissima dagli schermi posti intorno alle plafoniere sul soffitto. L’uomo era seduto a terra, accanto a una parete. La postura del corpo e l’aspetto del viso tradivano lo sforzo che andava compiendo per concentrarsi.
L’aria nella sala cominciò a fremere, impercettibilmente, e una vibrazione attraversò le spesse pareti di cemento. Trascorsero alcuni minuti di silenzio e di immobilità. Poi il viso dell’uomo si rasserenò, quando cominciò a vedere con gli occhi dell’essere che andava cercando.
– La bellezza, la vista, l’udito. Erano come elfi che cercavano qualcosa nel mio cervello. Uno di loro si avvicinò a me e disse: “Signore, nella tua mano leggo la sofferenza di un animo tormentato, leggo la follia di vivere inseguendo un sogno, la voglia di trovare un padre. Signore, vorrei accompagnarti”.
Io non vi conosco. Chi siete? Cos’è quell’aura intorno ai vostri corpi, ai vostri cavalli?
“Il segno della nostra nobiltà, che riconosciamo in te, Signore”.
Mia madre tornava dal mercato della città sul vecchio trenino a scartamento ridotto. Intorno donne giovani e vecchie, bambini urlanti. Mia madre era contenta, aveva trovato un po’ di carne e di uova, si accarezzava la pancia, dove io ancora per poco sarei stato rintanato. Un’ondata di calore mi attraversò, lo ricordo, e poi ancora una. Le ondate si susseguirono sempre più velocemente, il caldo diventò insopportabile. Sentii mia madre urlare, il mio corpo urlò attraverso il liquido amniotico. Divenni un tizzone che gemeva senza poter fuggire.
La notte per addormentarmi mia madre mi cantava una canzone che parlava degli Elfi del bosco, delle loro spade fiammeggianti. Mentre ascoltavo il suo cervello ripensavo sempre a quel momento sul treno, quando per la prima volta sentii i suoi pensieri, il caldo passò e i suoni divennero elettricità. Fu il momento nel quale tutto accadde. Non vedevo. Ma sentivo, udivo.
Poi gli altri videro me. E i loro pensieri furono pieni d’angoscia, di compassione, di odio per me. Di ribrezzo.
Crebbi da solo. La mia famiglia fu allontanata dalla propria casa perché la zona era altamente contaminata. Fummo destinati a un piccolo villaggio di montagna dove la gente ci accolse come lebbrosi. I miei genitori e tutti gli altri del mio villaggio morirono nei cinque anni successivi. I bimbi dei montanari non erano cattivi, si avvicinavano per giocare con me che ero sotto la tutela del capo villaggio, ma i loro genitori li picchiavano e imponevano loro di starmi lontano. Non ero certo un bello spettacolo. Le mie corde vocali erano incapaci di vibrare ed emettevo solo fischi terrificanti, le palpebre erano cresciute come escrescenze e mi impedivano di aprire gli occhi, il naso era quasi inesistente, respiravo rantolando. Ogni giorno il capo villaggio mi apriva gli occhi con una specie di rudimentale bisturi, con il quale tagliava le croste che si formavano durante la notte tra le palpebre e il viso. Allora io potevo alzare quelle escrescenze con le mani e vedere finalmente le cose del mondo. Jordi – mi dicevano – tu sei fortunato, non dovrai lavorare. A te ci penserà lo Stato. Sei fortunato Jordi. I loro pensieri dicevano: “Speriamo che muoia presto, il sussidio che ci danno non ripaga nemmeno un minuto di questa vita d’inferno che ci tocca fare per colpa sua. Maledetto Stato, maledetta vita che ci impone queste sofferenze. Maledetto, orrendo Jordi che sei sopravvissuto a qualche cosa che non sappiamo. Maledetto bambino venuto al mondo per uccidere i tuoi genitori. Possa tu morire presto.”
Non morii.
Certo a me la situazione appariva in un modo del tutto diverso. Voglio dire che non mi pesava il mio essere, perché non ero conscio della mia diversità o mostruosità. Ero grato a quegli uomini che mi pulivano gli occhi e mi mostravano il mondo. Ero grato: ma non mi era necessario vedere, per capire il loro mondo. Infatti, c’era qualcosa di più. Nelle giornate, nelle notti che si susseguivano io non ero solo. Ogni essere, vicino o lontano, mi parlava. “Perché questo bambino non è mai infelice?”. Ero pieno di vita, mi permeava. Stavo imparando. Da mille vite, da mille forme traevo forza e linguaggio. Tante verità e la bellezza di quel coro inusitato. Erano voci senza significato, all’inizio. Poi cominciai a discernere le forme più semplici della struttura, le vibrazioni comuni, le imperfezioni, i balbettii. E con loro i significati presero forma. Ascoltavo i cervelli produrre sforzi, consumare energia, distruggere la maggior parte di ciò che costruivano. Con quel ronzio incessante comune a uomini ed animali, che si spegne solo con la morte e che finisce sempre in un ululato lontano che scuote la mia mente, ma che ho imparato ad ignorare.
Mi limitavo ad ascoltare, ma ascoltare non è il verbo giusto. Non per ciò che si intende tra gli umani, e nemmeno voce, o una qualsiasi altra parola legata all’udire, rende ciò che provavo. Non ci sono parole, perché non c’era suono. Io ero sordo, completamente. Quando mi tagliavano la pelle delle palpebre vedevo tra nuvole rossastre i volti delle persone, le loro labbra muoversi. Sentivo il ribrezzo che si manifestava nei loro cervelli in scariche potenti, dal ritmo accelerato a cui si associava un odore dolciastro. Quando mi picchiavano, per farmi tornare in casa o per farmi mangiare, i loro cervelli producevano esiti che ora definisco infantili: tanta energia bruciata per la formulazione di poche scariche dirette, potenti, ma brevissime. Da tempo avevo imparato a schivare i loro colpi, spostandomi un attimo prima che i loro pensieri si formassero completamente e facessero funzionare i muscoli. Questa mia capacità li sconcertava. Capii così che il mio potere non era una cosa normale, che per loro il mio spostamento era inspiegabile. Magico, come dicevano. Allora mi facevo colpire, per non sconvolgerli e per poter imparare.
Imparare dalle botte. In quei momenti le mie palpebre sbattevano, i miei occhi vedevano la luce e io cercavo di posizionarmi verso il viso di colui che mi colpiva, orientandomi con i primi colpi. Se ero fortunato potevo vederne le labbra e associare le scariche neuroniche ai loro movimenti. In breve entrai nel loro gioco e ne imparai le regole. Da quel momento potevo sentirli parlare. Fino a quando non impiantammo i giocatori cerebrali lo sforzo del tradurre fu sempre molto grande: dopo un po’, associare scariche e parole mi stancava e lasciavo fluttuare l’elettricità, riposandomi nel suo ronzio.
Ormai potevo ascoltare le persone intorno a me esprimersi in quello che, per loro, era l’unico linguaggio possibile. Le persone del villaggio erano tutte molto semplici, il loro dialetto era costruito per il lavoro della terra, con mille termini per identificare le qualità di un campo, di un raccolto, di un seme. I loro pensieri erano tranquilli, partecipavo al loro dolore per la morte di un parente, alla gioia per una nascita. Insomma l’unica nota stonata ero io.
Una notte, quando avevo ormai dieci anni, fui svegliato da una scarica che mi riempì la mente per la sua potenza. Un urlo che conteneva un codice che non avevo mai percepito, un gioco al quale non avevo mai giocato. Era il profumo, il colore di una radiazione nuova, eppure conosciuta. Dopo qualche minuto tutto tornò ad essere permeato solo dai sogni del villaggio. Nei giorni seguenti pensai a lungo a quello strano rumore. Arrivai alla conclusione che doveva essere stato generato da una mente non umana, oppure da un’altra mente come la mia. Questo pensiero mi arrivò inaspettato, come una folgorazione. Fino a quel momento non avevo mai pensato di poter far parte di un gruppo. Ero sempre stato l’unico. L’unico a salvarsi, l’unico deforme, l’unico a sopravvivere oltre l’infanzia. Insomma l’Unico, senza storia e senza possibilità di costruire un futuro.
Essere considerato un vegetale può essere vantaggioso, a volte. Restavo al sole o all’ombra, non importava. Avevo tutto il tempo per cercare di comprendere l’evento che era accaduto. Il primo squarcio nella mia vita, a parte quelli che mi venivano inferti quotidianamente alle palpebre.
Alla fine decisi che fosse un segnale. Mi concentrai su questo fatto, e su di esso scommisi il mio futuro. Mi allenai per mesi, per cercare di imitare quella sequenza che si era scolpita nella mia corteccia cerebrale. La analizzai scomponendola nelle sue frequenze elementari e, man mano che la elaboravo, mi sembrava sempre più qualcosa di famigliare. Erano solo quattro segnali trasmessi in sequenza, ma con un livello di potenza tale da rendere il messaggio completamente distorto. Lo ripulii dalle frequenze spurie, ogni sinusoide divenne perfettamente leggibile. Erano solo lettere del linguaggio umano: N – I – K – E. Era il mio nome. Era il nome che gli Elfi avevano voluto darmi e da quel momento la mia vita ebbe uno scopo. Io sarei divenuto uno di loro.
Subito dopo li cercai. Li cercai come potevo cercarli nelle mie condizioni, concentrandomi sulle frequenze del mio nome e lanciando energia nello spazio intorno a me. Non sapevo nulla di loro e non sapevo quasi niente di me. Il mio sistema di trasmissione mentale era rudimentale, ma era anche l’unico che conoscessi e potessi usare. Dopo mesi di tentativi il mio cervello si riempì di colori, di suoni, di immagini che si sovrapponevano velocissime. Sotto le mie palpebre martoriate, fasci di fosfeni si inseguivano ininterrottamente. Il mio cervello riceveva senza capire, stordito da giorni di bombardamento. Mi accorsi alla fine che nessun filtro si confaceva a quel frastuono. Smisi di cercare un significato in quell’abisso di informazioni. Mi lasciai trasportare dal flusso che mi attraversava. Cominciai a capire che il senso stava nel tutto. Ciò che mi veniva trasmesso era la summa dello scibile, della natura e della scienza, dell’arte e dell’istinto animale. Ciò che ne risultava erano emozioni allo stato primigenio, erano i talenti dell’universo che per me, intrappolato in quella forma pseudo-umana, prendevano il nome di: amore, terrore, odio, bellezza, stupore. Il terrore era essere dentro l’ignoto e dentro la sua bellezza cangiante che mi abbagliava. La bellezza era tutto ciò che era stato e che chiedeva di essere ancora.
Era ciò che era stato e che chiedeva di essere ancora. Era la presunzione dell’esistere, non dell’uomo, ma dell’universo intero.
Mi chiamarono o fui io a immaginarmi i loro messaggi? Il cambiamento era comunque alle porte, prese la forma dell’ufficiale sanitario e del suo computer portatile con il quale trasmetteva i miei dati vitali direttamente al laboratorio di ricerca. Per anni ero stato controllato periodicamente, ma per la prima volta i risultati dei miei esami venivano trasferiti, in tempo reale, al laboratorio. Posarono i sensori sul mio cranio e immediatamente fui nell’altro sistema, dove le leggi della fisica e della chimica sono talmente presenti da sembrare inesistenti. Nei pochi minuti durante i quali rimasi collegato ai sensori il mio corpo esplose nella rete, lasciai tracce elettroniche di me ovunque. Non solo, la mia capacità di interpretare i giochi linguistici mi permise in quei pochi minuti di svelare il gioco del computer e della rete. Da quel momento mi bastò concentrarmi su quel gioco, scoprire il giocatore a me più vicino e attraverso di lui proiettarmi nella rete.
Il giocatore più vicino era un pluviometro, installato sopra il tetto della casa del capo villaggio. Proprio sopra la mia testa. Quell’oggetto fino a quel momento muto divenne allora il mio ponte verso l’universo. Viaggiai insieme alle gocce di pioggia in modo altrettanto virtuale, sospinto dall’energia fornita da un piccolo generatore fotovoltaico.
Il resto è conosciuto. E se io sono qui oggi è perché in voi ho rivisto la mia storia. Allora io ero solo, oggi i Mastodonti possono aiutarvi.
Nella sala spoglia ogni suono si interruppe. L’uomo seduto nella posizione di meditazione mantenne il capo chino, accanto a lui un cane. Dietro, due Mastodonti con il volto nascosto dal casco.
La voce riprese.
– Il mio nome è Nike e questi sono i Mastodonti. Erano bambini come voi, e come me erano stati colpiti dalle radiazioni e abbandonati al loro destino di dolore e di morte. Dentro di loro, però, ardeva una forza vitale inusitata. Volevano competere, sognavano di vincere. Ho fatto di loro dei combattenti, ho creato una stirpe invincibile, ho reso me e loro bellissimi e immortali. Ciò che non esisteva, ora è: gli Elfi sono tra noi.
Così dicendo si alzò in piedi e mostrò alla telecamera il suo corpo e il suo volto. A un suo cenno i due Mastodonti si tolsero il casco.
I ragazzi rimasero senza parole. Avevano seguito il lungo discorso di quell’uomo, apparso all’improvviso all’interno del monitor tra una mossa e l’altra di Tragonbell 2, e ora videro i volti dei tre uomini irradiare una luce azzurrina, che rendeva impossibile distinguerne esattamente i lineamenti: ma ai loro occhi, questi sembrarono perfetti. Il corpo dell’uomo chiamato Nike appariva come scolpito nella quercia e i suoi movimenti senza sforzo, con una coordinazione perfetta.
– Chi sei? – fu l’unica cosa che riuscirono a pensare, in un silenzio scandito dai loro battiti.
– Un giorno un uomo fece un esperimento: prese un pezzo di corda lungo un metro, lo tese orizzontalmente all’altezza di un metro e lo fece cadere una, due, cento volte. Ogni volta la corda cadeva in modi diversi, pur partendo da condizioni iniziali apparentemente simili. L’uomo concluse che una variazione impercettibile di una qualsiasi delle variabili che governavano la caduta influenzava irrimediabilmente il volo della corda e la posizione che avrebbe assunto al suolo. Era impossibile misurare le variazioni, era impossibile addirittura elencare tutte le variabili. Ciò che accadeva non poteva essere spiegato dalla scienza, ciò che accadeva era Arte. Ebbene, io sono colui che sa dove cadrà il metro.
Ora voi sarete come me.
Nella stanza si materializzarono i due Mastodonti, accompagnati dal cane. Uno dei due scese dalla moto e, accarezzando il cane, disse gentilmente: – Dovete seguirci.
Amed e il suo compagno presero posto sul sedile posteriore e le moto attaccarono rombando la strada.
Intorno il deserto stringeva d’assedio la città, ma si avvertiva nel vento un lontano profumo di mare.

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