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Don Tonino Bello. Riflessioni sulla Pasqua appena trascorsa.

A Pasqua i Cristiani celebrano l’evento centrale della loro religione, cioè la resurrezione di Gesù e la vittoria della vita sulla morte. Così diceva Sant’Agostino: “Togli la resurrezione e distruggi il cristianesimo”. Inoltre, nei Vangeli si narra il ritrovamento della tomba vuota da parte delle donne, la proclamazione della resurrezione da parte di un angelo, l’apparizione del Signore risorto e le confessioni che lo testimoniano. Attraverso la sua risurrezione, Gesù ha potuto incontrare i suoi discepoli e incaricarli di una missione mondiale, portare la sua parola a chi non la conosceva.

Il termine Pasqua deriva dal greco: pascha, a sua volta dall’aramaico pasah e significa propriamente “passare oltre”, quindi “passaggio”. Con questo termine gli Ebrei ricordavano il passaggio attraverso il mar Rosso dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione. I cristiani ricordano il passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo.

La data della Pasqua cambia sempre, perché coincide con la domenica successiva alla prima luna piena dell’equinozio di primavera. Quest’anno ricorre presto, il 31 marzo. Esistono molti testi vicini e lontani al cristianesimo che affrontano e descrivono questo evento soprannaturale e unico dal punto di vista storico, religioso, spirituale, ascetico, ma anche apocrifo, eretico, ateo.

Credo che aldilà delle singole fedi, dei credi e anche delle insofferenze a volte superficiali, sia interessante il cammino e il tentativo di rendere attuale la Pasqua che alcuni uomini “illuminati” hanno fatto e cercano ancora di fare. Sacerdoti e laici, dipende.

Uno di questi è stato Don Antonio Bello, ex vescovo di Molfetta e presidente nazionale di Pax Christi (Alessano, 18 marzo 1935 – Molfetta, 20 aprile 1993). La sua opzione radicale per gli ultimi, il suo impegno per la promozione della pace, della nonviolenza, della giustizia e della solidarietà lo rendono, ancor dipiù in questi tempi, un profeta audace.

Tra i suoi scritti ve n’è uno che si intitola: Ti voglio bene. I giorni della Pasqua. Questo particolare e breve testo racchiude gli ultimi scritti che il Vescovo indirizzò alla sua comunità pastorale appena prima di morire. La sua morte avvenne infatti nell’Aprile del 1993, nove giorni dopo Pasqua.

Sono brevi lettere scritte in una situazione di grande sofferenza, era infatti tormentato da un cancro che gli causava molta sofferenza e che lo condusse in breve tempo alla morte. Un piccolo libro piene di luce, di speranza, ma anche di una forte voglia di vivere.

Contiene parole adatte alla Pasqua, che uno creda o meno nell’aldilà.  Del resto, se aprire una porta alla fede migliora la situazione di sofferenza, questa è comunque una strada da provare a percorrere, aldilà della storicizzazione della chiesa, della sua secolarità e dei suoi rappresentanti non sempre all’altezza.

Ma non solo, leggendo queste pagine si resta impressionati dalla forza di questa persona, dalla sua capacità di consolare gli altri quando ne avrebbe avuto bisogno lui, stava infatti lasciando questo mondo. Il 19 marzo del 1993 don Bello registra un messaggio per gli ammalati della sua parrocchia che viene trasmesso dall’emittente locale Radio Christus, la cui trascrittura viene riportata, tra le altre, nel libro.

Che cosa significa speranza? (si chiede don Bello): “Speranza significa forza di rinnovare il mondo. Forza di cambiare le cose: Nonostante tutto. Nonostante la malattia. Nonostante la sofferenza.” e ancora: “Il mondo può cambiare. E noi che siamo ammalati o che siamo vittime di tante sofferenze morali, noi possiamo contribuire a cambiare il mondo”.

Questo mi sembra davvero un bel messaggio Pasquale. La forza di cambiare il mondo. Credere che davvero lo si possa cambiare, migliorare ogni giorno. Un messaggio importante per tutti, credenti e non. Nonostante la situazione mondiale attuale sia pessima per i venti di guerra, il terrorismo, la presenza di armi spaventose e diffuse, si può provare a cambiare il mondo.

A volte mi chiedo se le persone abbiano ancora la consapevolezza che quando fanno volontariato, aiutano un vicino di casa, vanno a trovare un ammalato, oppure semplicemente facilitano il confronto e il dialogo fra le persone, stanno cambiando il mondo. Lo stanno cambiando nel loro piccolo, nelle loro azioni quotidiane, nella vita di tutti i giorni. Ma lo stanno cambiando in meglio.

Lo stanno migliorando “dal basso” (Ora al top down si preferisce la parola “liquido” che ha pervaso tutto e sciolto insieme alla contingenza il suo significato). La convinzione che il mondo può cambiare grazie al nostro operato quotidiano è da riattualizzare con molta forza ed è un atteggiamento educativo che va adottato nei confronti dei giovani.

La passività, il ripiegamento su logiche d’attesa, se non l’inattività, è uno status a cui non ci si deve né adattare, né rassegnare, altrimenti il mondo davvero dormirà nella penombra e non rivedrà la luce. Non la luce della resurrezione, ma nemmeno la luce della speranza. È la speranza che può fare la differenza, è lei che ci ricorda la Pasqua. È utile ritrovare il tempo per osservare il mondo dell’infanzia e per imparare dai bambini ad essere fiduciosi nel domani, nei giorni che verranno, nel sole che splenderà, nelle persone più grandi che ci aiuteranno e ci renderanno felici.

La Pasqua è fatta per ritrovare la speranza in un mondo migliore e non per rannicchiarsi come vecchie tartarughe in un guscio di indifferenza e di protezione dei propri privilegi, pensando che quello sia il modo migliore di vivere, dimenticando gli altri e le loro necessità, le piccole cose che potremmo fare per loro e che non ci costano nemmeno tanto, se non una briciola del nostro tempo.

Una secondo aspetto del libro di Don Bello che si sembra degno di interesse è la sua tensione all’idealità. Esiste e alberga in ognuno di noi un’idea di giustizia, un’idea di legalità, un’idea di pace, un’idea di libertà. Ciascuno di questi temi esiziali ed esistenziali deve tornare al centro delle nostre riflessioni, bisogna riappropriarsi della consapevolezza che riflettere su questi argomenti piò fare la differenza, può elevare il mondo al disopra delle contingenze per aprire a nuovi orizzonti di azione e di riflessione.

L’idealità si scontra con la vita quotidiana che è fatta di arranchi, di errori, di impotenza ma anche di possibili strade che si possono intraprendere oppure no, vie libere e limonose che aspettano di essere percorse. Bisogna avere la forza di vedere, guardare in alto, senza abbassare gli occhi.

A proposito del nostro rapporto con l’idealità don Bello scrive “Non abbiate mai paura di essere carichi di utopie, carichi di queste idealità purissime, soprattutto quelle che si rifanno ai grandi temi della pace, della giustizia, della solidarietà. Sono temi che si stringono intorno ad una parola: Freedom!”

E ancora “La libertà è un dono che dobbiamo implorare dal Signore, perché tutti quanti i popoli della terra siano felici. E noi dobbiamo essere protagonisti di questo rinnovamento culturale, di questo cambio di mentalità. Non dobbiamo stancarci, non dobbiamo demordere anche se le difficoltà sono tantissime”.

Ma cos’è la libertà? Quante volte ce lo dovremmo chiedere? L’idea di libertà ha una definizione ufficiale e una declinazione personale. Una componente utopica e una operativa, che diminuisce la forza indiscussa dell’idealità per ragionare sulla concretezza, per sbriciolare l’idea e renderla azione. Nel passaggio dall’idea all’azione si perde la purezza utopica, non vedo cosa debba cambiare questa consapevolezza.

Il mondo nel quale viviamo non è un mondo puro, è un mondo pieno di disgrazie, accidentalità malefiche e scelte scellerate che qualcuno ha già fatto e che altrettanti stanno facendo. Ma il passaggio dall’idea all’azione resta fondamentale, la consapevolezza che in questo passaggio ci saranno delle accidentalità, importante. Non è forte chi rinuncia ad un ideale perché irrealizzabile nella sua dimensione puramente teorica.

Ogni ideale in quanto utopia è di suo irrealizzabile, è invece realizzabile una concretezza dell’azione che dell’idea si nutre e da essa trova linfa e senso. Non si può abbandonare un ideale in nome di una sua inattualizzabilità. L’ideale è inattualizzabile in quanto utopia ma è percorribile in quanto operatività imperfetta.

L’imperfezione dell’idea attualizzata è una caratteristica di questo mondo, è ciò che lo rende così com’è. È il suo limite ma anche la sua possibile salvezza. Abdicare alle idee impoverisce il mondo fino ad ucciderlo. Rendere gli ideali approssimativi (in quanto approssimabili per prove ed errori) è il meglio che possiamo fare.

Esiste il piano dell’assoluto e il piano del fattibile che solo in momenti di armonia cosmica (chiamiamoli così) è possibile vedere congiunti, esigibili, “esistibili”. È proprio questo che ci regala la Pasqua, un confronto ravvicinato con “l’esistibile”.

Un terzo tema che Don Bello affronta in Ti voglio bene è quello della violenza. Sono molto conosciute le sue posizioni pacifiste ed è molto interessante quello che lui sostiene sulla violenza: “(…) non c’è solo la violenza delle armi. C’è la violenza del linguaggio, quando, per esempio, si risponde male a una persona anche se si ha ragione. Quello è un linguaggio violento. Quando si vuol coartare, piegare la volontà degli altri alla propria, quello è un atteggiamento di egemonia, di superbia. È un atteggiamento violento. (…)

Quando educatori, genitori, maestri, più che modellare l’animo dei discepoli o dei figli (in funzione della loro autentica crescita umana) la modellano secondo progetti anche splendidi, però caparbiamente modellati sulle loro vedute: allora corrono il rischio della violenza. Quando vantiamo un pregio forse anche meritato, per cui chi vede magari ha paura di noi: anche questa è violenza”.

Pensando al mondo che ci circonda, tutti possiamo individuare focolai violenti e rovinose cadute di ideali, ma anche azioni illuminate. La Pasqua ci aspetta in quanto persone che riflettono sul senso del loro vivere e che sperano in un futuro migliore. È la rinascita a vita “buona”.  È un percorso, una ricerca interiore che ciascuno di noi fa e che in alcuni momenti dell’esistere è più presente che in altri.

Non credo ci siano persone che non si pongono mai temi esistenziali, credo però che in molti casi si trovi il modo di dimenticarsi le possibili risposte. Nel futuro si annidano molto insidie, ma la Pasqua ci insegna che nel futuro possono albergare anche le nostre idee più belle, le nostre speranze. Credo che il grande dono che la Pasqua fa a tutti sia proprio questo, una nuova strada e una possibile speranza che riguarda sia una miglior vita sulla terra che l’aldilà.

Per leggere gli articoli di Catina Balotta su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

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Catina Balotta

Sociologa e valutatrice indipendente. Si occupa di politiche di welfare con una particolare attenzione al tema delle Pari Opportunità. Ha lavorato per alcuni dei più importanti enti pubblici italiani.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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