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di Linda Ceola

Creare spazi all’interno dei quali il pubblico sia poi in grado di fare esperienza dei lavori compiuti. E’ questo l’elemento fondamentale e il tratto distintivo dell’opera di Davide Quayola. Una camera nera dotata di un grande schermo è ciò che ha predisposto nel contesto di Art City Bologna, Cubo – Centro Unipol Bologna. Entrarvi è come irrompere in un incantesimo. L’artista elabora una videoinstallazione traendo ispirazione dalla campagna della Provenza sulla quale si posarono gli occhi di Van Gogh negli ultimi anni della sua vita. In ‘Pleasant Places’ i paesaggi sono spaventosamente nitidi, alberi e cespugli ostentano colori luminosi e brillanti e ondeggiano guidati dal vento. Improvvisamente questo dolce equilibrio sembra sciogliersi per ricercarne un altro. I rami degli alberi come pennelli iniziano a dissolvere se stessi e riconducono l’osservatore al gesto pittorico come genesi artistica. L’immagine muta ancora e un fluido monocromo grigio, composto da migliaia di pixel diventa simbolo di possibilità infinite se ogni singolo punto della superficie può assumere illimitate conformazioni circa la luce, lo spazio, il tempo. Anche l’elemento sonoro originale viene campionato e trasformato in codice rendendone impossibile il riconoscimento. Sul monocromo l’algoritmo della pennellata condotta dal vento, continua a muoversi fino a liberare nuovamente l’immagine celata dai suoi stessi codici.
Tre alberi, appartenenti alla serie ‘PP 3D-scan’, accompagnano la videoinstallazione. L’artista in questo caso parte da scansioni ad altissima risoluzione dei medesimi paesaggi provenzali del video, che permettono di raggiungere formati molto grandi, e attraverso un processo di rendering scarnifica questi elementi naturali focalizzandosi su ciò che si cela dietro la loro natura, ottenendo delle radiografie sintetiche.

Davide Quayola
Davide Quayola

“A 19 anni mi sono allontanato dalla mia città natale per poterla vedere meglio”. Davide Quayola esordisce così in occasione di Art City, weekend d’arte organizzato da Bologna Fiere in collaborazione con il Comune. Nato a Roma nel 1982, è cresciuto nella capitale faticando però ad apprezzarla veramente. Fin da subito resta affascinato dal computer che il fratello, architetto, aveva acquistato durante il percorso universitario nonché dagli enormi testi d’architettura pregni di imponenti edifici. Al termine degli studi secondari si allontana dalla città eterna per dirigersi a Londra e sviluppare la sua passione per una tecnologia creativa, intesa non solo come mezzo di concretizzazione del prodotto artistico finale, bensì anche come strumento di progettazione approfondita dello stesso. Il rientro nell’Urbe dopo il distacco riavvicina Davide alle meraviglie architettoniche di Roma e, dall’esplorazione di alcune chiese barocche della città, nasce ‘Strata’: “Ho cominciato a studiare queste pietre attraverso delle serie fotografiche di soffitti, precedute da studi matematico-estetici, usando prospettive particolari – afferma Quayola – nell’intento di costruire delle immagini in formato assolutamente digitale, generate da centinaia di fotografie, assemblate in una sorta di grande carta topografica”. Come un geologo, Quayola osserva e analizza strati su strati di pietra dando vita a installazioni audiovisive che diventano puri oggetti di contemplazione privi di qualsiasi narrativa.
L’artista ama mettere in relazione i grandi capolavori dell’antichità con la tecnologia trasfigurandoli digitalmente. Il progetto ‘Strata’ si sviluppa nell’indagine delle opere del grande Pieter Paul Rubens. Partendo da scansioni focalizzate su alcuni dettagli di pale d’altare dell’artista fiammingo, Quayola crea dei brevi video in cui l’immagine viene alterata, animata e resa tridimensionale. “Non parto mai con l’idea di creare dei video o delle stampe – afferma Quayola – concepisco innanzitutto un sistema per operare sul soggetto e analizzarlo. Sta qui la mia ricerca”.

Anche ‘I Prigioni’ di Michelangelo Buonarroti diventano presto oggetto di studio dell’artista in quanto contengono in sé un concetto estremamente affascinante ossia quello di non-finito. Si tratta infatti di un gruppo di sei statue iniziate, ma mai completate: figure incatenate che sembrano non riuscire a liberarsi dal blocco di marmo che ha dato loro origine. Davide Quayola è attratto profondamente dalle infinite sculture contenute all’interno della pesante scatola magica, capace di dare vita a forme di qualsivoglia genere. “La cosa più interessante per me nello sviluppo di questi sistemi digitali sta proprio nelle possibilità d’indagine che si celano negli oggetti che scelgo di analizzare riuscendo quindi ad ottenere innumerevoli sculture potenzialmente realizzabili”.

La ricerca di Davide Quayola si compie proprio nel dialogo tra passato e presente attraverso lo sviluppo di complessi sistemi di computer vision tramite i quali il giovane artista avvia una personalissima reiterpretazione dei grandi capolavori della storia che diventano così oggetto di una trasmutazione digitale magica.
“L’arte non riproduce ciò che è visibile – diceva Paul Klee – ma rende visibile ciò che non sempre lo è”. Questo è ciò che Davide Quayola riesce a fare con ammirevole maestria.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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