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Mese: Maggio 2017

Vita da artisti: “I committenti ci offrono visibilità, ma con quella non paghi le bollette”

di Cristina Boccaccini

Osservandola dall’alto dei maestosi Trepponti, magari vestita di un tramonto, Comacchio appare come una Musa ispiratrice dal fascino senza tempo, pronta a ispirare e a irradiare arte ad ogni sguardo. Ne ha subito decisamente l’influenza l’artista locale Annachiara Felletti, classe 1987, nata nel Rione San Pietro, uno dei quartieri più pittoreschi della cittadina lagunare. La giovane è in partenza per Roma, dove avrà la possibilità di esporre i suoi lavori, in occasione di un’importante convention internazionale.

Annachiara, quando nasce la tua passione per l’arte?
La passione per l’arte, e più in generale per il disegno, ha radici nell’infanzia, quando scarabocchiavo su qualsiasi superficie di casa mi capitasse a tiro, con grande gioia di mia madre (ride, ndr). Ho disegnato molto, anche durante il liceo artistico, per poi smettere improvvisamente per 8 anni, a causa del lutto per la perdita di mio padre. Successivamente, tra mille difficoltà e con notevole pazienza, ho ripreso in mano la matita, disegnando solo in bianco e nero. Poi ho approcciato il colore, e non sono più riuscita a farne a meno.

Cosa utilizzi per disegnare?
Adopero pennarelli, come i Pantoni, gli Ecoline e i Copic, ma anche gli acquarelli, poco gli acrilici, niente colori ad olio, molta foglia oro. Utilizzo anche il computer, avendo frequentato la scuola internazionale Comics di Padova, dove ho appreso tutti i segreti dell’arte su byte.
Tuttavia non saprei in che categoria dell’arte collocarmi, poiché mi piace spaziare liberamente tra i vari stili, evitando di arenarmi in una comfort zone, che è la morte dello stile.

Il confronto con altri artisti è importante al fine di formarsi come artista?
Senza dubbio. La prima esposizione a cui ho partecipato come artista si è tenuta a Comacchio nel 2014, presso l’Antica Pescheria. Si trattava di una mostra collettiva a cui si accedeva tramite un bando di concorso, che è stato vinto appunto da me e altri due artisti, Anna Agati e Alessandro Lonzi. E’ stata un’ottima occasione per confrontarsi anche con quelle che sono le difficoltà organizzative intrinseche a un’esposizione di quel genere. Ricordo con piacere che il riscontro da parte dei visitatori, in particolare dei turisti stranieri, fu inaspettato e caloroso.
Inoltre a marzo di quest’anno sono stata invitata a prendere parte a una convention romana dedicata alle artiste femminili del tatuaggio. In questo contesto ho potuto sia ottenere visibilità, che interagire con altri artisti, ricevendo talvolta complimenti, talvolta critiche. Ed è proprio dall’analisi delle critiche, che un artista deve trarre insegnamento per migliorarsi giorno per giorno, evitando qualsiasi atteggiamento di ottusa superiorità e chiusura mentale . E’ necessario prendere coscienza del talento altrui, come del proprio, e mettersi al lavoro. Fare l’artista, nel mio caso, non significa solo padroneggiare stili e tecniche pittoriche, ispirandosi più o meno alla realtà che ci circonda, ma anche apportare continue modifiche e correzioni alle proprie realtà interiori.

Riproduci per la maggior parte figure femminili dai lineamenti decisi e molto somiglianti ai tuoi. Lo fai volutamente?
Tendo probabilmente a scacciare le mie insicurezze ricercando canoni estetici forti. Inoltre non avendo un modello che posi per me durante la realizzazione del disegno, e dovendo pescare nella mente per tradurlo in immagine, mi ritrovo inconsciamente, a riprodurre i lineamenti che ho più spesso sott’occhio, i miei. Tuttavia il mio scopo non è focalizzarmi su me stessa, quanto piuttosto tradurre su carta le emozioni. Emozioni con cui mi piace anche giocare, raffigurando per esempio le Korai greche, fanciulle senza espressione, che, a ben guardare, rappresentano un po’ il canone estetico attuale. Inoltre amo servirmi della matita per infondere alla carta il dinamismo e la forza della figura umana, argomento che ho avuto modo di approfondire durante un workshop tenuto dal maestro Mattesi.

Tra artisti nascono spesso delle collaborazioni o tendete a lavorare ognuno per conto proprio?
In campo artistico i freelance sono tantissimi, e generalmente c’è chi, per sbarcare il lunario di questi tempi, fa doppi, tripli lavori, come nel mio caso. Succede poi che quando si tratta di vendere il prodotto della propria arte, una parte di loro tende a farsi pagare una miseria. Motivazione che posso capire fino a un certo punto, in quanto, così facendo, a lungo andare tutta la nostra categoria finisce per risentirne.
L’instaurarsi di una collaborazione dipende dal tipo di persona che si ha davanti: vedo committenti privati e aziende arroganti, che dissimulano la loro ipocrisia al grido di “ti pago in visibilità”, moneta ahimè non valida quando si tratta di bollette da pagare. Per mia fortuna ho avuto la possibilità di conoscere anche persone oneste, che hanno visto in me qualcosa e hanno deciso di supportarmi, ma non tutti sono così fortunati, purtroppo.
Inoltre non mancano i conflitti tra artisti che vogliono primeggiare sugli altri, non rendendosi conto che ognuno ha il proprio campo e la propria fetta di clientela. E’ un mondo che fagocita, se non ci si arma di una buona dose di forza d’animo, oltre che di fortuna. Ho visto molti colleghi gettare la spugna perchè inesorabilmente prigionieri delle proprie insicurezze e paure.

A Comacchio c’è spazio per l’arte?
Gli spazi fisici in cui poter esporre qui non mancano; penso a Palazzo Bellini e all’Antica Pescheria, che, come ho già detto, è stata per me un ottimo banco di prova.
Noto con orgoglio che, attualmente, grazie sia alla candidatura di Comacchio come capitale italiana della cultura che all’apertura del Museo del Delta Antico, stiamo richiamando sulla nostra cittadina l’attenzione di numerose istituzioni e visitatori, locali e non.
Mi piacerebbe che in tutti si creasse uno spazio mentale più ampio per l’arte. Non possiamo dimenticare che l’arte è parte integrante della nostra storia, della nostra tradizione e di noi stessi. Non riesco a immaginare un futuro privo di arte, per colpa magari di una mentalità poco interessata, che non è più in grado di meravigliarsi e percepire la bellezza che ancora pulsa attorno a noi dopo secoli. Occorrono occhi aperti, mani che sfoglino libri, bocche che continuino a raccontare la nostra storia, indipendentemente dal numero di ore previste dall’orario scolastico, strumenti per rendere la tutto ciò il più accessibile possibile. E ovviamente, per incentivare la cultura contano anche il fattore finanziario e la collaborazione tra le istituzioni.

Che consigli daresti a un giovane che voglia fare l’artista?
Armarsi di notevole forza di volontà e determinazione; aprire il proprio campo visivo, andando al di là dei propri orizzonti non solo geografici, come ho fatto io, ma anche personali. Infine, oltre allo studio, è importante mettersi a confronto con diverse personalità del mondo artistico, al fine di forgiare la propria.

Hai in mente di tornare a Comacchio?
Al momento sto cercando di formarmi il più possibile, confrontandomi con altri contesti, come può essere quello di una grande città come Roma. Poi chi lo sa, in futuro potrei anche ritornare nella mia Comacchio.

E’ un futuro che prevede ulteriori attività?
Esatto. Esporrò i miei lavori all’ International Tattoo Expo 2017, che si terrà i primi di maggio a Roma. Sto inoltre prendendo contatti con l’estero per eventuali collaborazioni. Per il resto sono costantemente in evoluzione, come artista e come persona.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
“Apprendere per essere”, un percorso virtuoso e trascurato

Con il Memorandum del 2000 l’Europa si proclama Società della Conoscenza e assume l’apprendimento permanente, vale a dire per l’intero arco della vita, come chiave di volta del suo futuro sviluppo centrato sul capitale umano come risorsa di saperi e di competenze.
Da allora l’Europa ha sdoganato gli apprendimenti informali e non formali, attribuendo ad essi la stessa dignità degli apprendimenti formali, ovvero di quelli acquisiti all’interno dei percorsi di istruzione tradizionali. Anzi, l’Europa ha fatto di più, ha chiesto ai paesi membri di istituire entro il 2018 modalità per la certificazione dell’apprendimento non formale e informale che consentano a tutte le persone di ottenere una convalida delle conoscenze, abilità e competenze acquisite in questi contesti.
Nel 2012 la legge Fornero, in materia di riforma del lavoro, con i commi dal 51 al 61 dell’articolo 4 ha recepito le indicazioni europee in merito al riconoscimento ed alla certificazione degli apprendimenti informali e non formali. Ma la strada da percorrere per giungere “alla individuazione ed al riconoscimento del patrimonio culturale e professionale comunque accumulato dai cittadini e dai lavoratori nella loro storia personale e professionale” è ancora molto lunga. Da un lato per l’insieme dei soggetti coinvolti che dovrebbero sedere intorno allo stesso tavolo, dal Ministro dell’istruzione, università e ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, alle parti sociali interessate, dall’altro per via del taglio prevalentemente mercatistico che si è dato alla questione, dovuto essenzialmente alla miopia con cui si è convogliata l’istruzione permanente verso il mercato del lavoro, con le Regioni in prima linea a validare competenze e qualifiche rilasciate dagli operatori della formazione professionale.
Non si sa se per ignoranza o insipienza, ma le nostre classi politiche paiono immemori del rapporto dell’Unesco, noto come rapporto Faure dal titolo significativo “Learning to be”, “Apprendere per essere”, che già nel lontano 1972 assumeva l’istruzione nelle varie fasi della vita come strategica per lo sviluppo sociale e delle persone, come condizione per migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze di ciascuno, uscendo da una visione preminentemente scolastico-accademica dell’apprendimento.
Da allora si è dilatato lo spazio dei saperi, ma non si è dilatata la mente dei nostri governanti né a livello nazionale né ai livelli locali, nessuno riesce a rendersi realmente conto di come il quadro dell’istruzione e degli apprendimenti sia radicalmente mutato, di come sempre più sia cresciuto generosamente il numero delle molte cose che si imparano senza insegnamento piuttosto di quelle che si insegnano senza apprendimento. Forse è il caso davvero di occuparsene e di fare i conti con tutto ciò.
Il nostro paese sconta gravi carenze in materia di istruzione, di competenze e capacità di riflessione che consentano di coltivare idee e progetti e non solo riforme spesso estemporanee.
Conoscenza e formazione hanno bisogno di più spazio e non di essere indirizzate per binari diversi: da un lato l’istruzione formale, dall’altro quella non formale e informale, senza mai che si incontrino e si possano contaminare.
È in questo quadro che i discorsi sui voti, le bocciature, i compiti a scuola e comunque sull’istruzione in generale perdono di ogni significato, si scolorano, finiscono per odorare di stantio e di pigrizia mentale, di ritardo sul nuovo che avanza, che richiederebbe di riconsiderare istruzione e apprendimento come dati costanti della nostra esistenza umana e non più come riti di passaggio o segmenti a sé stanti nella vita delle persone.
Tutta la varietà, diversità e complessità degli apprendimenti oggi dovrebbe condurre a un radicale ripensamento dei tradizionali sistemi formativi, per come li abbiamo concepiti finora, per iniziare a costruire spazi nuovi, più ampi e flessibili per tutti: studenti e adulti. Iniziare a costruire “città che apprendono” è l’idea forte per dare vita a questi spazi, per assumere l’iniziativa verso un impegno continuo per l’apprendimento permanente e per una visione nuova dell’istruzione. Non si tratta di voler descolarizzare la scuola, ma di descolarizzare l’apprendimento e l’idea di apprendimento come continuiamo a pensarlo, liberarlo dalle gabbie tradizionali, da cui del resto è già fuggito per via di internet.
Aprire le mura delle scuole, delle università e dei luoghi di lavoro all’idea che sono le città e le comunità sociali che apprendono. Può sembrare strano detta così, perché solitamente siamo portati a ritenere che solo gli individui apprendono e che questo è generalmente un fatto loro. Tuttavia non possiamo non tenere conto di come i cambiamenti sociali su larga scala sono prodotti dalle persone, in quanto cittadini che insieme possono agire.
L’idea, fatta propria dall’Europa, della società della conoscenza, con l’apprendimento come promozione del cambiamento sociale al suo interno, è il punto di riferimento, la guida per aiutare le persone e le comunità ad orientarsi nella società globale.
Un’idea che non si può esaurire nell’individuazione, validazione e certificazione delle competenze, è invece un’idea che richiede di ripensare come studiamo e come apprendiamo in una società dai saperi diffusi, in una società dove le nuove tecnologie hanno rivoluzionato sia la formazione che l’informazione.
Quello che si sta facendo per dare attuazione ai commi della citata legge Fornero, a proposito del riconoscimento degli apprendimenti informali e non formali delle persone, non solo procede a rilento, ma è estremamente parziale e riduttivo. Così come del resto è inadeguata la riforma intitolata alla “Buona scuola”, non già per le critiche che le vengono rivolte, da questo o quel settore del mondo della scuola, ma perché ad essere vecchia è la cultura della formazione e dell’apprendimento che la sottende. Sostanzialmente, sia la riforma degli apprendimenti della Fornero sia la riforma della scuola, sono il prodotto di legislatori impreparati rispetto ai temi e alle sfide della società della conoscenza, delle città che apprendono, sull’importanza della gestione della conoscenza e su come oggi si coniugano diritto all’istruzione e diritto alla formazione.
Temi che altrove in Europa, come in altri paesi del mondo sviluppato, costituiscono invece il cuore di ogni riflessione sulla necessità di riformare gli attuali sistemi di formazione e di istruzione, assumendo come stella polare l’istruzione permanente, l’apprendimento per l’intero arco della vita di ciascuno, senza i quali non è possibile disegnare alcun sistema formativo né per il tempo in cui viviamo né tanto meno per il tempo in cui vivranno le nuove generazioni.

1° maggio Festa del lavoro

Da Organizzatori

Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina dei Diritti Umani, in occasione del Primo Maggio, vuole esprimere il proprio pensiero sul significato attuale della Festa del Lavoro prendendo spunto dalla riflessione che Ettore Ciccotti , storico, docente e politico italiano , nell’ormai lontano 1903, ebbe modo di esternare e partecipare agli italiani.
“Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l’interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de’ sensi; e un’accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive dell’avvenire, naturalmente è portata a quell’esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa”.
Era il 1903, ma qual è oggi il significato di tale ricorrenza? Oggi, ancora, la gente può gioire delle prospettive dell’avvenire poiché “naturalmente portata a quell’esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa?”
Pur nelle difficoltà che scaturiscono dal difficile momento in cui viviamo, noi crediamo di sì. Vogliamo credere di sì. Vogliamo credere che la festa del Primo Maggio sia ancora un momento di riflessione importante sul lavoro, oggi costituzionalmente riconosciuto come base fondante della democrazia oltre che un forte segno di speranza nel futuro, in un futuro laborioso, in un futuro in cui le giovani generazioni possano riscoprire l’orgoglio di essere cittadini italiani ed europei.
Indubitabilmente questa speranza nasce e si consolida nel lavoro costante che migliaia di docenti, ogni giorno, svolgono nelle loro classi, pazientemente e silenziosamente, con i loro alunni vedendoli crescere, anno dopo anno, e contribuendo in maniera veramente importante alla scelta della loro futura attività che darà impulso al progresso materiale e spirituale della società.
Presupposto imprescindibile di tale scelta è, infatti, il patrimonio culturale che i giovani acquisiscono a scuola, patrimonio oggi più ricco e completo anche grazie alla decisione strategica e fondamentale, di consentire loro, tramite l’esperienza dell’alternanza scuola lavoro, le prime timide, ma entusiastiche esperienze in campo lavorativo, nel rispetto del riconoscimento del diritto al lavoro e nella promozione delle condizioni che lo rendano effettivo.
Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina dei Diritti Umani, i cui membri sono impegnati quotidianamente nella fondamentale opera di diffusione della cultura della legalità, vuole pertanto prendere parte a questa Festa auspicando che il lavoro registri sempre meno precarietà; che vi sia un costante aumento dell’occupazione, in particolare giovanile; che ogni cittadino possa trovare nel lavoro una soddisfazione umana, personale e familiare, che gli consenta di contribuire in maniera proficua alla crescita e al progresso materiale della società; che, infine, tutte le forze di Governo, sappiano cogliere ed incontrare le esigenze vitali dei lavoratori proseguendo, sempre e con energia, a profondere tutti gli sforzi per promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro.

Attività produttive. Distretti industriali ed export, Costi: “In Emilia-Romagna crescono più della media in Italia. Rafforzare la nascita di reti e network fra le eccellenze del territorio”

Da Giunta Regionale – Agenzia di Informazione e Comunicazione

L’intervento dell’assessore regionale sui dati elaborati dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo

Bologna. “Il quadro che emerge dall’ultimo aggiornamento sui dati dei distretti industriali dell’Emilia-Romagna conferma la performance del sistema produttivo regionale, con i distretti protagonisti della crescita. Una tendenza positiva che ci deve far proseguire nello sforzo per un deciso rafforzamento di reti e network tra le eccellenze del territorio per valorizzare al massimo le nostre potenzialità”.
Così l’assessore regionale alle Attività produttive Palma Costi commentando i risultati sull’export che emergono dal monitor dei distretti industriali dell’Emilia-Romagna, curato dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. I dati evidenziano il progresso (+1,3% nel trimestre, +2,1% nel 2016) dei distretti industriali dell’Emilia-Romagna che crescono più della media italiana, grazie soprattutto all’export e alla spinta delle imprese medio-grandi.

“La Regione – aggiunge Costi – ha fortemente investito in politiche di ricerca, innovazione, internazionalizzazione, attrattività e formazione. Un ecosistema forte, aperto, sostenibile e globalizzato che crea prodotti richiesti ed esportati in tutto il mondo e dove al contempo tutto territorio è capace di attrarre nuove produzioni e investimenti. Ora lo sforzo deve proseguire per creare valore aggiunto e innovazione nella definizione di nuove politiche regionali su misura basate sulle reali esigenze delle aziende e delle filiere per rispondere a tutto il sistema territoriale”./AA

Master of Food sulla Birra

Da Organizzatori

La condotta “Slow Food Ferrara terre e sabbie” organizza il Master of Food sulla Birra.
Slow Food è una grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali.

Il Master of Food sulla Birra di Ferrara si compone di quattro serate per avvicinarsi all’affascinante mondo della birra, una delle bevande alcoliche più antiche che l’uomo conosca, che affonda le radici nella nascita stessa delle grandi civiltà. Conosceremo le materie prime, le tecniche produttive, la storia, gli stili e la geografia, senza trascurare le modalità di conservazione, di servizio, la scelta dei bicchieri e gli abbinamenti. Durante il Master of Food assaggeremo assieme una selezione di birre, italiane e non, che ci aiuteranno ad intuire le storie di uomini, di territori, di culture e tradizioni che sono immerse in ogni bicchiere.

Il Master of Food sulla Birra di Ferrara si svolgerà con incontri settimanali dalle 20 alle 22, da giovedì 18 maggio fino a venerdì 16 giugno 2017, presso la Caffetteria Spisani, in via G. Byron 10 a Ferrara.
In aula ci sarà Francesco Immediata, Formatore Slow Food del Master of Food di Birra e coordinatore Guida Birre d’Italia per la regione Emilia Romagna.

Prima lezione (giovedì 18/05):
Le caratteristiche e la geografia delle materie prime, con manipolazione e assaggio di acque, malti e luppoli. Introduzione alla degustazione.

Seconda lezione (venerdì 26/05):
La produzione del mosto, la fermentazione, le tipologie di confezionamento, la filtrazione, la pastorizzazione, la rifermentazione in bottiglia.

Terza lezione (venerdì 09/06):
La cultura e la geografia della birra; le grandi famiglie birrarie: Lager (Germania, Repubblica Ceca, …) e Ale (Belgio, Regno Unito, …); l’analisi del legame tra birra e territorio con un approfondimento del contesto italiano.

Quarta lezione (venerdì 16/06):
La fermentazione spontanea, l’ancestrale e meraviglioso mondo dei Lambic. Indicazioni sulla conservazione delle birre, sul loro servizio (temperatura, bicchieri e tecnica) e sui loro abbinamenti. Le birre più alcoliche, da invecchiamento, o che fanno stile a sé.

La quota di partecipazione è di 95€ (85€ per chi ha meno di 30 anni), i posti disponibili sono 25, riservati ai soci Slow Food (tessera 25€; 10€ per chi ha meno di 30 anni).

Asparago verde di Altedo Igp: annata al top per qualità e consumi

Da Organizzatori

Con almeno quindici giorni di anticipo rispetto al consueto calendario di commercializzazione l’Asparago Verde di Altedo IGP è nel pieno di una campagna che si sta prospettando vivace e di grande soddisfazione.

“La qualità del prodotto – dichiara Gianni Cesari Presidente del Consorzio – è straordinaria quest’anno grazie alle particolari condizioni climatiche del periodo di maturazione dei turioni. La richiesta di Asparago di Altedo IGP – conferma il Presidente Cesari – è aumentata enormemente negli ultimi due anni grazie alla richiesta crescente della GDO italiana e del dettaglio specializzato. La superficie certificata ad asparago è aumentata del 20% negli ultimi anni e si prospetta in ulteriore crescita”.

Anche per il 2017 l’Asparago verde Di Altedo IGP sarà commercializzato anche con il marchioFior Fiore Coop dedicato a tutti i prodotti di origine certificata e garantita dall’Unione Europea.

Per toccare con mano la qualità dell’Asparago IGP ci sono due appuntamenti tradizionali dedicati ai consumatori e realizzati nei territori d’origine del prodotto.

Si tratta della Sagra dell’Asparago di Mesola (FE) dal 22 Aprile al 1° Maggio 2017 (programma
http://www.eventiesagre.it/Eventi_Fiere/670_Fiera+Dell+asparago.html)e la Sagra di Altedo (BO) che si terrà dal 18 al 28 Maggio nella cittadina che dà il nome al pregiato turione.

In concomitanza con la Sagra il 19 Maggio il Consorzio Organizzerà un Convegno dedicato alle DOP e IGP alla presenza delle Autorità del Ministero delle Politiche Agricole e della Regione Emilia Romagna. Un Convegno per mettere in evidenza anche le difficoltà burocratiche che gravano sui produttori impegnati nello sviluppo di questa importante coltura di pregio.

Ong e business dell’immigrazione, Save The Children respinge le accuse: “Nulla a che fare con gli scafisti”

Non passa giorno senza che i telegiornali nazionali non ci aggiornino del numero di migranti morti in mare nel disperato tentativo di raggiungere le coste italiane a bordo di imbarcazioni di fortuna. Il Mediterraneo è ormai un immenso cimitero dove nel 2016 hanno perso la vita oltre 5mila persone: uomini, donne e bambini in fuga da guerre e povertà e salpati dalle coste libiche dove gli abusi perpetrati ai loro danni sono una costante fuori controllo. Il 2017 si profila anche peggiore dell’anno precedente se si considera che sono già più di mille le persone scomparse in mare dall’inizio dell’anno.
A prestare soccorso in mare sono impegnati in tanti: Guardia Costiera, spesso anche semplici marinai e soprattutto le Ong. Ed è su di loro che, di recente, si è abbattuta una bufera di polemiche e accuse scatenate dalle dichiarazioni del vicepresidente della Camera dei deputati Luigi Di Maio. Prendendo spunto dal rapporto 2017 dell’agenzia europea Frontex, e da una inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica di Catania, Di Maio ha sostenuto che “le Ong sono accusate di un fatto gravissimo, sia dai rapporti Frontex che dalla magistratura: di essere in combutta con i trafficanti di uomini, con gli scafisti, e addirittura, in un caso e in un rapporto, di aver trasportato criminali – e aggiunge – vogliamo vederci chiaro, sapere chi finanzia il business dell’immigrazione“.

La reazione indignata delle Ong che portano soccorso ai migranti non si è fatta attendere e Save The Children, Medici senza Frontiere (che “valuterà in quali sedi intervenire a tutela della propria azione, immagine e credibilità”) e Intersos hanno stigmatizzato accuse ritenute infamanti per tutti gli operatori che quotidianamente lavorano per salvare vite umane.

“Noi siamo dove dobbiamo essere” dichiara deciso Michele Prosperi, portavoce per l’Italia di Save The Children la più importante organizzazione internazionale indipendente impegnata a salvare i bambini in pericolo e a promuovere i loro diritti. Lo raggiungiamo al telefono per far chiarezza nella nebulosa di accuse e contro accuse che si sono succedute in questi giorni sull’operato delle Ong avanzate, oltre che da Di Maio, dal pm Carmelo Zuccaro titolare dell’inchiesta presso la Procura di Catania. “Le operazioni di soccorso in mare non nascono dal nulla ma servono per rispondere a una emergenza umanitaria contingente: quella delle centinaia di persone che da anni, ogni giorno, sbarcano sulle coste italiane. Cerchiamo di fare tutto ciò che è necessario, agendo in totale trasparenza, nell’utilizzo dei fondi e nella rendicontazione di ciò che facciamo, per sopperire a ciò che la politica non è ancora riuscita a disciplinare. Non sono mai stati creati dei corridoi umanitari per permettere alle persone di poter fuggire ‘in sicurezza’ dalle situazioni di guerra e violenza che si lasciano alle spalle. Ma queste persone non hanno alternative: i fattori di emergenza, guerra, carestia, violenza non lasciano loro dubbi sulla necessità di partire. Partono anche se pienamente consapevoli dei rischi e delle tante persone morte prima di loro tentando la fuga. Ma lo fanno lo stesso spinti dalla disperazione”.

E continua: “Dobbiamo aiutare le persone a capire che ci stiamo lasciando ingabbiare dalla convinzione che o aiutiamo queste persone nei loro paesi d’origine oppure li accogliamo nei nostri. Ma non ci deve essere questa alternativa: le strade da percorrere sono entrambe. Lo sforzo per fermare la guerra in Siria o per agire sulle emergenze alimentari in Africa deve procedere di pari passo con le operazioni di ricerca e soccorso in mare. Raccogliamo migliaia di testimonianze delle persone che riescono ad attraversare il mare: ci sono ragazze eritree che prima di partire si fanno fare delle punture di ormoni per entrare in menopausa, sicure che durante il viaggio fino alla Libia verranno ripetutamente violentate. Ho conosciuto personalmente minori non accompagnati che si sono imbarcati nonostante fossero a conoscenza che fratelli o parenti, partiti prima di loro, erano annegati in mare. Ai trafficanti non importa nulla se queste persone sbarcheranno vive o moriranno in mare. Ciò che interessa sono i soldi che se ne possono ricavare. In Grecia abbiamo soccorso naufraghi che erano stati dotati dagli scafisti di salvagenti di polistirolo”.

Sulle accuse mosse all’operato delle organizzazioni non governative, Prosperi ribadisce senza mezzi termini che “è gravissimo sollevare delle accuse alle Ong che sopperiscono alla carenza oggettiva di interventi politici davanti ad una emergenza umanitaria certa. Gettare ombre e discredito non aiuta a fare chiarezza ma mette a repentaglio la prosecuzione delle operazioni di ricerca e soccorso in mare. Sottolineo ancora una volta che questi programmi di aiuti sono decisi e attuati in coordinamento con la Guardia Costiera e che la nostra nave ‘Vos Hestia’ opera in acque internazionali e non è mai entrata in acque libiche. Noi non siamo mai venuti a contatto con i trafficanti. Noi operiamo sull’aspetto umanitario del soccorso in mare: accogliere chi sbarca, curare i feriti, dare soccorso alle donne, bambini, minori non accompagnati. Ci sono poi le autorità competenti che procedono all’identificazione di chi sbarca”. Ci lasciamo al telefono con una riflessione finale: “Chi sostiene che il fattore di attrazione del soccorso in mare andrebbe eliminato, dichiara implicitamente che è pronto a correre il rischio di vedere centinaia di persone morte per provare questa sua teoria. In Grecia, nonostante in blocchi posti, sono arrivate, l’anno scorso, 4.823 persone. E continueranno ad arrivare perché fuggono da situazioni talmente disperate che accettano il rischio di morire”.

(Immagine di copertina, fonte: Save The Children Italia)

Affinità divertente fra il compagno Tognazzi e noi

Oggi, 1° maggio, Festa dei Lavoratori, vorrei raccontare la storia di un lavoratore davvero speciale.
Ricordo ancora come se fosse ieri il giorno in cui mia madre – grandissima fan del grandissimo Tognazzi – si lasciò sfuggire le parole “Il Petomane”.
Mi spiegò il significato della parola “petomane” e mi spiegò che era anche il titolo di un film del 1983 con Ugo Tognazzi, un film che non ebbe troppa fortuna ma che da quel giorno – saranno passati vent’anni – ho cercato ossessivamente perché in fondo sono sempre stato un ragazzo semplice.
Non riesco proprio a non ridere davanti a un peto lanciato così, con naturalezza, simpatia o gusto per la performance.
Questa cosa a volte ha creato degli equivoci sulla mia persona e a volte mi ha creato anche dei problemi.
Ma il più delle volte mi ha portato solo la gioia più autentica, una gioia che mi trasforma letteralmente in un bambino.
Devo confessare che nei miei momenti un po’ così, spesso, vado su YouTube e mi riguardo la fenomenale “scorreggia di ippopotamo”.
È una delle cose più divertenti ed emozionanti – ma al tempo stesso tragiche – della storia delle immagini.
Divertente per ovvi motivi, se siete come me.
Emozionanti anche.
E tragiche perché il povero ippopotamo, purtroppo, è rinchiuso in uno zoo con la gente che gli ride dietro ma quella è solo la punta dell’iceberg.
La cosa davvero tragica è che quel ridere non è proprio un bel ridere.
Non è quel ridere che scatta – sempre se siete come me – quando un vostro amico si mette di schiena sopra al tavolo per incendiare un peto provocando una vampata degna del Gibby dei tempi d’oro.
È un ridere orrendo, il ridere di chi tratta quel povero ippopotamo non come un meraviglioso attore del meraviglioso palcoscenico della natura bensì come un mero fenomeno da baraccone.
Quel povero ippopotamo – animale davvero maestoso – non merita quel trattamento, lui fa solo la sua cosa e per sua sfortuna la fa in uno zoo davanti a della gente orribile che va allo zoo con lo stesso interesse con cui va boh, all’Ipercoop o da McDonald’s o boh, con lo stesso piglio che han certi riccastri che vanno alla Scala quando si apre la stagione della Scala.
Insomma, ci siamo capiti.
E chiedo scusa se sto divagando quindi faccio subito un po’ di chiarezza: il lavoratore speciale in questo caso non è Tognazzi.
Il lavoratore speciale è Joseph Pujol, detto appunto “Le Pétomane”.
Quando mia madre mi raccontò di quel film – che tra l’altro a lei non era neanche piaciuto troppo – non mi spiegò che era ispirato a una storia vera.
Così, anni dopo – indagando su quel film che mia madre bollò come una vera e propria scoreggia nello spazio – finii per scoprire la vera storia di Joseph Pujol, il petomane del Moulin Rouge.
Provai subito un’enorme ammirazione per quell’uomo.
Joseph Pujol nacque a Marsiglia il 1° giugno del 1857.
Pare che a tre anni circa, al mare, si sia reso conto – trattenendo il respiro in acqua – di essere in possesso della più portentosa muscolatura posteriore della storia dell’uomo.
Praticamente: riusciva a bere col culo, scusate il francesismo.
Consultò anche dei dottori, sembra.
I dottori dissero che non era un problema e lui non ci pensò più.
Però anni dopo, durante il servizio militare, raccontò ai suoi commilitoni quella cosa e, da quel momento, riscoprì quel suo talento così peculiare.
Nel frattempo, dai 13 anni di età circa, era diventato il garzone di un panettiere prima e un panettiere in proprio poi.
Ma dopo aver riscoperto la propria vocazione si dedicò a un allenamento matto e disperatissimo.
Finì quindi per ideare uno spettacolo dimostrativo da proporre a qualche teatro locale.
Nel frattempo si era sposato e il suo forno andava benissimo ma la fama del suo talento si era sparsa così tanto che un impresario gli consigliò di proporre il proprio demo a un Moulin Rouge fresco di apertura.
Così, nel 1892, il buon Pujol partì per Parigi, pronto per la sua audizione.
E l’audizione andò decisamente meglio di quella famosa audizione dei Beatles alla Decca, quell’audizione da cui derivò la proverbiale espressione “non aver capito una Decca”.
Perché il sig. Charles Zidler – gran capo del Moulin Rouge – nonostante un iniziale scetticismo di fronte a quell’omone dallo sguardo triste, capì in fretta di trovarsi davanti un talento unico.
E il resto è storia.
Alcune testimonianze dell’epoca descrivono un pubblico isterico a livelli da Beatlemania: donne, che svengono e vengono portate fuori, uomini che se la fanno addosso e via così.
Io non faccio fatica a crederci.
Joseph Pujol andò avanti come uno schiacciasassi fino al 1914.
Successo e soldi, simpatie pressoché unanimi.
Fece anche in tempo a mettersi in proprio, aprendo un suo teatro, il Théâtre Pompadour.
Però, più o meno allo scoppio della Grande Guerra fu costretto a chiuderlo.
Dice suo figlio:
“Dopo l’armistizio del ‘18, mio padre era così amareggiato dalle avversità e dai guai che non ebbe cuore di riprendere la carriera artistica.”
E fu così che Joseph Pujol tornò a fare il fornaio.
Successivamente aprì anche una fabbrica di biscotti e morì quasi novantenne nel 1945.
Quindi che altro dire?
Buon 1° maggio a tutti i lavoratori con un augurio speciale a tutti i disoccupati, inoccupati o diosantissimo ci chiamano adesso.
Possiate Voi – anzi, possiamo Noi – realizzarci veramente nel mondo del lavoro.
Ma soprattutto: possiamo noi (e possiate Voi) far respirare al meglio la nostra (e Vostra) essenza più intima, un po’ come capitò al grande Joseph Pujol.

PS:
Su YouTube si trova un filmino che mostra Joseph Pujol in azione girato da nientepop*dimeno che: Thomas Alva Edison.

Fast (Butthole Surfers, 1988):

Una crociera in laguna

di Federica Mammina

Milioni di turisti ogni anno per l’unicità di una città senza strade né macchine, ma con calli, barche e le tipiche gondole. Ed arte e storia praticamente ovunque.
Così apprezzata nel mondo che pare ne esistano, di vario genere e forma, fino a 97 copie, dal Canada al Brasile, dagli Stati Uniti alla più vicina Londra. Emblema di queste copie il Venetian di Las Vegas, un hotel con più di 4000 stanze e 32 ristoranti aperti anche di notte, con tanto di gondoliere (americano ben inteso) che ti accoglie nella hall cantando canzoni in veneziano. Più che copie, follie.
Ma se dovessimo, non paghi del primato di cui godiamo, batterci per ottenere il primato anche nella follia, beh vinceremmo anche lì senza fatica.
Non sei soddisfatto di un giro in gondola nell’hotel? Non sei soddisfatto di un giro in barca a Londra? Vuoi un’esperienza fuori dal comune che renda il tuo viaggio indimenticabile? Vieni da noi: potrai entrare nella più spettacolare delle città direttamente con la nave da crociera. Nessuno al mondo potrà garantirti un’esperienza anche solo lontanamente paragonabile. Potrai attraversare comodamente il bacino di San Marco e il canale della Giudecca e risparmiarti la salita al Campanile di San Marco, in fin dei conti un po’ più alto della nave su cui ti trovi.
Forse, preservare una città tanto unica quanto delicata (è pur sempre esposta alla forza erosiva dell’acqua) val bene una passeggiata a piedi senza ingresso trionfale.
Ma non preoccuparti: tu goditi lo spettacolo che a sanare i disastri ci pensiamo noi.

Una vita soltanto!

di Federica Mammina

Non posso fare a meno di notare come sempre più giovani ricorrano davanti alle prime difficoltà della vita alla soluzione radicale di eliminarla quella vita: brutti voti a scuola, normali incomprensioni tra genitori e figli adolescenti, gravidanze inaspettate, difficoltà a relazionarsi con i coetanei, problemi cioè da sempre esistiti, affrontabili con l’aiuto altrui, e che invece con aberrante leggerezza si trasformano in gesti estremi verso sé o gli altri. Il problema non lo si affronta, lo si elimina.
E continuo a vedere in questo declino una preoccupante proiezione della loro vita virtuale: una vita artefatta, dove invece che imparare ad accettare sé stessi si può essere altro da sé, ci si può costruire una vita perfetta…illusoria. Che batterà sempre quella reale uno a zero.
Nascono con una sola vita, crescendo gliene si affianca una seconda, fino a quando realizzano che non possono gestire una doppia vita; meglio tornare ad una sola, peccato però che spesso scelgano quella sbagliata.

“Ricordati che l’uomo non vive altra vita che quella che vive in questo momento, né perde altra vita che quella che perde adesso.”
Marco Aurelio

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…