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Giorno: 16 Maggio 2020

Coronavirus. Donini: “Si alzi ulteriormente la guardia negli ospedali”. Tamponi ad ogni degente al momento del ricovero e delle dimissioni

Da: Organizzatori

In arrivo tamponi naso faringei a chiunque venga ricoverato in ospedale e a ogni degente al momento delle dimissioni dall’ospedale. Nel momento in cui il tasso epidemico è più basso dall’inizio dell’ emergenza, l’assessore alle Politiche per la salute della Regione Emilia- Romagna, Raffaele Donini, non solo non intende allentare le misure di sicurezza per limitare il contagio, ma potenzia ulteriormente le azioni in campo.

Donini lo ha annunciato oggi nel corso dell’aggiornamento pomeridiano, che si è tenuto nella diretta Facebook settimanale nel profilo della Regione, sui dati relativi alla diffusione del Covid-19 in Emilia-Romagna.

Al centro di questa nuova azione sono gli ospedali regionali, che dovranno sempre più garantire la massima sicurezza. Già da lunedì l’Assessore illustrerà la proposta ai massimi vertici delle Ausl, per applicare in maniera uniforme su tutto il territorio l’azione da intraprendere per il contrasto al contagio.

“Già da tempo inseguiamo il virus casa per casa- ha detto Donini- concentrandoci sulle CRA e le mura domestiche, che sono due tra i fronti più delicati rispetto al contagio, ma è necessario alzare ulteriormente l’attenzione anche negli ospedali, verso i quali comunque non è mai mancata alcuna misura di garanzia, intercettando le eventuali situazioni di positività, grazie agli ulteriori tamponi che verranno effettuati. Rafforzeremo anche le informazioni per le visite ai degenti da parte dei parenti, in modo da aumentare la loro consapevolezza per osservare in maniera scrupolosa le precauzioni per evitare la diffusione del virus”.

Dal 29 maggio saranno inoltre messe a disposizione nuove macchine che consentiranno di processare 10mila tamponi al giorno

CARLO BONOMI, NUOVO BOSS DI CONFINDUSTRIA:
la vecchia, inutile ricetta neoliberista ai tempi del Coronavirus

Mentre è iniziata la cosiddetta fase 2 e il governo continua a prendere provvedimenti in una logica sostanzialmente emergenziale (prima il decreto marzo, ora il decreto maggio), vale la pena alzare un po’ lo sguardo e ragionare su come affrontare la crisi sanitaria, economica e sociale, che si preannuncia la più pesante dal secondo Dopoguerra, con un’ottica di medio termine. E’ necessario farlo, perché gran parte della politica continua a muoversi in una logica di breve periodo, quasi che avesse introiettato dall’economia il fatto di considerare i risultati entro quell’ambito ristretto.
Ancor più perché, se lasciata a stessa, la crisi è destinata a produrre disuguaglianze ancora più forti di quelle già inaccettabili presenti oggi e a peggiorare le condizioni della parte più debole e povera della società. Già ora se ne intravedono le avvisaglie e, purtroppo, anche le volontà: mi riferisco in particolare a Confindustria che, per bocca del suo presidente in pectore Carlo Bonomi, senza grande clamore, ma con una forte azione di lobbing, ha già stilato una “piattaforma” di interventi che vanno in quella direzione. Dal momento della sua designazione, che sarà definitivamente ufficializzata il 20 maggio, il capo degli industriali ha inanellato una serie di richieste che non solo sono corporative – la gran parte delle risorse vanno date alle imprese – ma che delineano un quadro decisamente regressivo e pericoloso.

PRIMA RICHIESTA: superamento, cioè eliminazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Attaccandosi al fatto che la ripresa produttiva necessita di forte flessibilità nel lavoro e nelle turnazioni, Bonomi rilancia un vecchio cavallo di battaglia padronale, chiede cioè che la contrattazione avvenga solo a livello delle singole aziende, dove si pensa che i rapporti di forza siano più favorevoli e che, comunque, pesino di più la differenza delle varie situazioni, sia per far accettare i ‘necessari sacrifici’ nelle situazioni di crisi, sia per premiare e costruire consenso e fedeltà alle filosofie aziendali, laddove l’andamento dell’impresa è positivo.
Siamo di fronte ad un attacco senza precedenti a quel che rimane del tessuto solidaristico del lavoro, già ampiamente slabbrato negli anni passati attraverso l’abrogazione di fatto della tutela dei licenziamenti individuali operata dai governi Monti e Renzi e l’estensione abnorme delle tipologie di lavoro precario, che diventerebbe così la forma ‘normale’ del lavoro.

SECONDA RICHIESTA: semplificazione delle procedure amministrative, contro la  ‘burocrazia imperante’. Il che tradotto, in termini concreti, significa di fatto annullare le certificazioni, rendere labili i controlli e lasciare mano libera alle imprese: pensiamo, ad esempio, a cosa vuol dire, in termini di appalti, sicurezza del lavoro e svolgimento delle grandi opere.

TERZA RICHIESTA, proprio fresca di questi ultimi giorni, che ha quasi dell’incredibile: abolizione dell’IRAP ( Imposta Regionale Attività Produttive) sulle imprese, la tassa che finanzia il sistema sanitario. Sì, avete capito bene, togliere risorse alla sanità, ma – non preoccupatevi – ci può essere una soluzione, quella suggerita dal presidente dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana) Giovanni Sabatini, che propone di utilizzare i fondi del MES, il Fondo europeo istituito da ultimo per le spese sanitarie, uno strumento peraltro troppo rischioso e ambiguo, anche dopo l’ultimo accordo in sede di Eurogruppo. Togliere dunque l’IRAP alle imprese e lasciare alla fine inalterato il finanziamento alla sanità. Proprio un bel capolavoro: una bella partita di giro tra utilizzo del MES e sgravi fiscali indiscriminati alle aziende, tra nuovo debito pubblico e risorse agli imprenditori.

Infine, ci sono i NO, pesanti come macigni: No alle nazionalizzazioni, però con la solita variante furbetta. Siccome si sa che lo Stato dovrà intervenire per sostenere aziende e settori in crisi (pensiamo solo al trasporto aereo, dove non solo non si sfugge all’intervento pubblico per Alitalia, e dove persino il rigido governo tedesco pensa ad un’iniezione di denaro pubblico in Lufthansa).  Per Bonomi deve essere ben chiaro che l’intervento di capitali pubblici è solo temporaneo, serve per risanare le situazioni compromesse, per poi ridare spazio agli investitori privati: un’ idea peraltro già sperimentata in passato, che si riassume nella socializzazione delle perdite e nella privatizzazione dei profitti.
L’altro NO è quello alla riduzione dell’orario di lavoro, anche se fosse interamente finanziato dallo Stato senza oneri per le imprese, una proposta timidamente suggerita da alcuni settori del governo (sollecitati in questo dal sindacato), per essere poi prontamente ritirata. La riduzione dell’orario di lavoro sarebbe stata una misura seria e sensata, soprattutto in previsione delle difficoltà occupazionali che già si vedono e che diventeranno ancora più robuste, ma che agli occhi di Confindustria appare come il famoso drappo rosso davanti al toro: parlare di riduzione d’orario è tabù, non si sa mai che poi qualcuno possa immaginare che un nuovo modello sociale e produttivo possa poggiare anche su una redistribuzione dell’orario di lavoro e magari anche sulla piena e buona occupazione.

Insomma, quello di Carlo Bonomi è un vero e proprio manifesto-proclama del neoliberismo ai tempi del Coronavirus. Non paghi dei disastri prodotti negli anni passati, quella della crisi iniziata con il 2008 ed esplosa nel nostro Paese nel 2011, di fronte alla quale gli alfieri del neoliberismo hanno ispirato pesanti politiche di austerità, con la privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici, compresa la sanità, lo smantellamento dell’art. 18 e del diritto del lavoro, la controriforma della previdenza, ora ripropongono la stessa filosofia nelle nuova grande crisi. Facendo finta di non vedere che non può funzionare, perchè la centralità dell’impresa e l’autoregolazione del mercato non possono comprimere più di tanto le condizioni di vita e lavoro e la stessa rappresentanza imprenditoriale non può sottrarsi alle responsabilità di aver contribuito a portarci fin qui. Anche per quanto riguarda la pandemia, che non è semplicemente un fatto ‘naturale’, un tema epidemiologico e di salute, ma è anche un dato sociale a tutti gli effetti, che ha a che fare con le politiche di sfruttamento ambientale, di rottura degli equilibri nelle relazioni tra uomo, animali e natura, di organizzazione sociale e sanitaria in senso lato, tutte permeate da una logica di appropriazione privata e ricerca del profitto.

Allora, è evidente che bisogna prendere tutt’altra strada e bloccare queste intenzioni negative. Per farlo, però, serve un progetto alternativo e la consapevolezza che sarà necessario uno scontro forte, anche di carattere culturale,  nei confronti delle posizioni di Confindustria.
Sul progetto alternativo ho già avuto modo di scrivere anche su FerraraItalia [Qui]. Mi interessa solo richiamare i suoi assi di fondo: un grande Piano di Intervento e Investimento Pubblico diretto in settori fondamentali, a partire dalla sanità e dei beni comuni sociali e naturali per arrivare alla riconversione ecologica dell’economia e ad un intervento strategico sul riassetto e la messa in  sicurezza del territorio.Il tutto supportato dal reperimento di risorse in una logica di riduzione delle disuguaglianze e di equità fiscale e accompagnato da una significativa riduzione dell’orario di lavoro e dall’istituzione di un reddito minimo garantito.
Accanto a questo, anche alla luce delle posizioni assunte da Confindustria, occorre naturalmente una vasta mobilitazione, prima di tutto sociale, per affermare questa prospettiva. Anche perché continuiamo a vedere all’opera un governo fragile, diviso al suo interno, incapace di mettere in campo una visione strategica e prigioniero di una logica emergenziale, esposto agli stessi diktat di Confindustria.

Ho ben presente che quello della costruzione di una mobilitazione e di un’alternativa è un tema complicato, che molti si sentono scoraggiati e non vedono il bandolo della matassa da cui poter ripartire. Né mi sento di avere già la risposta confezionata in proposito, anche perché potrebbe non essere utile senza passare per una discussione collettiva.
Nello stesso tempo, penso che ci siano tante energie e realtà, sia a livello nazionale che territoriale, a partire dai movimenti e dalle organizzazioni sociali, che già si muovono in un’ottica di alternativa al Pensiero Unico e alle ricette neoliberiste. Forse  allora varrebbe la pena costruire un dibattito e una riflessione a più voci anche su questo punto decisivo. E perché non partire proprio dalla realtà di Ferrara e i suoi problemi?

In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

Coronavirus, l’aggiornamento: 27.182 i positivi in Emilia-Romagna dall’inizio della crisi, 72 in più rispetto a ieri

Da: Organizzatori

4.777 i tamponi effettuati, 258.274 in totale. I casi lievi in isolamento a domicilio sono 5.000 (-124). In diminuzione i ricoverati nei reparti Covid (-23) e nelle terapie intensive (-2). I nuovi decessi sono 17. In arrivo in Emilia-Romagna altri 11 infermieri volontari

In Emilia-Romagna, dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus si sono registrati 27.182 casi di positività, 72 in più rispetto a ieri. I test effettuati hanno raggiunto quota 258.274 (+4.777).
Le nuove guarigioni oggi sono 204 (17.370 in totale), mentre continuano a calare i casi attivi, e cioè il numero di malati effettivi che a oggi sono scesi a 5.852 (-149). Per un differenziale fra guariti complessivi e malati effettivi di 11.518, fra i più alti nel Paese.
Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.
Le persone in isolamento a casa, cioè quelle con sintomi lievi, che non richiedono cure ospedaliere, o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 5.000, – 124 rispetto a ieri. I pazienti in terapia intensiva sono 112 (-2). Diminuiscono anche quelli ricoverati negli altri reparti Covid, che sono 740 (-23).
Le persone complessivamente guarite salgono quindi a 17.370 (+204): 1.843 “clinicamente guarite”, divenute cioè asintomatiche dopo aver presentato manifestazioni cliniche associate all’infezione, e 15.527 quelle dichiarate guarite a tutti gli effetti perché risultate negative in due test consecutivi.

Purtroppo, si registrano 17 nuovi decessi: 5 uomini e 12 donne. Complessivamente, in Emilia-Romagna sono arrivati a 3.960. I nuovi decessi riguardano 2 residente nella provincia di Piacenza, 2 in quella di Parma, 4 in quella di Reggio Emilia, nessuno in quella di Modena, 6 in quella di Bologna (nessuno nell’imolese), nessuno in quella di Ravenna e a Forlì-Cesena, 1 a Ferrara, 2 in quella di Rimini. Nessun nuovo decesso da fuori regione.

Questi i casi di positività sul territorio, che invece si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: 4.417 a Piacenza (5 in più rispetto a ieri), 3.379 a Parma (26 in più), 4.888 a Reggio Emilia (9 in più), 3.857 a Modena (8 in più), 4.478 a Bologna (15 in più), 390 le positività registrate a Imola (nessun nuovo caso), 980 a Ferrara (2 in più). In Romagna sono complessivamente 4.793 (7 in più), di cui 1.007 a Ravenna (2in più), 936 a Forlì (nessun nuovo caso), 758 a Cesena (nessun nuovo caso), 2.092 a Rimini (5 in più).

La rete ospedaliera: 2.780 i posti letto destinati ai pazienti Covid-19
Da Piacenza a Rimini, il piano messo a punto dalla Regione ha portato complessivamente a 2.780 posti letto attivati per i pazienti Covid-19 (dati aggiornati al 15 maggio): 2494 ordinari (146 meno del giorno precedente, che sono tornati disponibili per le attività no Covid) e 286 di terapia intensiva (invariati rispetto al giorno precedente). Nel dettaglio: 377 posti letto a Piacenza (di cui 28 di terapia intensiva), 358 a Parma (22 di terapia intensiva), 278 a Reggio Emilia (35 di terapia intensiva), 343 a Modena (55 di terapia intensiva), 708 tra Bologna e Imola, e dunque nell’area metropolitana (73 terapia intensiva, di cui 8 a Imola), 208 a Ferrara (23 di terapia intensiva), 508 in Romagna, di cui 50 per terapia intensiva. Nel dettaglio: 166 a Rimini (di cui 27 per la terapia intensiva), 39 a Ravenna (di cui 2 per la terapia intensiva), 97 a Lugo (di cui 10 per la terapia intensiva), 24 a Faenza, al San Pier Damiano Hospital; 79 a Forlì, 73 a Cesena (di cui 11 per la terapia intensiva).

Le attività dell’Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile

Dispositivi di protezione individuale
Dal Dipartimento nazionale, sono pervenute 1 milione e 130.000 mascherine chirurgiche, di cui 10.000 mila destinate alle RSA, 241.000 mascherine ffp2 (di cui 20.000 per le RSA e 11.000 per il trasporto pubblico locale); 54.000 camici idrorepellenti, 240 litri di gel igienizzante e 9.000 dépliant illustrativi sul corretto uso delle diverse tipologie di mascherine, da distribuire presso Comuni, uffici pubblici, strutture sanitarie e medici di base.
La rendicontazione dei dati su Dpi e apparecchiature elettromedicali distribuiti dalla Protezione Civile alle Regioni è disponibile tramite il sistema ADA (Analisi Distribuzione Aiuti), sui siti del Dipartimento e del Ministero della Salute.

Volontariato
Venerdì 15 maggio sono stati 685 i volontari di protezione civile dell’Emilia-Romagna impegnati nell’emergenza. Dall’inizio dell’emergenza, si sono accumulate 48.556 giornate complessive (senza considerare le attivazioni dirette del Dipartimento nazionale).
Le attività più rilevanti sono a supporto dei Comuni per l’assistenza alla popolazione (consegna mascherine; spesa, pasti e farmaci a domicilio; giovedì queste attività hanno coinvolto circa 345 volontari, fra cui 80 scout Agesci); e a supporto delle Ausl nel trasporto con ambulanze, nella consegna di campioni sanitari e tamponi, in aiuto a chi sta in quarantena (CRI e ANPAS; 340 volontari). Volontari di protezione civile si stanno occupando di funzioni di segreteria e supporto logistico presso i COC dei vari Comuni; nel parmense, prosegue la sanificazione dei mezzi di soccorso.
Nel fine settimana si interrompe l’attività a supporto delle aziende del Trasporto Pubblico Locale presso la stazione di Bologna, attivata dal Dipartimento nazionale: ieri sono stati impiegati 9 volontari. L’attività verrà ripresa da lunedì 18 maggio fino alla fine del mese. All’aeroporto Marconi di Bologna continuano a operare 2 volontari per monitorare i passeggeri in transito.

Triage: da oggi 16 maggio una seconda tenda davanti al carcere di Ferrara
Oggi viene installata presso la Casa circondariale di Ferrara (via Arginone n. 327) una tenda pneumatica a quattro archi che sarà adibita a svolgere le funzioni di pre-triage per i visitatori ed i familiari dei detenuti nel carcere. Volontari afferenti al Coordinamento provinciale delle associazioni di volontariato di Ferrara assicureranno un presidio logistico alla struttura. Si tratta di una struttura aggiuntiva a quella già attualmente presente che resterà dedicata alla funzione di pre-triage per i soli detenuti.

Nel complesso, sono 39 i punti di pre-triage in Emilia-Romagna, realizzati con materiali dell’Agenzia regionale ed il supporto dei volontari (11 davanti alle carceri, 28 per ospedali e cliniche).
Questi i punti allestiti presso le strutture sanitarie:

3 in provincia di PC (Piacenza città, Fiorenzuola d’Arda e Castel San Giovanni);
3 in provincia di PR (Parma città, Vaio di Fidenza e Borgotaro);
3 in provincia di RE (Reggio Emilia città, Montecchio e Guastalla);
5 in provincia di MO (Sassuolo, Vignola, Mirandola, Pavullo e Modena città);
3 nella città metropolitana di BO (Sant’Orsola e Maggiore, e a Imola);
2 in provincia di FE (Argenta e Cento);
1 in provincia di FC (Meldola);
2 in provincia di RA (Ravenna città, Faenza);
5 in provincia di RN(Rimini città e Morciano);
1 nella Repubblica di San Marino (Ospedale di Stato: pre-triage e screening sierologici).
Gli 11 punti di pre-triage presso le carceri e le case circondariali si trovano a Bologna (2), Modena (2, di cui uno a Castelfranco Emilia), Ferrara (1), Forlì (1), Parma (1), Piacenza (1), Reggio Emilia (1), Ravenna (1) e Rimini (1).

Drive Through
Realizzate con il concorso dell’Agenzia e dei coordinamenti provinciali del volontariato di protezione civile, sono 14 le strutture dove si effettuano i tamponi di verifica a chi è in via di guarigione e/o lo screening sierologico. E’ stata smontata la struttura di Bagno di Romagna (FC).
Sono attive due postazioni a Parma e due a Modena, una a Castelnovo ne’ Monti (RE), Guastalla (RE), Bologna, Imola (BO), Cesena (FC), Forlì (FC), Rimini (RN), Ravenna, Faenza (RA) e Lugo (RA); a queste strutture si aggiungono quelle allestite direttamente dalle Aziende sanitarie.

Personale sanitario volontario da altre regioni: in arrivo da Roma 11 nuovi infermieri
Nel primo pomeriggio di oggi è previsto l’arrivo a Bologna – nel piazzale di Viale della Fiera, davanti alla sede della Regione – di un pullman di CRI con a bordo 11 infermieri volontari della task force del Dipartimento nazionale della Protezione civile, destinati alle aree più colpite dall’emergenza. Gli infermieri destinati all’Emilia-Romagna (con assegnazione: 1 a Piacenza, 1 a Parma, 2 a Modena, 2 a Bologna, 2 a Ferrara e 2 all’Ausl Romagna) fanno parte di un contingente complessivo di 60 infermieri che presteranno servizio anche presso altre realtà regionali (Lombardia, Piemonte, Liguria, Valle D’Aosta, Bolzano). Gli 11 sanitari provengono da Veneto, Sicilia, Campania e Puglia.
Un funzionario dell’Agenzia regionale per la Sicurezza territoriale e la Protezione civile si recherà sul posto per l’accoglienza ed il coordinamento dei quattro pulmini che assicureranno il trasporto del personale sanitario nelle destinazioni finali. Pernottamento e vitto sono assicurate dalle AUSL territoriali. Giovedì scorso era arrivato anche un piccolo contingente di medici (3), poi dislocati nelle strutture sanitarie di Rimini, Bologna e Modena.

Dall’inizio dell’emergenza, sono pervenuti in Emilia-Romagna 7 gruppi di infermieri (totale 111 unità) e 6 di medici (totale 62).

Donazioni
I versamenti vanno effettuati sul seguente Iban: IT69G0200802435000104428964
Causale – Insieme si può Emilia Romagna contro il Coronavirus

Il mio soggiorno

La persona che ama di più il mio soggiorno è Tito. Sta spesso seduto sul piccolo divano di velluto rosa e parla gesticolando. Le sue mani belle mimano i contorni di paesaggi lontani e accompagnano le sue parole come bizzarri esecutori di pensieri che prendono forma. Tito porta spesso un maglione a quadri bianco e nero che gli sta d’incanto sopra il cuore.
Il mio soggiorno è una stanza molto grande: contiene due divani e due poltrone. I divani sono della vecchia casa di mia madre. Uno dei due è giallo a fiori così come le due poltrone. Le maniglie delle poltrone sono di legno scuro, anche i piedi del divano e la sua parte posteriore. L’altro divano è molto piccolo ed è rivestito di velluto rosa cipria. La struttura è di legno, le borchie che fissano il velluto al legno d’ottone. E’ un divano romantico e particolare. Ci possono stare sedute due persone magre, oppure una grassa, non di più.
Tito ama quel divano, si siede quasi sempre lì. Racconta dei suoi viaggi e del suo lavoro, di qualcosa che ha letto, di cosa cucinerà per cena. A volte scoppia a ridere, ride di se stesso. Di quel che dice. Uno dei motivi per cui mi piace tanto Tito è questo. Sa prendersi in giro da solo.
Sotto i divani c’è un tappeto a strisce verdi, arancioni e grigie. Nell’altra metà stanza c’è un lungo tavolo del settecento, dieci sedie, due credenze, una cassapanca, un tavolo piccolo molto simile a quello grande, sempre del settecento. Ci sono inoltre due grandi finestre: una che guarda sul cortile e una sulla strada. La stanza è soprelevata rispetto alla strada di circa due metri, mentre dalla parte del cortile non c’è dislivello. La mia casa è posizionata in maniera strana, rasente le mura della città.

Tito sta sul divano rosa, parla di onestà. Taglia l’aria con le mani. Parole come tenaglie risucchiano l’ossigeno mentre dice che un futuro di giustizia ci sarà. Non so da dove venga la fede incrollabile nella vittoria del bene sul male, nel pentimento universale, nel perdono e nella pietà. E’ convinto che le idee sono il motore del mondo, che il bene è più forte del male e che prima o poi vincerà. Dice che secondo il filosofo tedesco Hegel ‘il bene’ è la libertà realizzata, lo scopo ultimo del mondo. ‘Il male’, al contrario, la sua totale negazione. Il bene non viene desiderato in qualità di perfezione della realtà, anzi: esso è perfezione e realtà proprio perché viene desiderato.
Oddio … Io non so perché Tito insista a parlare di bene e male come se si dovesse mangiare filosofia ad ogni pasto, ma so che per lui questo argomentare è fondante, dà senso alla sua vita. Tito è un idealista, uno che considera l’idea al pari della materia. Parlare di Hegel e poi raccogliere gli spinaci, pulirli, lavarli, farli bollire, schiacciarli, lasciarli raffreddare, mangiarli. Ogni operazione deve avere il suo tempo, il suo rigore e una sua propedeuticità. Tito è un amico di famiglia, piace a mia madre e anche a me. Mia nipote si incanta a guardarlo. Credo che sia perché è bello. Alto, magro, occhi azzurri. Un classico. Le sue mani lunghe si muovono come ramoscelli al vento, come magre liane,  come tentacoli buoni e flessuosi. Una eleganza d’altri tempi concentrata in quelle mani, che perforano l’aria, al pari delle sue parole. Sta seduto sul divano del soggiorno e scaccia gesticolando la mediocrità. Per lui e per noi, per chi arriva e resta incantato dal suo mimare e spiegare. Tito parla di rigore e di verità.

A fianco dei divani c’è una grande libreria. Contiene migliaia di Libri. Letteratura, storia, biologia, arte e tantissimi romanzi. Mia madre li ha letti tutti, mia sorella legge tutti i vocabolari e le enciclopedie, io non so … quel che mi ispira a seconda del momento e dell’umore e anche un po’ a caso. Mi piace il caso, sembra insegnare qualcosa. Porta messaggi a modo suo, allenta un po’ la tensione per il futuro. Siccome non tutto dipende da noi, ma anche dal caso, ciò che succederà non è solo ciò che noi vogliamo, ma anche l’accidentalità. Questo non è stressante, al contrario. E’ sano pensare che ci sia qualcosa che dipende dal cosmo e non solo da noi.  E’ un percepire qualcosa lontano dall’individualismo smodato e dalla sua autoreferenzialità. Tito, con le sua mani belle, prende un libro, lo apre a caso, legge qualche riga e dice che ha capito. “Capito, capito”  e poi declama a voce alta: “Dobbiamo essere grati alle  persone che ci rendono felici. Sono i premurosi giardinieri che fanno fiorire la nostra anima.” E’ Marcel Proust, non so in che libro. Sembra che dalla bocca di Tito le citazioni raccolte a caso acquisiscano senso. Come se tra il suo palato e la sua lingua si mescolassero di nuovo le lettere di un racconto già scritto, per diventare parole vive che lui pronuncia come se fossero un po’ sue, pensate e scritte da lui. Le parole riconquistano un sentimento e un senso. Il suo pensare rigoroso e la nostra abitudine ad attribuire ai suoi discorsi importanza, fa sembrare qualunque sua citazione un prolungamento del suo argomentare, un corollario delle sue teorie, una spiegazione di quel che dice e fa. E’ come se nelle citazione trovate a caso, Tito riuscisse sempre a mettere un po’ della sua verità. Tito è un mago.

Le citazioni imperversano ovunque, la possibilità di farle proprie e sistemarle dentro un discorso, come tanti piselli in un unico baccello, rendendo sensato ciò che non lo è, è una qualità che posseggono solo poche persone. Una qualità interessante, una unicità che viene dall’esperienza e dalla sensibilità. Tito è un esempio per  chi vuole acquisire fascino e conquistare gli altri con gentilezza e competenza, con garbo e complicità. Lui è un nostro amico, uno di casa, un personaggio idealista e un po’ visionario che vede ovunque una strada per trovare la verità, per arrivare a parlare del bene. E’ incredibile il rigore del suo pensiero che gli dà la possibilità di organizzare  qualunque scoperta in modo funzionale al suo argomentare, all’ordinamento del caos, alla via per annientare il frastuono del mondo e la sua mediocrità. Tito è un antidoto alla banalità dilagante. Nella sua testa e nel suo cuore sta tutta il suo fascino.
Il mio soggiorno ha dei bei divani, cerchiamo di tenerli sempre puliti. Mia mamma li spazzola, Rosa li passa sempre con l’aspirapolvere, io li raddrizzo in modo che siano sempre perpendicolari al tappeto e paralleli alle pareti. E’ il nostro omaggio al personaggio. All’abitante preferito di quei sofà. Tito accarezza il velluto del divano con le sue mani  eleganti e piene di vita. Si alza, saluta, dice che tornerà. Noi restiamo tutte là, aspettiamo già che torni con la sua filosofia, la sua arte, la sua beltà e tutta la poesia che sa mettere in quel che fa. Tito oggi cucinerà gli spinaci. Apro la finestra, guardo in strada, non c’è nessuno. Richiudo. Apro la seconda finestra, quella che dà sul cortile. Un grande spiazzo e un orto ben coltivato, un portico, una rimessa, un pollaio. La parte più viva della casa è quella, è la più antica, la più tradizionalista, la più utile, un rifugio per il tempo che verrà. Richiudo la finestra ma lei si riaprirà.

Il Comune di Comacchio apre un conto corrente la per la solidarietà

Da: Organizzatori

Il Comune di Comacchio con “I numeri del cuore” apre alla solidarietà diffusa attraverso l’apertura di un conto corrente bancario per la solidarietà presso BPER Banca, destinato a raccogliere le donazioni dei cittadini e delle aziende.
Il codice Iban attivato appositamente per le donazioni è IT56J0538723501000003214134.
Le risorse che il Comune acquisirà grazie alle donazioni verranno impiegate in attività sociali a sostegno delle persone che hanno subito i maggiori impatti dall’emergenza Covid-19 e verranno rendicontate alla comunità in maniera assolutamente trasparente.
L’apertura di un conto corrente per la solidarietà rientra fra le azioni indicate nell’ordinanza 658/2020 del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale “I Comuni possono destinare alle misure urgenti di solidarietà alimentare eventuali donazioni. A tale fine è autorizzata l’apertura di appositi conti correnti bancari onde fare confluire le donazioni”.
Nell’intestazione della donazione e nella causale del versamento sarà necessario inserire la dicitura ”“Comune di Comacchio – Emergenza COVID-19″. Le donazioni da persone fisiche e imprese sono detraibili ai fini fiscali.

Comacchio – da lunedì 18 maggio riapre la civica biblioteca

Da: Organizzatori

Anche i libri escono dalla quarantena. E così, lunedì 18 maggio la Civica Biblioteca “L. A. Muratori” di Comacchio riprende il servizio di prestito e ritiro dei volumi.

Le prescrizioni contenute nell’ordinanza del Presidente della Regione Emilia-Romagna del 30 aprile scorso, indica appunto, in prima battuta, la ripaertura ma con tutte le cautele del caso.

L’accesso al servizio è previsto tutti i giorni dal lunedì al sabato dalle ore 8,30 alle 12,30 nelle giornate di martedì e giovedì anche nel pomeriggio dalle ore 15,00 alle 18,00.

I libri potranno essere richiesti direttamente in biblioteca, tuttavia, per garantire ancor più sicurezza, è consigliabile prenotarli. Le modalità sono diverse: per telefono ai numeri 0533/315801, 315803, 315808 (negli orari di apertura della biblioteca) Inviando una mail all’indirizzo: biblio@comune.comacchio.fe.it oppure animazionedidattica@comune.comacchio.fe.it; o attraverso il web sul sito https://bibliofe.unife.it per consultare il catalogo della biblioteca, selezionando la Biblioteca, effettuare ricerche bibliografiche e verificare la disponibilità del libro richiesto. Chiedendo le credenziali di accesso presso la biblioteca, sarà possibile inoltre prenotare direttamente i libri desiderati. Bollettini novità degli ultimi anni e trovare bibliografie tematiche con consigli di lettura sul sito del Comune https://comune.comacchio.fe.it/contenuti/128375/novita-ultimi-acquisti e pagina facebook della biblioteca. Per il ritiro dei libri la biblioteca potrà accogliere un utente per volta, garantendo, comunque, la distanza di 1,5 m distanza fra i cittadini: sarà indispensabile indossare la mascherina.

La riconsegna avverrà al piano terra di Pazzo Bellini, sede della Biblioteca.

L’”operazione libro sicuro” della Biblioteca Muratori, prevede la consegna di libri sicuri dal punto di vista del rischio di contagio in quanto sono prelevati con tutte le cautele da postazioni inaccessibili al pubblico. Quelli invece che tornano da un prestito precedente verranno sottoposti ad una quarantena cautelativa di almeno 5 giorni, secondo quanto raccomandato dalle direttive regionali.

Zagatti Cgil Ferrara

Da: Cristiano Zagatti,
Segretario Generale
CGIL Ferrara

Scelgo la forma pubblica per ringraziare sentitamente le tante donne e uomini, tutte le categorie di CGIL, CISL e UIL, le diverse associazioni dei mondi economico, sociale e del volontariato, i partiti politici e le Istituzioni, i numerosi amici ed ex-colleghi che hanno espresso vicinanza e solidarietà a me, alla mia famiglia e all’organizzazione che rappresento.

La reazione di indignazione e condanna delle intimidazioni rivolte alla mia persona, per ciò che rappresento ovviamente, è stata straordinaria. Reazione che indica l’unico terreno tollerabile e percorribile per gran parte della società: quello democratico.

Non vi è dubbio che il clima di costante campagna d’odio, di delegittimazione del ruolo della rappresentanza e delle persone che lo esercitano, porti con se effetti collaterali.

Porre al centro del dibattito pubblico la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici e della loro salute; evidenziare le disuguaglianze sociali e mettere in campo azioni per contrastarle, denunciare ambiti di presunta illegalità e reale sfruttamento; occuparsi della condizione degli ultimi per evitare la guerra con i penultimi; pretendere trasparenza nella gestione di denari pubblici, occuparsi di sanità, di istruzione, di giovani e della condizione dei pensionati; mettere in discussione un modello socio-economico al fine di meglio redistribuire la ricchezza prodotta per un diverso modello di sviluppo non può e non deve mai diventare un problema.

E’ di questo che si occupa il movimento sindacale ogni giorno. Se infastidisce, se crea contrarietà fino ad arrivare alle intimidazioni personali significa che siamo in presenza di precise e preoccupanti volontà tese ad attaccare diritti e valori collettivi, contrastare misure di uguaglianza e giustizia sociale, limitare la libertà di ognuno fino a toccare il nostro impianto democratico.

Ringrazio ancora per la straordinaria risposta di larghissima parte della società che sommata alla pronta attenzione della DIGOS mi e ci permetterà di proseguire il lavoro sindacale con la stessa determinazione di sempre e, paradossalmente, con ancor più forza e vigore.

Partecipazione di Anc Ferrara all’iniziativa organizzata da Factory Grisù e Comune di Ferrara

Da: Ufficio stampa Anc – Ferrara

Il Consorzio Factory Grisù, in collaborazione con il Comune di Ferrara, Cna Ferrara, Associazione Nazionale Commercialisti Ferrara e con l’attività tecnica di ItCare srl e Copma Scrl lancia un appello alle imprese del territorio di Ferrara per aiutare insieme gli studenti che non hanno la possibilità di partecipare da casa alla didattica in modalità e-learning. Chiediamo alle imprese di donare il loro hardware in disuso agli studenti in difficoltà: pc e laptop. Il Comune di Ferrara, assessorato alla scuola e ai servizi sociali individua le situazioni di famiglie che non dispongono dei mezzi digitali necessari per la didattica a distanza. Copma Scrl si occuperà della sanificazione dell’hardware. ItCare srl si occuperà del ritiro, della cancellazione dei dati aziendali, e della predisposizione del software necessario. «Per la nostra associazione – dice il presidente di Anc, Alberto Carion – partecipa con grande piacere a questo tipo di iniziativa rivolta alle persone che, in un momento come questo, si trovano in difficoltà. Tutti i ragazzi devono vedersi garantiti pari diritti e a noi preme che nessuno rimanga indietro». Carion tiene a rimarcare come «Anc non è un’associazione di categoria alla quale preme portare avanti gli interessi dei professionisti facendo convegni e corsi di formazione. In situazioni come questa, i commercialisti del nostro gruppo saranno sempre in prima linea». Così come è stato fatto a inizio pandemia quando la sezione ferrarese dell’Associazione Nazionale Commercialisti ha devoluto all’ospedale di Cona e al Delta una cifra considerevole.

Fase 2: Coldiretti, apertura frontiere UE salva anche i raccolti

Da: Ufficio Stampa

L’apertura delle frontiere italiane ai cittadini europei non solo favorisce il turismo ma salva anche i raccolti Made in Italy nelle campagne con il ritorno dei circa 150mila lavoratori stagionali comunitari provenienti da Romania, Polonia e Bulgaria e altri Paesi europei rimasti bloccati dalla chiusura dei confini per la pandemia. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare positivamente la possibilità di riapertura delle frontiere dal 3 giugno senza obbligo di quarantena ai cittadini europei, con l’avvio già da lunedì di un coordinamento a livello europeo. Si tratta di una soluzione che – sottolinea la Coldiretti – consente di garantire professionalità ed esperienza alle imprese agricole italiane grazie al coinvolgimento temporaneo delle medesime persone che ogni anno attraversano il confine per un lavoro stagionale per poi tornare nel proprio Paese. Per garantire la sicurezza – precisa la Coldiretti – si attende ora che venga siglato il protocollo anti-contagio per il settore agricolo con i Ministri competenti e l’assistenza dell’INAIL. L’apertura di corridoi verdi per la libera circolazione degli stagionali agricoli all’interno dell’Unione Europea, che è stata sollecitata dalla stessa Commissione, ha già permesso a decine di migliaia di lavoratori comunitari di tornare a lavorare nelle campagne della Germania e della Gran Bretagna grazie a accordi tra i diversi Paesi e la stessa Francia ha da poco annunciato l’apertura delle proprie frontiere ai lavoratori dell’area Schengen.

“Le nostre imprese agricole si stanno già impegnando per organizzare il trasferimenti dei lavoratori europei dai Paesi di origine in Italia” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “viene dall’Unione Europea poco

meno della metà dei lavoratori stagionali occupati in agricoltura dove nel tempo hanno costruito rapporti fiduciari con le imprese.” Secondo le stime della Coldiretti c’è più di ¼ del Made in Italy a tavola che viene raccolto nelle campagne da mani straniere

con 370mila lavoratori regolari che arrivano ogni anno dall’estero, fornendo il 27% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore.

La comunità di lavoratori agricoli stranieri più presente in Italia – spiega Coldiretti – è quella rumena con 107591 occupati ma tra gli europei ci sono tra gli altri anche polacchi (13134) e bulgari (11261). Numeri che consentirebbero di colmare il gap attuale dopo che su sollecitazione della Coldiretti sono stati prorogati fino al 31/12 i permessi di soggiorno per lavoro stagionale in scadenza ed è stato ottenuto nel decreto Cura Italia prevede che le attività prestate dai parenti e affini fino al sesto grado non costituiscono rapporto di lavoro nè subordinato nè autonomo, a condizione che la prestazione sia resa a titolo gratuito. Con il mese di giugno – riferisce la Coldiretti – si intensifica l’attività nelle campagne: dopo fragole, asparagi, carciofi, ortaggi in serra (come meloni, pomodori, peperoni e melanzane in Sicilia) con l’aprirsi della stagione i prodotti di serra hanno lasciando il posto a quelli all’aperto, partendo dal sud per arrivare al nord. Le raccolte di frutta sono partite con le ciliegie in Puglia, a seguire partirà la raccolta delle albicocche, poi prugne e pesche, sempre iniziando dal meridione, per poi risalire lo stivale ed arrivare, grazie ai tempi di maturazione differenziati delle diverse varietà, fino a settembre. A maggio è iniziata la raccolta dell’uva da tavola in Sicilia, a giugno le prime pere, ad agosto le prime mele e l’inizio della vendemmia mentre a ottobre- conclude la Coldiretti – inizia la raccolta delle olive e a novembre quella del kiwi.

Trenitalia Tper, precisazione a dichiarazioni Faisa –Cisal

Da: Ufficio Stampa

In merito alle dichiarazioni di un sindacato, riprese oggi da alcuni organi di stampa, sulle misure anti-Covid-19 a bordo dei treni regionali di Trenitalia Tper si ritiene doveroso fornire alcune precisazioni, indispensabili per una ricostruzione della vicenda che corrisponda all’effettiva realtà dei fatti.

A seguito del DPCM del 26 aprile scorso, Trenitalia Tper ha immediatamente avviato un piano di progressivo allestimento dell’intera flotta per facilitare il rispetto delle norme previste, a garanzia della sicurezza sanitaria dei passeggeri e del personale. Contestualmente, attraverso la diffusione di specifici e ripetuti annunci, è stata assicurata a bordo treno una costante informazione in merito alle corrette condotte da assumere secondo le disposizioni vigenti, fra cui l’obbligo dell’uso della mascherina.

Sempre nella logica di garantire le condizioni più idonee a tutelare la salute di dipendenti e viaggiatori, su tutti i treni regionali dell’Emilia Romagna sono in corso di installazione 25 km di nastro calpestabile per segnalare i percorsi di uscita, 25mila bolli con pittogramma per il mantenimento della distanza sociale, 35mila marker per i sedili da non utilizzare, 5.200 adesivi per contrassegnare le porte di salita e discesa e 2.500 decaloghi con le norme di comportamento. Numeri che testimoniano come le attività di adeguamento dell’intera flotta siano pressoché impossibili in poco meno di due settimane, nonostante gli sforzi e l’impegno del personale di Trenitalia Tper.

Nonostante il ridottissimo tempo a disposizione, ad oggi, è stato già allestito oltre il 50% dei convogli, percentuale che sale all’80% sulle linee più frequentate (Bologna/Piacenza -Milano, Bologna/Rimini -Ancona, Bologna-Porretta e Bologna – Prato).

Ogni giorno vengono allestiti dieci treni ed entro la fine della prossima settimana sarà attrezzato il 100% dei treni.

In aggiunta a ciò, fin dai primi giorni dell’emergenza, Trenitalia Tper ha, inoltre, potenziato le procedure per l’igiene e la sanificazione dei propri treni, anche con l’installazione a bordo di dispenser di disinfettante per mani, e ha dotato il personale di bordo (capitreno e macchinisti) di equipaggiamento protettivo (mascherine chirurgiche, guanti e salviettine igienizzanti) e di kit di emergenza (mascherine FFP2, guanti e sacchetti monouso) per la gestione di eventuali emergenze sanitarie in treno.

Assolutamente fondamentali ai fini dell’efficacia delle misure adottate, sono, ovviamente, il senso civico e la responsabilità sociale di ogni singolo viaggiatore oltreché la collaborazione con il personale ferroviario.

Sono pertanto prive del benché minimo fondamento le accuse mosse dalla singola organizzazione sindacale FAISA-CISAL (peraltro non firmataria del contratto di lavoro vigente in Trenitalia Tper) nei confronti dell’azienda che si riserva di valutare l’adozione, presso tutte le sedi opportune, di tutte le azioni ritenute idonee a tutelare la propria posizione.

Luce verde dal Consiglio dei ministri alla riapertura dei Centri estivi. Pronte le Linee guida nazionali per la ripresa dell’attività in sicurezza

Da: Organizzatori

Accolti molti spunti del documento della Regione Emilia-Romagna, presentato a fine aprile dalla vicepresidente alle ministre Bonetti, Azzolina e Catalfo

Un risultato a cui la Regione guardava da tempo, ottenuto anche grazie al lavoro di squadra condotto in Emilia-Romagna, che ha visto la Vicepresidente Elly Schlein e l’assessore Paola Salomoni, amministratori locali, coordinamenti pedagogici territoriali, soggetti gestori, Terzo settore ed esperti in campo educativo e di sanità pubblica lavorare insieme per presentare al Governo una proposta di riapertura con modalità di svolgimento in sicurezza dei centri estivi e delle attività estive per minori.

“Siamo molto soddisfatti di questa notizia e ringraziamo la ministra Bonetti, insieme alle ministre Azzolina e Catalfo per l’impegno, una notizia davvero molto attesa dalle famiglie e dalle istituzioni- commenta la vicepresidente con delega al Welfare, Elly Schlein-. E siamo felici che il nostro contributo sia stato utile per raggiungere questo obiettivo, su cui abbiamo lavorato intensamente per settimane, fino all’ultima videoconferenza che abbiamo tenuto questa mattina con oltre settanta interlocutori del territorio, mentre ieri abbiamo incontrato i sindacati. Molte delle proposte che avevamo presentato sono state accolte, segno che la strada da noi ipotizzata era percorribile. Grazie a questo lavoro in Regione siamo pronti, lavoreremo con comuni, enti gestori e parti sociali per partire quanto prima con le prime attività sperimentali.”

Nel documento che a fine aprile la vicepresidente aveva illustrato in videoconferenza alla ministra alle Famiglie, Elena Bonetti, e a quella all’Istruzione, Lucia Azzolina e a quella al Lavoro e alle Politiche sociali Nunzia Catalfo- poi messo a disposizione della Conferenza delle Regioni e del Governo – si fissavano proposte concrete per lo svolgimento in sicurezza dei Centri estivi: attività preferibilmente all’aperto, aerazione costante e sanificazione degli ambienti in caso di soggiorno al chiuso. Bambini organizzati in piccoli gruppi a seconda delle fasce di età, seguiti sempre dallo stesso o dagli stessi educatori, senza contatti tra gruppi diversi, bambini accolti su più turni, con fasce orarie diversificate in modo da evitare assembramenti. E ancora, pluralità di spazi sicuri per le attività, triage all’ingresso senza far accedere gli accompagnatori agli spazi comuni, rispetto dove possibile delle distanze, anche come elemento del gioco, modalità e attenzioni specifiche per l’inclusione di bambini e ragazzi con disabilità, formazione di tutto il personale coinvolto su precauzioni e utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, massima attenzione ai principi di igiene e pulizia, sanificazione dei giocattoli (diversi per ogni gruppo) a fine giornata, e senza momenti di aggregazione come gli spettacoli di fine soggiorno.

Un contributo propositivo che è stato tenuto in grande considerazione per la definizione delle Linee guida messe a punto a livello nazionale, insieme ai contributi di ANCI e dei pediatri.

“La riapertura dei Centri estivi è fondamentale- aggiunge Schlein- per molte ragioni, a partire dalle conseguenze che la sospensione dei percorsi educativi e di socialità possono avere sui bambini e ragazzi, e dalle grandi difficoltà delle famiglie, le donne soprattutto, che non possono essere lasciate sole ad affrontare la gestione dei figli piccoli. Già normalmente sappiamo quanto sia difficile conciliare i tempi di vita e di lavoro, in questa fase il peso è, e sta diventando, sempre più gravoso. Consapevoli di questo- conclude la vicepresidente, con l’apporto delle migliori esperienze e competenze presenti nella nostra regione abbiamo lavorato pensando a modalità alternative e innovative di gestione delle attività in sicurezza, naturalmente nel pieno rispetto di tutte le misure necessarie a garantire la massima tutela della salute sia per gli educatori sia per i bimbi e le loro famiglie. Finalmente le famiglie potranno tirare un sospiro di sollievo. Molto positivo anche che il Governo, cui avevamo chiesto insieme ai comuni questo sforzo, metterà 150 milioni a disposizione e si potranno utilizzare anche i bonus babysitter per accedere ai centri estivi. Un grazie alle Ministre Bonetti, Azzolina e Catalfo per l’impegno e la preziosa collaborazione.”

Centri estivi nelle fattorie didattiche: ci sono gli spazi e le competenze

Da: Ufficio Stampa

Usare gli spazi all’aperto di fattorie didattiche e agriturismi come centri estivi,
per dare ai bambini una didattica di qualità in tutta sicurezza e consentire ai genitori di tornare al lavoro.
A livello regionale e provinciale si sta valutando la riapertura degli spazi educativi e per Cia – Agricoltori Italiani Ferrara si tratta di un’interessante opportunità per chi era già attrezzato a ospitare le visite delle scolaresche durante l’anno.
“Il bonus baby sitting messo a disposizione dal Governo si potrà utilizzare anche per i centri estivi – spiega Stefano Calderoni, presidente di Cia – Agricoltori Italiani Ferrara – e sarebbe interessante organizzarli negli spazi rurali delle nostre aziende agricole e agrituristiche. Aziende che hanno subito danni enormi in termini di fatturato – si stima quasi 1,4 miliardi di perdite a livello nazionale – e che potrebbero ricominciare le loro attività partendo proprio dalla didattica per i bambini visto che si teme, nonostante la riapertura, un forte calo dei flussi turistici italiani e stranieri. Certo – continua Calderoni – serviranno regole certe e dovrà essere, appunto, un’attività remunerata non una forma di volontariato. Questo perché se l’attività principale diventerà la didattica e verrà fatta seguendo rigide regole dei protocolli di sicurezza anti-Covid, le aziende dovranno magari rinunciare a un turno di ristorazione negli agriturismi o a ricevere ospiti esterni nelle fattorie didattiche. Attendiamo che dalla Regione arrivino delle linee guida per attivarci con le nostre aziende associate e capire se ci sono le condizioni per creare questi spazi educativi, ma l’idea appare ottima per tutti i soggetti coinvolti: per i bambini innanzitutto, per i genitori che devono tornare al lavoro con la certezza di lasciarli in un luogo sicuro e per le nostre realtà agrituristiche.
Anche per Antonella Galante, che gestisce insieme ai figli la “Fattoria degli animali la Collinara” a
Comacchio, una delle più grandi fattorie didattiche del ferrarese, si tratta di un’opportunità che va definita in maniera chiara per garantire qualità della didattica e sicurezza.
“La nostra cooperativa agricola sociale che svolge attività agrituristica e di fattoria didattica, si è
completamente fermata da fine febbraio. Noi ospitiamo oltre mille animali, allevati nel più assoluto
rispetto del loro benessere e li educhiamo a stare vicino alle persone, visto che ospitiamo soggetti “fragili”, con disagio sociale e disabilità, favorendone il recupero e l’inserimento lavorativo. E di questi animali e dell’intera azienda ci siamo dovuti occupare, naturalmente, anche se abbiamo perso ogni forma di introito derivato dalle visite alla fattoria didattica e dall’agriturismo. Siamo quindi più che disponibili a ospitare i centri estivi per i bambini, anche per i più piccoli dei nidi. Lo abbiamo già fatto in passato e crediamo di avere spazi e competenze per farlo in maniera più strutturata, naturalmente supportati da eventuali educatori. Certo deve essere un’attività didattica di qualità, svolta nella massima sicurezza per bambini e operatori e fonte di reddito per l’azienda. Per questo bisognerà capire quali saranno le regole da seguire per svolgerla. L’ambito rurale è sempre una risorsa, ma in questo momento può diventare vitale per dare sostegno per un’intera società che deve ripartire”.

PRESTO DI MATTINA
Pentecoste e il ‘rigioco della speranza’

Si entra nel Regno di Dio giocando! Penso che si possa intendere anche così l’ammonimento di Gesù quando ci dice che “Se non diventeremo come bambini, non entreremo nel Regno dei Cieli”. In che cosa infatti sono da imitare i bambini? Perché sono più grandi e degni del Regno di Dio? Perché sono inclini alla ricezione, sono disponibili a lasciarsi coinvolgere, a mettersi in gioco, a immedesimarsi, interpretare, trattenere in sé stessi, come una ragnatela, un radar per intercettare il reale che s’imprime in loro dal di fuori. Essi fanno così discernimento, apprendono, rielaborano, come un caleidoscopio, e ricreano la realtà ‘ri-esprimendola’ con il movimento del loro cuore di sistole e diastole, interiorizzazione ed estroversione; vengono impressi e si esprimono a loro volta. In una parola, ‘irradiano perché si sono lasciati irradiare’.
Allo stesso modo, i credenti che si mettono in gioco e si lasciano prendere dal Vangelo della gioia, ‘mollano gli ormeggi’ delle loro resistenze e prendono il largo. L’annuncio del Regno non rimbalza loro addosso come fossero roccia refrattaria, ma essi si fanno porosi e permeabili al Vangelo, come rocce ospitali ad acque sorgive, che li impregna e risgorga in loro rendendoli conca e canale dell’acqua viva dello Spirito, portatori di significati nuovi per gli altri. Occorre allora ri-diventare discepoli tramite la ‘scienza’ dei bambini: ovvero attraverso quel esercizio vitale dello spirito che è il gioco. Non per finta, intendo. Ma con la serietà del bambino che s’immerge nella propria attività, che vi ‘mette tutto se stesso’, senza risparmiarsi, con tutto il proprio corpo, intrecciando nella gestualità pensieri e azioni, facendo riemergere e rigiocando tutto quanto si è impresso in lui della realtà, che egli ha colto e accolto dall’esterno.

È lo stesso processo di assimilazione creativa che genera i loro sogni. Ne nascono fantasie, immagini, invenzioni che i bambini poi rigiocano al di fuori, sparpagliandoli, a testimonianza dello spirito che li abita. Quell’atteggiamento cui penso alludesse Gesù quando disse che “ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Così, in fondo, è stato anche del ‘sogno di Dio‘, rigiocato prima da Gesù con il suo annuncio e la sua vita e poi nuovamente rimesso in gioco dal suo Spirito consolatore a Pentecoste. Tanto da far dire a Paolo, l’apostolo delle genti, impressionato dalla luce del Risorto sulla via di Damasco e poi divenuto “strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli” (Atti 9, 15): “Sia benedetto Dio, il quale ci consola in ogni tribolazione” (2 Cor 1, 3.4).
Tutto ciò mi richiama alla mente il sogno di Dio narrato dal profeta Zaccaria, il quale, nelle sue visioni, si prefigura il ricostituirsi del popolo di Dio disperso nell’esilio babilonese. In queste profezie è come se Dio sedesse, sconsolato, sui gradini del tempio di fronte a una città deserta, svuotata dei suoi abitanti e sprofondata nel silenzio: e lì Egli sogna la sua città com’era prima, brulicante di gente, di anziani e bambini schiamazzanti nelle piazze. Finché, ridestandosi da quest’immagine oramai perduta, promette a se stesso che “non può finire così; non può restare solo un bel ricordo; io sono un Dio fedele, lento all’ira e grande nell’amore; nulla mi può impedire per questo amore di ristabilire le sorti, di benedire ancora il mio popolo con quella benedizione capace di consolare e rinnovare l’alleanza”.
Così dice il Signore delle costellazioni: vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze. Così dice il Signore delle costellazioni: Se questo sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche ai miei occhi?” (Zac 8, 4-6).

Le letture bibliche di questa VI domenica dopo Pasqua, con l’intreccio di verbi che le caratterizza, sono un invito alla ricezione e al rigioco: esse richiamano quella capacità di agire, di fare passi incontro, anche quando il movimento sembra partire da altri. Non si tratta infatti di replicare, ma di ricreare in modo nuovo: perché ‘ricevere‘ e ‘rilanciare‘ vanno all’unisono, tanto nel gioco quanto nella vita. L’intensità contenuta nell’azione ricevuta trova maggior slancio e ardore in chi, facendosi parte attiva della relazione, rilancia quanto ha ricevuto. Prima lettura: a coloro che “erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù, i discepoli imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo” (At 8,17); seconda lettura: “Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16); vangelo: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14, 15). Osservare (ob-servare) significa tenere gli occhi addosso, spalla a spalla, l’uno per l’altro; prendersi cura dell’altro, custodendo il comando dell’amore nelle relazioni e nelle proprie scelte. Aiutati in ciò dal Consolatore, Colui che resta e, continuando la presenza e l’opera di Gesù, insegna a fare memoria in noi della benedizione e della consolazione.

Maestri di questo stile di vita, allenatori di questo gioco in cui siamo chiamati a rilanciare l’amore ricevuto, sono Paolo e Barnaba (i.e. figlio della consolazione): “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2Cor 1,4). Un intreccio di relazioni quanto mai in sintonia con questo tempo dopo la Pasqua: un tempo unico di celebrazione e di vita incentrato sui suoi tre fuochi: il Figlio, il Padre, lo Spirito. Un’unica universale benedizione si sprigiona dalla risurrezione del Cristo dai morti, ascende con Gesù al Padre, per poi discendere con l’invio dello Spirito sui discepoli. Un tutt’uno, dunque, ben presente ai Padri della chiesa, per i quali le celebrazioni dopo la Pasqua non si distinguevano da essa, tanto da considerare i cinquanta giorni che disgiungono la Risurrezione dalla Pentecoste un unico grande giorno pasquale. Di qui il segno liturgico che, anche oggi, ci ricorda questa inscindibile connessione unificante: il Cero Pasquale sempre acceso, nell’unico tempo intervallato da cinquanta notti, che ci separa dall’arrivo dello Spirto.

Così, protesi al compimento della Pasqua che avverrà a Pentecoste, sulle orme del Risorto, proviamo questo esercizio spirituale che è il ‘rigioco della speranza‘. Si è ricevuto speranza: si rilancia sperando per tutti. Benedetti, si risponde benedicendo. Consolati, si reinfonde consolazione. Un po’ come nella storia di Rut (=amica), la straniera che, pur nella sua vedovanza, non rinuncia a farsi carico di Noemi, la suocera, e decide, per il bene ricevuto, di restarle accanto, ritornando con lei a Betlemme, la casa del pane. Noemi (=delizia) cambiato in Mara, (=amareggiata) potrà alla fine dire, non solo di Dio e di Booz, il suo parente che sposerà la nuora, ma anche di Ruth la straniera: “Benedetto colui che non rinuncia alla propria bontà” (Rt 2,20). Del resto, chi è, veramente, colui che è benedetto? Chi non rinuncia a benedire. E chi il consolato? Chi non rinuncia a consolare. Non stupisce allora che il termine ‘bontà’ sia reso in ebraico con hesed, fedeltà, come amore che scaturisce da viscere di compassione materne. Quell’amore Consolatore che a Pentecoste scenderà con l’impetuosità del vento e si dividerà in tante lingue come di fuoco; e posandosi sui discepoli infonderà loro vita, così da generare una ‘moltitudine di consolatori’, composta da tutti coloro che, come Lui, non rinunceranno a ‘stare vicino’ (parakaléin) e a ‘lasciarsi coinvolgere quando chiamati’ (ad-vocati). Tra essi, v’è sicuramente don Alessandro, che prima di ricoverarsi in ospedale scriveva ai suoi parrocchiani di Malborghetto invitandoli a non rinunciare “all’occasione di ritrovare uno sguardo di amore vero, sincero, buono verso il nostro prossimo… ‒ e continuava ‒ il nostro prossimo”.

Pensavo in questi giorni a una riflessione di Don Milani che sento molto mia. Più o meno era così: “Caro Signore, a voler essere sincero, mi rendo conto di averti amato e voluto un bene immenso, ma è molto di più quello che ho avuto per la mia gente e i miei ragazzi. E mi consola la certezza che Tu non dai peso a questi dettagli, che valuti come sciocchezze, perché il tuo sguardo sa dilatarsi e tutto comprendere, tutto discernere, in niente e in nulla si lascia sporcare dai sentimenti feriti, ma sa gioire dove, anche senza saperlo, l’amore lo accoglie, lo comprende, lo serve, lo cura“. E non dimentico, tra la moltitudine di consolatori, neppure il mio parroco don Piero e la sua consolante benedizione. Ricordo che, una mattina in ospedale, avevamo parlato insieme, a tratti. Don Piero faceva fatica a esprimersi, ma io avevo continuato a incalzarlo con alcune domande sul modo in cui comprendere una riforma nella chiesa. E lui, che era di poche parole, mi rispose che il cristianesimo doveva umanizzarsi, volgersi verso l’uomo, perché è attraverso gli uomini che Dio si mostra e vuole essere incontrato da noi. È la strada di un ‘umanesimo essenziale’; poi aggiunse: “La chiesa deve centralizzarsi», centrarsi” ‒ si corresse – e io gli chiesi: “In che senso?”. Rispose: “il centro è Cristo“. Quella volta, la penultima che lo vidi tra noi, gli chiesi di benedirmi. Lo fece con mano tremante e poi, in silenzio, toccò stranamente le cose attorno a lui: il suo braccio, il mio, la coperta, indicò gli oggetti sul comodino, poi sollevò lo sguardo verso di me e, dopo un momento di incomprensione, capii il linguaggio dei suoi occhi, che sembrava mi dicessero: “Ma come, don Andrea, dopo tanto tempo che ci conosciamo non hai ancora capito che già tutto è benedetto? In ogni cosa è racchiusa la benedizione di Dio, perché ogni cosa è suo dono, perché Lui è in tutte le cose”.

La rubrica di don Andrea Zerbini Presto di mattina torna tutti i sabati su Ferraraitalia.
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