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Si sa, viviamo nella società dei servizi. Se per “servizi” si intendono quelli che per Giorgio Gaber sono sempre in fondo a destra, allora ci siamo intesi.
Succede che la stazione di casa per il collegamento wi-fi funzioni male. Non c’è problema, la sostituiscono. Il nuovo apparecchio ti arriverà a casa con uno spedizioniere. Lasci un numero di telefono per essere contattato e perciò presente al momento della consegna.
Un bel giorno arrivi a casa e trovi un tagliando per avvisarti che il furgone è passato alle undici del mattino.
Chiami la ditta per rendere noto che non avendo fatto sei al superenalotto, di solito a quell’ora sei al lavoro. Fai il numero telefonico scritto sul biglietto trovato in buchetta e inizi ad ascoltare tutte e quattro le stagioni di Vivaldi. La seconda volta della “Primavera”, qualcuno dall’altra parte si degna di rispondere.
Quasi ti dispiace, perché arrivato al bis del capolavoro del Prete Rosso ti sembra addirittura di avere capito se l’esecuzione sia dei Solisti veneti o sotto la bacchetta di Trevor Pinnock. Pazienza.
Parli con un operatore che ha la stessa spinta di chi gli hanno appena rigato la macchina. Dopo un primo labirinto senza uscita di domande e risposte, ti rendi conto che non ne puoi uscire vivo e allora chiedi se puoi avere un recapito della sede ferrarese della ditta di spedizioni.
Indovinate? “Spiacente, ma non c’è”. Vai su internet e, invece, c’è. Chiami, ma non risponde nessuno.
Richiami allora il numero sul tagliando e questa volta ti capita uno che parla tamil. Ti fai coraggio e moduli le vocali in modo che, dio solo sa come, alla fine ti accordi per una seconda consegna il pomeriggio seguente. Rimani in casa ad aspettare e il risultato è il deserto dei tartari.
Il mattino dopo un altro passaggio sempre alle undici, con tanto di tagliando.
E’ l’unica precisione svizzera di tutta la faccenda.
A questo punto alzi bandiera bianca e vai personalmente alla sede locale all’indirizzo che trovi in rete. Una prima volta ci va, mettiamo, tua moglie, che però torna a casa a mani vuote. “Non possiamo consegnarle il pacco se non ha la delega; non sappiamo se il coniuge è consenziente e poi c’è la privacy …”.
Per una frazione di secondo la mente corre al sinodo dei vescovi voluto da papa Bergoglio sulla famiglia e pensi che la comunione ai divorziati non è l’unico problema da risolvere.
Torni, questa volta con il nucleo familiare al completo, e finalmente vieni a casa con la nuova station.
Il passo successivo è aprire il libretto con le indicazioni per l’istallazione guidata. Talmente facile che “basta seguire – c’è scritto – le istruzioni a video”.
Niente affatto, perché all’ultimo passaggio sei mandato ad una pagina web della compagnia telefonica che, sempre a video, viene data come inesistente.
Chiami l’operatore, stavolta, telefonico e ti inoltri in una selva di numeri da crisi d’identità. Puoi fare sapere di avere bisogno di assistenza anche inviando un sms, ma evidentemente l’help si perde in un infinito leopardiano.
Stremato, provi a chattare. Ti chiedono password e username, che non ricordi perché la prima volta ti registrasti in una precedente era geologica. Per recuperarle devi indicare il nome del tuo migliore amico d’infanzia …
Viene da chiedersi come mai questo paese sia ridotto in queste condizioni, oppure sorge il dubbio se queste non siano che terribili e funeste anticipazioni di un mondo nel quale l’uomo sta abdicando alla tecnica, illudendosi di fare un passo avanti nella storia dell’evoluzione.
Una risposta, molto parziale e per nulla consolante, la scrive Umberto Eco su L’Espresso (15 gennaio 2015): “Brecht ci ricordava (nel suo Galileo) che sfortunato è quel paese che ha bisogno di eroi, perché difetta di persone normali che fanno quanto si erano impegnati a fare, in modo onesto. In cui, nessuno sapendo più quale sia il suo dovere, cerca disperatamente un capopopolo, a cui conferire carisma, e che gli ordini ciò che deve fare. Il che, se ben ricordo, era un’idea espressa da Hitler in Mein Kampf”.
Persone normali che facciano quotidianamente del proprio meglio per risolvere i problemi anziché complicarli. Se questo non accade, a nulla vale rivolgersi all’uomo dei miracoli e, prima o poi, si è condannati a piangere di nuovo per gli errori già commessi in passato.

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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