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Non c’è un sapere per i bambini e uno per i grandi. Una delle tante stupidità su cui costruiamo e abbiamo costruito ragionamenti inutili. C’è il sapere punto e basta. Che si può apprendere a tutte le età, se incontri uno che te lo sappia insegnare. E questa è la difficile, stupenda professione del maestro.
È sempre la grande idea del tutto a tutti, che non ha smesso d’essere valida da quando, circa quattro secoli fa, il ceco Comenio lanciò al mondo la sua sfida pedagogica. Non sono trascorsi cinquant’anni da che Bruner ne ha fatto la base del suo ‘apprendere ad apprendere’, convinto che sono sufficienti una palla ed un muro per spiegare anche a un bambino di tre anni il concetto di rifrazione.
Certo bisogna saperlo fare. Per questo si diviene ‘maestro’ agli altri, a prescindere che si insegni alla scuola dell’infanzia o all’università, nella bottega o per la strada.

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La copertina del libro

È questo che dimostra Franco Lorenzoni, rendendoci partecipi di un anno di scuola con i suoi ragazzi, nel libro che Sellerio ha pubblicato a ottobre, “I bambini pensano grande”. Ci narra che è possibile un’altra scuola, una scuola di pensieri, di matematica e di filosofia profonda. Una scuola come tutte le scuole dovrebbero essere, dalla parte di chi cresce e crescendo stupisce e si interroga, vive l’originale avventura di chi si incammina verso la conoscenza.
Il succedersi dei giorni nella classe di Lorenzoni ha l’anima intelligente, capace di ‘interlegere’, delle bambine e dei bambini per i quali nulla è troppo grande per il solo semplice fatto che loro sarebbero troppo piccoli, così si ritrovano a parlare dei numeri pazzi, per poi giungere, con rigore e metodo scientifico, alla scoperta dei numeri non razionali.
Ognuno non è solo a guardarsi crescere come spettatore di sé, ma nella relazione con le compagne e i compagni apprende l’arte del dialogo, l’ascolto, il saper interrogarsi, fino a penetrare la profondità delle cose. Si dialoga con Anassimandro, Talete, Pitagora, Socrate, insieme ci si avventura ad esplorare la caverna del mito di Platone, ad apprendere dalla tragedia greca e dalla tragedia della vita, come può essere l’improvvisa morte di un compagno.
Una scuola che entra nella scuola, in questo caso quella di Atene, dipinta da Raffaello, dove gli alunni, sebbene appena decenni, non provano timidezze nei confronti dei personaggi lì rappresentati. Dialogano con loro, come si dialoga con il passato e i suoi grandi, con loro si immedesimano fino a decidere di metterli in scena, fino a ridisegnare la pittura di Raffaello perché “Il disegno è te che non sei te”, come alcuni di loro hanno a scrivere.
La cifra didattica è condurre i ragazzi all’origine dei saperi, la scuola si offre a loro come terreno della conoscenza in divenire, luogo di conquiste e di scoperte, istante dopo istante, giorno dopo giorno.
È la scuola dove alunne e alunni pensano grande, la scuola di Franco Lorenzoni, maestro a Giove di Terni. Qui Giove non è solo il nome del piccolo comune umbro, è davvero una profezia, una vocazione per il mito, l’arte, la scienza, la cultura classica, il teatro, il corpo. Per esplorare le strade dell’umanità e del sapere che sono giunte fino a noi, a partire da quel mondo che un giorno di oltre 2000 anni fa si è provato a disegnare un certo Eratostene di Cirene.
È la scuola dove nel dialogo tra maestro e alunni si susseguono le ‘sorprese illuminanti’, le ‘sorprese produttive’ che spianano la strada all’accesso in territori sempre nuovi, ad accogliere le sfide lanciate di volta in volta dal sapere, per conoscere sempre di più. Un sapere mai già confezionato, un sapere di fronte al quale sei chiamato a ripercorrere con le tue compagne e con i tuoi compagni la stessa fatica con la quale l’umanità prima di te è giunta a conquistarlo.
La grandezza della scuola che il maestro Franco Lorenzoni sa mettere in pratica non dovrebbe stupirci per la sua singolarità, ma per la nostra ottusità, per i nostri ostinati ritardi, per i nostri continui mancati appuntamenti, per i debiti che le nostre banalità culturali, le nostre pigrizie istituzionali, le nostre colpe politiche hanno accumulato nei confronti dell’infanzia e dei giovani in generale.
Lorenzoni non viene dal nulla, Lorenzoni non è un artista dell’istruzione, Lorenzoni è un professionista colto e preparato come dovrebbero essere tutti coloro che praticano la professione docente, è un professionista che nella pratica didattica quotidiana ha saputo condurre a sintesi decenni di ricerche e di riflessioni pedagogiche. E come Lorenzoni riconosce, l’origine è la stessa che ha guidato Lodi e Ciari e altri come loro per tanti anni, ripercorrendo l’insegnamento del maestro di Bar sur Loup, Célestine Freinet, agli inizi del secolo scorso.
Per troppo tempo questo nostro Paese, che ancora resta “Il paese sbagliato” denunciato da Mario Lodi, si è messo a posto la coscienza celebrando i suoi vari maestri eccellenti, per poi continuare tranquillamente tutto come prima, nella più totale indifferenza e se mai lasciandosi trasportare dal reflusso delle grandi questioni pedagogiche come grembiule sì, grembiule no!
Ma bisogna avere dell’infanzia non l’idea di un tempo senza la parola, da trascorrere nei giochi perché inadatto alle cose dei grandi. Questa è l’infanzia che noi continuiamo a raccontarci, ma non è quella vera delle bambine e dei bambini, come tali li definiamo con quella orrenda, fuorviante etimologia da ‘bambo’, cosa sciocca.
Gli alunni di Giove con il loro insegnante praticano la potenza della loro età, la peculiarità, la ricchezza inaspettata d’essere bambini, come dovrebbe essere ogni giorno nella scuola di tutti.
I loro pochi anni non sono qualcosa che li sminuisce, al contrario consentono loro di “pensare grande”, meglio dei grandi stessi, perché per loro è più semplice, perché crescere incammina sulla strada del difficile, dell’arduo, della scoperta e dello stupore. Non saranno artisti, ma degli artisti hanno i doni, l’occhio, la parola acuta nella sua spontaneità, l’originalità e la pregnanza dello sguardo, l’ostinata curiosità.
Ma è necessario che ogni bambina e bambino incontri sulla sua strada adulti davvero convinti che le età dell’infanzia valgono in sé e per sé, che sono un’età a tutto tondo, non un’età incompiuta, non qualcosa che ‘manca di’.
Semmai è proprio il contrario, sono gli adulti ad aver qualcosa di meno dei bambini, perché hanno perso della crescita la freschezza e la capacità semplice, immediata di interrogare e dialogare in confidenza con la vita.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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