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23 Agosto 2017

Il silenzio dei colpevoli

Tempo di lettura: 3 minuti


Un urlo nella notte, un grido di aiuto ripetuto più volte. L’angosciante lamento di una ragazza in balía del suo compagno. Scena da film in diretta da un campeggio salentino.
Sono le 4 di notte. Tutto intorno solo il suono dei pini mossi dal vento. Vengo svegliato da un rumore, un’auto sgomma entrando nel parcheggio, si ferma. Inizia a sentirsi uno sbattere di portiere e un vociare: si capisce chiaramente che è un litigio di coppia. Riconosco anche le voci dei due, arrivati nel pomeriggio, ho dato loro una mano per il gonfiaggio del materassino. Una coppia felice, normale. Ora è lì, a pochi metri dalla mia tenda a dirsene di tutti i colori. Il silenzio del luogo e il sonno ormai perso, mi costringono ad ascoltare tutta la discussione. Accuse, lacrime, solite cose di una serata con troppo alcool e poca lucidità.
A un tratto però sento distintamente la ragazza pronunciare la fatidica parola: “Aiuto!”

Un grido sommesso, quasi sussurrato, ma netto, distinto, inequivocabile. Vengo assalito dai dubbi: uscire? Farsi i fatti propri? Sembrava essere la coppia più felice del mondo. Ma il dubbio ormai si è insinuato nella mia mente, così decido di andare. Aperta la tenda mi rendo conto, non senza stupore, di essere l’unico. Forse gli altri non hanno sentito. Arrivato alla macchina lei piange, lui mi accoglie con un sorriso e mille scuse. Chiedo se è tutto ok, naturalmente la risposta è sì. Faccio finta di crederci e mi allontano. Mi ripeto che è solo un battibecco e che non devo farmi prendere troppo.

Di nuovo in tenda, di nuovo ad ascoltare , di nuovo i toni si accendono. Passano due minuti e di nuovo quella richiesta: “Aiuto!” Questa volta ripetuta più volte. Ora il grido è chiaro, il tono alto, strillato. Non esco con calma, ma corro fuori. Quel tono fa capire senza ombra di dubbio che c’è qualcosa che non va. Arrivo di nuovo all’auto senza neppure guardarmi intorno. Lui le tiene una mano sulla bocca per non farla urlare. Mi guarda, sorride di nuovo, ma questa volta non ricambio. Riesco ad allontanarlo e farlo scendere. Mi ritrovo il proprietario del camping e un altro ragazzo, un siculo, alla mie spalle, e un trio di ragazze a guardare la scena. Riusciamo a portarlo via e la ragazza va al sicuro in tenda. Poi carabinieri e fine della storia, che avrebbe potuto essere diversa. Si perché solo in tre siamo intervenuti: dalle altre tende e roulotte nulla, un silenzio assordante, rotto solo da alcune turiste francesi che chiedono “silenzio!”. Persino il camper posteggiato vicino alla macchina della coppia non emana segno di vita. Nulla.

A pochi giorni dalla ‘condanna dei social’ per il ragazzo morto in Spagna in discoteca nell’indifferenza generale, mi sono ritrovato a viverli questa indifferenza, questo silenzio dei colpevoli, questo girarsi dall’altra parte anche se si sente un grido di aiuto.
Ritornato in tenda il mio pensiero va a questo assordante silenzio. La ragazza, questa volta, mi dico, è stata fortunata, ma non mi sento un eroe. Anzi, sento di aver fatto qualcosa di estremamente normale. “Eroico” trovo invece il non fare nulla, perché ci vuole tanto, troppo coraggio nel voltarsi dall’altra parte, nel chiedere “silenzio” perché quel grido di “aiuto” non concilia il sonno.

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Jonatas Di Sabato

Giornalista, Anarchico, Essere Umano

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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