di Alice Pelucchi
“La mia formazione teatrale è partita dal cosiddetto ‘teatro sociale’ degli anni ’60 che mirava a sperimentare forme di comunicazione all’interno di tutte le strutture di disagio fisico e psichico e di conseguenza anche nelle carceri”. A parlare è Michalis Traitsis, regista e pedagogo dell’associazione culturale Balamòs e membro fondatore del Coordinamento dei teatri in carcere. Le esperienze pionieristiche di quegli anni, in particolare del Living Theatre e del “Teatro dell’Oppresso”, confluirono poi nel teatro-forum. Dopo un primo spettacolo di questo nuovo genere, con Roberto Mazzini della cooperativa sociale Giolli di Parma e altre esperienze in istituti di pena, vincendo un bando della Regione Veneto, Michalis Traitsis poi ha avviato nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia il progetto “Passi Sospesi” (attualmente a sua volta sospeso per mancanza di fondi…) che ha portato, nel 2007, alla genesi di “Vite Parallele “, un altro spettacolo di teatro-forum, sempre in collaborazione con Mazzini. Nonostante gli attori e la maggioranza degli ‘spett- attori’ (come si definisce il pubblico di questo genere di teatro) fossero detenuti, ho avuto la possibilità di assistere e mi ricordo come all’inizio, durante la presentazione del funzionamento dello spettacolo, la cosa mi parve piuttosto macchinosa. Ma nel momento in cui fu chiesto se qualcuno dei presenti volesse intervenire e sostituirsi al personaggio che si trovava in una condizione di oppressione e che stava però sbagliando approccio, si alzò subito dal pubblico qualcuno che, con grande motivazione, si inserì nella scena. La situazione rappresentava un rapporto familiare, nel quale l’ex detenuto doveva provare a reintegrarsi, scontrandosi con la mancanza di fiducia da parte del fratello. L’immedesimazione e la commozione di chi intervenne risultarono così reali e palpabili da contagiare rapidamente molti dei presenti, ormai proiettati in situazioni analoghe, che certamente avrebbero dovuto imparare a fronteggiare una volta scontata la pena.
A mio avviso, si tratta di un esempio lampante e concreto di che cosa significhi l’utilizzo di queste tecniche per il reinserimento dei detenuti. Ma non solo, spiega Traitsis: “Sono fortemente convinto dell’utilità e della necessità di un teatro per i reclusi, ma penso anche che sia il teatro ad avere bisogno del carcere.” In che modo? Nel progetto “Passi Sospesi”, grazie anche alla collaborazione con il Teatro stabile del Veneto, sono stati coinvolti registi, attori, musicisti, scenografi, come Fatih Akin, Antonio Albanese, Cèsar Brie, Alessandro Gassman, Fabio Mangolini, Mira Nair, Giuliano Scabia, Elena Souchilina, Stefano Randisi ed Enzo Vetrano. Dal 2008 i video-documentari di Marco Valentini vengono poi proiettati nell’ambito della Biennale del Cinema di Venezia.
Ma oltre all’importante aspetto culturale, il percorso scelto da Traitsis ha risvolti pedagogici sublimati da questa modalità concretamente biunivoca: dal 2006, gli studenti del Centro teatrale universitario di Ferrara partecipano ad incontri di laboratorio misto con i detenuti e all’allestimento di studi teatrali creati in comune. Alcune classi degli istituti superiori di Venezia hanno inoltre avuto la possibilità di conoscere tale realtà non solo tramite i video, ma anche assistendo agli spettacoli all’interno della casa di reclusione femminile della giudecca. E’ in questa struttura detentiva che sono stati raggiunti i migliori risultati. Le motivazioni riguardano soprattutto la gestione dell’ istituto: “E’ considerato all’avanguardia in Italia – spiega Traitsis – intanto per i numerosi laboratori, come quello di sartoria e di serigrafia, ma anche per il tipo di detenzione che è attenuata e quindi, durante il giorno, le donne non sono rinchiuse, ma possono usufruire dei vari spazi comuni”.
Un’eccezione quindi. Le attività di reinserimento sono possibili a prescindere dall’annosa questione del sovraffollamento e dell’inadeguatezza degli spazi che riguardano la stragrande maggioranza degli altri istituti di pena? Come possono essere praticate quando la condizione detentiva è più restrittiva, sempre ammesso che sia necessaria? Sono questioni dibattute da tempo, ma spesso in modo sterile e solo il confronto con chi se ne occupa nel concreto può fornire indicazioni produttive. A otto anni dalla fondazione ad opera di Michalis Traitsis, Balamòs lavora in maniera stabile e continuativa, anche con mancanza totale di finanziamenti. “Chiaramente la crisi ricade in primis su questi progetti, ma si tratta anche di crisi culturale”, sostiene Traitsis. “ Il vero problema è come possano essere programmate e progettate tali attività, ma oggi questo è in Italia un argomento tabù. La convinzione è che sia più questione di spazio mentale che di spazio fisico.”
Frattanto il 18 settembre scorso è stato stipulato un protocollo d’intesa tra il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, l’Istituto superiore di studi penitenziari e il Coordinamento. “Si tratta di un documento ufficiale per la tutela e la promozione dell’attività teatrale all’interno del carcere – riconosce Traitsis – e questo è significativo, ma resta da vedere come verrà applicato”. Riserve più che mai giustificate da parte di chi di queste problematiche si occupa con passione fin dagli inizi del suo percorso.
Redazione di Periscopio
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