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Sono arrivata con un pochino di ansia, a questo concerto che torna sui passi del debutto musicale di Vasco Brondi e che ha aperto la rassegna di “Ferrara sotto le stelle”, lunedì 12 e martedì 13 giugno 2023. Come se stessi andando a un appuntamento. È l’appuntamento con qualcuno che ha segnato un pezzettino della mia come di altre vite, che ha fatto da colonna sonora a un tratto di storia, a qualche passaggio determinante, che ha tracciato una linea di collegamento tra la precarietà timida e incerta di quegli anni e un approdo al presente, dove persino l’inattesa fallibilità e la mancanza prendono un peso e un colore diversi. Un po’ come in “Chakra“, dove “qualcuno gli ha detto che gli ha detto” che adesso senza di lui sì che riesce a stare.

Pubblico (foto Luca Pasqualini)

Il cortile del Castello, a nove anni di distanza, mi sembra più piccolo. Non mi è chiaro se ci sia stato un restringimento dell’area per il concerto o se è successo come coi posti dove si è stati da bambini e che dopo, da adulti, ci si accorge che non erano poi mica così grandi. Mi guardo intorno e non vedo più il pubblico di allora, mio figlio liceale è volato via da qui, in nord-Europa, e anche l’altra gente è diversa.

Brondi in scena (foto Luca Pasqualini)

Non so se siano quegli stessi universitari ventenni che, da quel luglio 2014 ad oggi, sono cresciuti e si sono accasati; o se sono altri, dei loro parenti maggiori che più tardi hanno scoperto, conosciuto e ascoltato questa musica, questi testi.

Pubblico al concerto (foto GioM)

Fatto sta che ho l’impressione che ci siano meno persone, ma più grandi, fisicamente più voluminose, che occupano di più lo stesso spazio, illuminato dalle loro sigarette elettroniche e dai loro telefonini registra-storie meno disperate, con meno acne e più corrugata tranquillità.

Riprese dei fan (foto Luca Pasqualini)

Nell’aria ci sono ancora disfattismo e pessimismo, le metafore sferzanti di Vasco Brondi e quei suoni duri, cupi, punk. Ma, in molti tratti, gli stessi brani prendono una connotazione diversa, meno amara e più soddisfatta, è un amaro fondente che si lecca un po’ i baffi e lascia più sazi che amareggiati. La sfumatura è diversa, è la tonalità di uno che ha trovato la sua strada in un sentiero aspro, che si è rivelato però rinfrescante e così pieno di ossigeno. Una pista dove riescono a trovare una collocazione armonica anche i vecchi struggimenti, perché chi li canta ha le scarpe giuste ai piedi e con queste da trekking non scivola più.

Vasco Brondi con gli scarponcini al concerto di Ferrara (foto Luca Pasqualini)

Il concerto ripropone quella visione impervia e controcorrente, che ora Vasco inserisce in uno spazio che sa accoglierla. Una posizione da dove si può scherzare su quello che non c’era o che c’è ma è poco perfetto, come il ballare scoordinato, condiviso e naïf – e per questo bellissimo e condivisibilissimo – che rievoca un po’ quello che innesca Nanni Moretti alla fine del suo film. Il ballo che chiude con poetica, semplice e aggraziata solarità “Il sol dell’avvenire” e che piano piano anche sui ciottoli del Castello Estense contagia tutti e diventa un’armonica danza collettiva, che riavvolge tanti fili e recupera i volti e i personaggi di un’intera biografia, da Giorgio Canali in super forma al suo fianco, fino a quel Manu che Vasco cita spesso.

Giorgio Canali (foto Luca Pasqualini)

Un’occasione per affermare – per Vasco Brondi come per Nanni Moretti – quanto valgano e quanto siano condivisibili i propri gusti, che non sono né trendy né luccicanti o per tutti; roba di nicchia, fatta di materiali fragili e preziosi (perché fragili) e che però riescono ad arrivare al cuore. Forse perché i cuori – dentro – sono tutti fragili. Niente a che fare con un Marco-Mengoni-prendi-tutto, salvo che non sia quello – struggente da graffiarti il cuore – che con un inedito di Sergio Endrigo chiude la versione cinematografica di “Colibrì”.

Vasco a Ferrara (foto Luca Pasqualini)

Per andare al concerto, mi rendo conto che ai piedi ho messo anch’io le calze e le scarpe tecniche comprate per la montagna, come se avessi dovuto affrontare un cammino o una traversata. È la traversata di questi anni, da quando tutto o tanto era ancora da costruire, fino adesso che magari le cose si infrangono pure e si perdono lo stesso, ma il nucleo, dentro, ha un’altra solidità, con un tetto sulla testa e una seggiola da cui osservare il mondo e condividerlo.

Cortile del castello (foto Luca Pasqualini)

È la differenza tra ciò che era e ciò che è. E musica, suoni e luogo riattivano la memoria di questa consapevolezza. Riesco proprio a sentirli, la sensazione e il sapore di quella vulnerabilità. E mi accorgo che, come nelle vecchie e grezze canzoni delle Luci della centrale elettrica, la fragilità era comunque emozionante, come quando sei in cima al dirupo e tutto è vertiginoso e possibile: sia superare il burrone sia infrangersi di sotto.

Vasco col pubblico (© Luca Pasqualini)

Mi sembra più grande, maturo e posato questo pubblico intorno a me, arrivato a qualche approdo, o anche solo a qualche impiego stabilizzante. Vasco Brondi e gli organizzatori dell’evento ne devono essere consapevoli, perché tra i gadget del merchandising è stato inserito addirittura un minuscolo body da bebè, dedicato forse a quelle “ragazze che – in “Chitarra nera” – vogliono figli/che vogliono figlie/che ci vorrebbero normali”.

Merchandising (foto GioM)

Il senso del messaggio complessivo è in quella canzone che mi aveva tanto toccato ed emozionato nell’album “Costellazioni”, e che viene offerta con i bis di quelle “Ragazze che stanno bene“, perché hanno capito che “Forse si trattava di accettare la vita come una festa/ Come ha visto in certi posti dell’Africa./ Forse si tratta di affrontare quello che verrà/Come una bellissima odissea di cui nessuno si ricorderà. Forse si trattava di dimenticare tutto come in un dopoguerra/E di mettersi a ballare fuori dai bar/Come ha visto in certi posti della Ex-Jugoslavia. /Forse si tratta di fabbricare quello che verrà/ Con materiali fragili e preziosi/ Senza sapere come si fa”.

Giorgio Canali (foto LP)
Sul palco con Brondi (foto LP)

La rassegna “Ferrara sotto le stelle” è realizzata grazie ad Arci Ferrara e Ales&Co, Comune di Ferrara e Regione Emilia-Romagna. Tutto il programma sul sito web www.ferrarasottolestelle.it/lineup-2023.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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