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Le parole sono solo parole.
Questo  è sicuramente il loro limite ma è anche la loro forza.
Se è vero, secondo il noto proverbio, che terminato il ‘dire’ c’è un ancora mare da attraversare, è ancor più vero che è con le parole che comunichiamo il pensiero, e quindi è sempre attraverso le parole che possiamo modificarlo.

Dice un proverbio indiano: L’uomo si mette in ordine i capelli ogni giorno, perché non lo fa anche con i pensieri?
Questa mattina mi sono già pettinato, adesso tocca ai pensieri.

Uno dei doni dell’età che avanza è l’aumentata possibilità di poter fare attenzione. Ciò è dovuto al fatto che di norma i traguardi consueti della vita ordinaria sono stati raggiunti. Si procede più lentamente anche letteralmente a causa dell’usura fisiologica e quindi si ha la possibilità di osservare il tutto da un punto di vista particolare.
Quello che quindi è possibile osservare come dato comune della nostra condizione attuale è la mancanza nella vita quotidiana della felicità. Questo fatto, se da sempre ha interpellato filosofi, scrittori, poeti e uomini qualunque, oggi acquisisce una valenza particolare in quanto oltre al successo, al danaro e alla fama, l’essere felici è il vero brand della nostra società post moderna.
La Vita che rimane – avendo espulso tutto ciò che richiama sofferenza, dolore e la morte – non può che essere la vita felice, come sembrano mostrare i visi raggianti di uomini e donne della pubblicità alla tv e sui giornali.

La società del consumo compulsivo è una società che  fonda il suo essere su dei paradossi, uno di questi, forse il fondamentale, è “Sii felice!”. La società dell’iperconsumo ha riempito di oggetti la vita dei suoi figli sin dalla più tenera età, trasformando in oggetto anche la vita dei soggetti. Tutto ha un prezzo, come un  novello re Mida il Mercato trasforma in oro tutto ciò che tocca. I consumatori sono soddisfatti in tutti i loro desideri, ma in cambio il consumatore non deve criticare, contestare, deve essere cosciente di vivere nel migliore dei mondi possibile. In poche parole il consumatore DEVE essere felice! Al contrario, invece, il limite che naturalmente caratterizza la natura umana, la sofferenza, malattia, morte, ma anche povertà e diversità, devono avere poca visibilità, meglio se relegate in spazi ben delimitati e circoscritti.

Come nel film di Peter Weir, The Truman Show, la nostra società post capitalistica  non rappresenta la Vita ma l’illusione della vita!

Ed ecco che quel Sii felice da augurio diventa comando imperativo, denunciando così la  sua natura di paradosso: perché essere spontaneamente felici ubbidendo ad un ordine è impossibile. O si agisce spontaneamente, quindi di propria iniziativa, oppure si esegue un ordine, e in questo caso non c’è nessuna spontaneità. Si rivela allora la vera natura di quel comando, cioè quella di  mantenere il soggetto in una situazione di dipendenza, depressiva, caratterizzata dal senso di colpa, insomma in una situazione di eterna mancanza, di sete e fame mai saziabili.

“Ma come? La Società ti offre tutto e tu non sei felice? In altre parti del mondo non hanno la tua stessa fortuna!”.
Così il soggetto si trova costretto a cercare la colpa della propria insoddisfazione in se stesso, attenuandola col consumo ulteriore di altri beni che ovviamente non spengono il desiderio, poiché il desiderio dell’uomo non è desiderio di oggetti ma di relazioni autentiche e nessun oggetto potrà mai sostituire un rapporto.
la Felicità non può essere comprata al mercato, non può essere imposta ai figli, non può essere programmata dal sistema sociale, come aveva ben compreso il movimento studentesco del ’77 nel prendere, tra i suoi slogan anti sistema, i versi della canzone di musica leggera sul gatto Maramao, inspiegabilmente morto, nonostante avesse a disposizione da mangiare, da bere e una casa dove stare.

Bisogna quindi cercare in un’altra direzione.
La direttrice, già tracciata da tempo in verità , è quella del trovare o dare un Senso agli eventi che ci colpiscono. Quello che invece si può oggi sostenere è che anche nell’impossibilità di  sapere se esista o meno un senso per tutti,  quel che conta in chiave esistenziale è giungere ad attribuirne uno che amplifichi la nostra vita.

Il valore della vita dell’uomo, di una vita al cui centro non ci sia solo il bisogno ma anche il desiderio: questo impedisce di diventare burattini manovrati dall’esterno e apre alla ricerca ad una felicità non narcisistica, ma intesa come dare libertà a sé e agli altri.

Non esistono ovviamente manuali di istruzioni in merito, ma è possibile fare alcune considerazioni suggerite dagli studi della pragmatica della comunicazione e dall’esperienza delle buone pratiche della comunicazione non violenta.

Cominciando con un principio il più generale possibile, possiamo delimitare il nostro reale raggio di azione accettando che l’universo con le sue leggi, non si piega ai nostri desideri, ma fa quello che deve.
Quindi quello che riusciamo a compiere è confinato nello spazio concesso da quello che possiamo, e quello che possiamo è condizionato dallo statuto delle conoscenze attualmente riconosciuto.
Il resto lo dobbiamo sopportare!

Da ciò discende che dovremmo distinguere tra ciò che da noi è controllabile, da ciò che invece non lo è. L’impegno  quindi dovrebbe concentrarsi sul primo aspetto, lasciando il secondo alla ricerca di una nostra risposta sul Senso.

Come terzo elemento possiamo verificare poi che nessun fattore esterno in sé è positivo o negativo, ma è interpretabile secondo le nostre convinzioni  e i nostri giudizi in merito.
E su questo terzo elemento la possibilità di azione soggettiva è massima. Ad esempio siamo abituati a leggere le offese che ci vengono portate come elementi oggettivamente negativi, giudicando chi le ha proferite come una persona di nessun valore e a cui dover ribattere per le rime.
E’ possibile invece domandarsi a quale bisogno inespresso risponda, per quella persona, l’avermi apostrofato in quel modo. Pensiamo per esempio ad un figlio molto arrabbiato nei nostri confronti. Solo se ci poniamo nella dimensione dell’ascolto del suo bisogno profondo, mascherato da quelle parole così offensive , riusciremo a comprendere e così organizzare una strategia di risposta che sia in grado di salvare la relazione.

E’ possibile quindi proseguire nel cammino appena sommariamente tracciato, o costruirne altri,comunque cercando di mettere assieme altre tappe di riflessione all’interno di un percorso personale che ci porti a dialogare responsabilmente con quello che chiamiamo la nostra Vita.
In questo cammino non siamo mai soli, siamo accompagnati infatti da tutte le persone che per noi sono o sono state significative e che hanno orientato le nostre scelte in una direzione o in un’altra.
E’ all’interno di queste relazioni  che è possibile arrivare all’ultima fermata, quella in cui potremmo  riconoscere negli affetti lasciate da quelle relazioni il vero volto della Felicità.

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Roberto Paltrinieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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