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A Gaia Tortora il Premio Estense 2023, edizione dei record.  Federico Rampini si aggiudica il prestigioso riconoscimento Gianni Granzotto. Sgarbi: “il premio più democratico d’Italia”.

Sembra esserci davvero tutta la città in un Teatro Comunale elegante e scintillante, insieme al gotha del giornalismo italiano e all’imprenditoria di una regione innovatrice e produttiva, che dalle grandi difficolta esce sempre a testa alta. Proprio come “Testa alta, e avanti”, di Gaia Tortora, che vince la 59° l’edizione del Premio Estense, l’edizione dei record. Record per il numero dei libri candidati, ben 69, per le presenze, anche di tanti giovani, per la sua giuria popolare che dibatte, sullo stesso piano, con una giuria tecnica prestigiosa, ribaltando, a volte, ogni pronostico. Il che lo rende “il premio più democratico in Italia”, sottolinea Vittorio Sgarbi nel suo intervento in chiusura delle votazioni.

I membri della giuria tecnica sono: Alberto Faustini, Michele Brambilla, Luigi Contu, Tiziana Ferrario, Paolo Garimberti, Jas Gawronski, Giordano Bruno Guerri, Agnese Pini, Venanzio Postiglione, Alessandra Sardoni e Luciano Tancredi.

A far parte della giuria popolare, invece, vari rappresentanti della società civile cittadina. Come lo scorso anno, abbiamo il privilegio di osservare da dentro la vivace discussione che porta alla scelta del libro vincitore.

Della quartina finalista, vi abbiamo parlato, ma ve la ricordiamo: “Traditori. Come fango e depistaggio hanno segnato la storia italiana” di Paolo Borrometi (Solferino), “L’anno del fascismo. 1922. Cronache della marcia su Roma” di Ezio Mauro (Feltrinelli), “Mura. La scrittrice che sfidò Mussolini” di Marcello Sorgi (Marsilio Specchi) e “Testa alta, e avanti” Gaia Tortora (Mondadori).

Il filo conduttore di questa scelta, è la memoria, ricorda Alberto Faustini, presidente della giuria tecnica, al momento del dibattito per le votazioni. La vicenda di Enzo Tortora, la donna dimenticata di Marcello Sorgi, il racconto dell’anno fondamentale della storia italiana (il 1922) di Ezio Mauro e dei traditori che ci sono stati, e ancora ci sono, in Italia, fin dallo sbarco alleato del 1943, di Paolo Borrometi.

Il dibattito far le due giurie sarà intenso e acceso. Ricco, appassionato, coinvolgente, emozionante. Un testa a testa fino alle fine, il vincitore decretato dopo cinque votazioni, quasi un ex aequo (peraltro invocato da due finalisti che, per la prima volta nella storia del premio, hanno “fatto irruzione” nella sala dei votanti dalla vicina sala al ridotto del Teatro da cui osservavano la discussione).

Emerge subito l’importanza di come la storia vada fermata sulle e nelle pagine, indagata, capita, sviscerata, compresa e raccontata. “Sono ancora troppi i misteri italiani, spesso coperti dal segreto di stato. Il cittadino ha diritto di sapere”, sottolinea Tiziana Ferrario. Temi attuali, come il “cancel culture” ante litteram della scrittrice Mura, avvolta da una misoginia che riporta alla triste cronaca dei nostri giorni.

La storia della bolognese Maria Assunta Volpi Nannipieri, in arte Mura, raccontata da Marcello Sorgi, che riuscì vendere, in un paese illetterato, fino a un milione di copie scrivendo romanzi di letteratura rosa con un pizzico di erotismo, tollerato dal regime, in quanto era stata anche a lungo la fidanzata del giornalista Alessandro Chiavolini, racconta tutto il cortocircuito della censura fascista, la sua contraddittorietà. Il suo romanzo, “Sambadù amore negro”, del 1934, la mise al bando, in fondo, solo per la copertina che raffigurava una donna bianca abbandonata tra le braccia di un uomo di colore. Nessuno lesse il libro, al centro della lotta intestina ai vertici del regime, fra Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, e il potente capo della polizia Bocchi.

Il libro di Ezio Mauro viene, da qualcuno, definito “perfetto”: è didattico, perfetto per le scuole, ha una scrittura eccellente, lineare e non barocca, segue il metodo del cronista. Misurato dal numero delle suole e dei taccuini consumati, il cronista indaga, ripercorre i luoghi in cui si sono consumati i fatti. Ed Ezio Mauro ha sempre fatto questo, come con il racconto della caduta dei Romanov. Per “L’anno del fascismo. 1922. Cronache della marcia su Roma” ha effettuato ricerche accurate negli archivi di stato, spulciato testimonianze, cercato le storie, come solo lui è in grado di fare, definito “retroscenista” dei fatti. Comunicandosi emozioni, nell’indifferenza italiana, in un “paese ipnotizzato”, incapace di capire dove tanta violenza avrebbe portato.

Il libro di Paolo Borrometi, invece, racconta dei traditori del nostro paese, di chi si è servito dello Stato ma anche dei tanti eroi che hanno servito lo Stato. Un disegno inquietante non ancora compreso né completo. L’importanza di portare alla luce e parlare di quest’ombra e lato oscuro del paese, per sapere, ricordare e non dimenticare, viene sottolineata da una giovane studentessa del liceo cittadino Dosso Dossi. Lei è Elisa Rizzi è ed è andata a Milano, a piazza Fontana. Ha letto, studiato, cercato di sapere e di capire. Anche grazie alla sua professoressa. Alcuni giurati ammettono, altri forse solo lo pensano, vorrebbero avere una figlia o una nipote così. C’è speranza, penso io, fra me e me.

Agnese Pini non esita a supportare il libro di Gaia Tortora. Si tratta di “una memoria familiare che diventa collettiva”, sottolinea, “non un errore giudiziario ma un orrore giudiziario. E poi rimette in questione il ruolo di certa stampa”, quella sensazionalistica, che non esita a condannare prima di ogni sentenza. “In questa vicenda si legge tutta l’epicità della condanna degli innocenti, narrata dal Vangelo fino a Dante”, conclude, “una storia intima, vista e raccontata dagli occhi di una quattordicenne, impegnata, nel giorno dell’arresto plateale del padre, nel suo esame di terza media”. Un padre assente ma che, a causa del carcere, è diventato presente. Un carcere che sapeva la verità. “Perché nel carcere” dirà Gaia al momento del ritiro del premio, “tutti sanno la verità, appena entri”.

Jas Gawronski fa una emozionante confessione, un mea culpa sincero, quello di avere avuto qualche dubbio di fronte a un Enzo Tortora in manette.

Molti di noi ricordano quel viso attonito e incredulo, noi che guardavamo Portobello, che avevano nelle nostre camerette il gioco in scatola che riproduceva quel mercatino televisivo, un gioco compagno di tante domeniche spensierate.

Personalmente dubbi non ne ho mai avuti. Un processo mediatico terribile e spietato, invece, aveva deciso ancora prima di ogni sentenza di tribunale. Una gogna, la gogna. La mia memoria va, d’istinto, a Raul Gardini, a Maureen Kearney del recente film, “La verità secondo Maureen K.”, di Jean-Paul Salomé, a “Il penitente” di David Mamet.

Il libro di Gaia – una biografia emotiva come ricorda Faustini, perché il giornalismo è anche emozione, – è scorrevole, la scrittura è lieve, c’è amarezza ma non ci sono odio né rancore; del sistema, non è tutto da buttare, questa donna coraggiosa continua a credere nella democrazia e nella giustizia. Incredibile, ma vero. Meritava di vincere.

“Nel mio cuore considero la vittoria al fotofinish con il mio amico Paolo Borrometi un ex aequo, sono due libri che raccontano la storia d’Italia seguendo filoni paralleli, sui quali ci sarebbe ancora molto da dire. Dedico questo riconoscimento a quella ragazza di terza media e quindi ai ragazzi delle scuole e delle carceri dove continuo ad andare, soprattutto in quelle minorili. Vorrei che i ragazzi, attraverso il mio libro, comprendessero che giudicare subito è sbagliato e che utilizzassero la loro testa per farsi una propria idea”. Gaia Tortora

Il 39° Riconoscimento Gianni Granzotto. Uno stile nell’informazione” è stato assegnato a Federico Rampini, editorialista del “Corriere della Sera” e già corrispondente de “la Repubblica” da New York dal 2009. Giornalista dal 1979, Rampini è stato vicedirettore del “Sole 24 Ore” e inviato e corrispondente da Parigi, Bruxelles, San Francisco, Pechino. Ha insegnato nelle università di Berkeley, Shanghai e in Bocconi. Lo ritira ricordando l’amico Andrea Purgatori, che lo aveva vinto nel 2020.

Foto Premio Estense

 

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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