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Vite di carta. Abitare al “Piano nobile” nel romanzo di Simonetta Agnello Hornby.

Ho sentito gli echi dal Gattopardo, meglio dirla subito questa bella sensazione. Piano nobile, pubblicato presso Feltrinelli nel 2020 da Simonetta Agnello Hornby, è un affresco sulla società palermitana del pieno Novecento, tra il 1942 e il 1955. È la fotografia di gruppo di una famiglia nobile tra le più in vista della città, quella del barone Sorci.

Come non pensare alla figura possente del Principe di Salina, il Gattopardo patriarca come Enrico Sorci di una numerosa famiglia, di un entourage di nobili e di dipendenti, e al pari di lui padrone di molti feudi e di palazzi. Non si può non riassaporarne la sicilianità sanguigna e disillusa, vissuta come un marchio fissato nelle carni e immutabile al passare della Storia.

La Storia in Piano nobile, però, ci trasporta più avanti di alcuni decenni. I Savoia che nel primo romanzo stavano annettendosi la Sicilia, in questo secondo sono i regnanti ormai consolidati dell’isola e sono poco amati. I Sorci nei loro interventi li considerano degli occupanti stranieri al pari degli altri popoli invasori che hanno segnato la storia siciliana.

Si parla dell’indipendentismo come della vera vocazione per i siciliani, come la realizzazione di una loro costante antropologica che Peppe Vallo, il più fortunato dei figli bastardi nati da Enrico Sorci, chiama “individualismo” e alla pari “autolesionismo“.

Gli interventi dei Sorci nel libro ne fanno un romanzo corale: in assenza di una voce narrante esterna si alternano le storie (con la minuscola) e i punti di vista dei protagonisti: del barone Enrico, che apre con una panoramica sulla famiglia dal suo letto di morte,  di Peppe Vallo che osserva dall’esterno il palazzo dove non è mai stato ammesso e la camera del padre che non lo ha riconosciuto.

Poi intervengono altri componenti dall’interno della famiglia: dei quattro figli maschi parlano il primogenito Cola e l’ultimo nato, Andrea, il più problematico, tormentato da un disturbo della personalità che nel libro resta senza una diagnosi e che oggi chiameremmo probabilmente autismo. Parla la nuora più giovane di Enrico, Laura, più vittima che moglie di Andrea e amante amata del cognato Cola.

Parlano alcuni dei nipoti: Rico, figlio di Cola, destinato a diventare anche lui, un giorno, il capofamiglia, e infine i due cugini inseparabili. Sono la sensibile Mariolina, figlia di Filippo, e Carlino, che è nato dall’amore fra Cola e Laura e rappresenta in seno alla famiglia ciò che più diverge dalle tradizioni ataviche, in quanto omosessuale e al contempo spirito libero.

Esiste in realtà un narratore che sa tutto e tutto concerta: quello che cede la parola di volta in volta al narratore o alla narratrice di turno e si rivela nei titoli dei capitoli che suonano così: “Dice Enrico Sorci”, “Dice Peppe Vallo”, e via dicendo.

Uno dei punti di forza della narrazione di Simonetta Agnello Hornby sta nel cedere al lettore il compito di aggregare ciò che raccontano le voci narranti e al tempo stesso nel facilitargli l’operazione con una scrittura limpida e che trascina.

Come in una sorta di delta narrativo, i rami del racconto finiscono per confluire nell’alveo grande di un solo ampio affresco sui nobili siciliani, sulla Sicilia e sull’Italia della metà del Novecento.

Insieme a Il Gattopardo, Piano nobile non ha tuttavia la vocazione del romanzo storico. Per tutto il tempo e lo spazio che ho dedicato alla lettura ho avvertito come prevalente il diario intimo di ciascun narratore, la sua psicologia che è consapevolezza prima di tutto degli stereotipi famigliari.

Quello che resta dai condizionamenti della casta e della casa è lo spazio lasciato alla costruzione autentica di sé, spazio esiguo per qualcuno, specie se donna. Lo dimostra Laura, sposata al violento Andrea per volontà del barone Enrico e caduta in disgrazia presso gli altri Sorci quando si scopre che aspetta un figlio del fratello maggiore del marito. Il disdoro generale non abbatte, tuttavia, in lei la spinta a mantenersi salda e a gioire insieme a Cola della personalità libera del loro figlio Carlino.

Dal tiro incrociato dei racconti prendono forma anche le personalità degli altri parenti, caratteri complessi di cui come lettori apprendiamo i tratti più forti e determinanti. In quanto confermati da più di una voce narrante, assumono per noi carattere di oggettività e ci rendono vive e riconoscibili queste altre figure, anche se non dicono.

Rileggo la quarta di copertina per confrontarla con ciò che ho inteso del libro e, per finire, trovo una eco gattopardesca che era rimasta impigliata nel fondo delle mie reazioni di lettura. Cito il passo:” È come se il piano nobile di palazzo Sorci fosse il centro del mondo, del mondo che tramonta – fra i bombardamenti alleati e la fine del fascismo – e del mondo che sta arrivando, segnato da speranze, ma anche da una diversa e più aggressiva criminalità”.

Nihil sub sole novi, mi sfugge di pensare.

Nota bibliografica:

  • Simonetta Agnello Hornby, Piano nobile, Feltrinelli, 2020
  • Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, 1963

Cover: Villa Palagonia a Bagheria (PA)

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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