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Giorno: 14 Maggio 2018

C’è parata e parata

Non è la solita parata gonfiata dall’autocelebrazione davanti a una folla ammutolita che ammira svisceratamente o rimane freddamente presente e attenta. L’adunata degli alpini è qualcosa di viscerale, profondamente diverso, che esula dagli schemi che normalmente vengono applicati, un appuntamento che scuote emotivamente ed evoca principi quali la solidarietà, la disponibilità generosa, la presenza che sorregge la sicurezza collettiva. E’ un grande tributo a questo Corpo, ospitato quest’anno dalla città di Trento, una commovente commemorazione delle glorie passate e dell’impegno presente sul territorio nazionale e internazionale, un momento di forte identificazione e senso di appartenenza per coloro che ne fanno parte.
Si presentano orgogliosi con i loro labari, le loro bande e fanfare, i gagliardetti, i gonfaloni e le bandiere, l’attrezzatura che caratterizza la loro funzione, i cappelli con penna tirati a lucido, le camicie a scacchi che richiamano rocce e vette, il passo fermo o strascicato nella marcia, perché a questo evento non manca nessuno, né i giovani né i più anziani. Sfilano anche quelli che non possono più camminare e lo fanno su una sedia a rotelle, quelli che si aiutano con un bastone e fanno fatica; sfilano anche i cappelli di coloro che “sono andati avanti” e sono scomparsi nell’arco dell’anno.

Ne è passata di storia da quel decreto regio, firmato da Vittorio Emanuele II all’alba della Terza Guerra di Indipendenza, che permetteva di reclutare 15 nuove compagnie regionali in cui trovavano collocazione proprio gli Alpini, per difendere i confini lungo tutto l’arco delle Alpi. Sono passate anche due Guerre mondiali nelle quali le brigate alpine non hanno risparmiato sforzi e sacrifici, sempre in prima linea. La loro storia è l’immagine di ciò che coerentemente hanno sempre rappresentato, senza aloni di falso romanticismo o sentimentalismo costruito: i custodi della loro gente. Una divisa e un ruolo istituzionale che non rinunciano all’aspetto umano e alla disponibilità più genuina e immediata.

In Europa e nel mondo le parate militari e celebrative assumono spesso una funzione dimostrativa di forza e potere militare, ma anche significativamente commemorativa; in alcuni casi i toni arrivano a essere addirittura provocatorie. Pensiamo alla sfilata delle forze armate del 30 luglio a Pechino per ‘mostrare i muscoli’ e far dimenticare le difficoltà sociali; le parate volute da Kim Jong-un per diffondere in Corea del Nord la percezione di grandezza militare assoluta e darne dimostrazione agli interlocutori internazionali; le manifestazioni militari di vaste proporzioni in Russia, dove nella piazza Rossa si ricorda il Giorno della Vittoria; il Venezuela, dove la parata militare del 5 luglio, in memoria dell’indipendenza, si è trasformata in una grande contestazione contro il governo Maduro; l’imponente e significativa parata militare in Iraq del 2017, con la quale il Paese ha voluto dimostrare l’impegno nella lotta al terrorismo a fianco dell’Occidente e ricordare quel giorno del 1979, quando i militari chiamati dallo Scià a reprimere le sommosse e i disordini di piazza, si rifiutarono di eseguire gli ordini. Una grande parata rimane sempre quella francese del 14 luglio che sembra aver ispirato il presidente Trump, presente nell’ultima edizione, il quale ha espresso la volontà di istituire una grande kermesse militare nel prossimo futuro, entro maggio o il 4 luglio, ignorando l’idea dei democratici sulla mole di sperpero che tale iniziativa comporta. A volte non manca nemmeno una nota di folklore: la parata più lunga al mondo risulta la Schützenfest annuale di Hannover, lunga 12 km, con 12.000 partecipanti da tutto il mondo e più di 100 bande.

Anche in letteratura si citano questi momenti di partecipazione di massa ed Edmondo de Amicis ne fa un capitolo del suo Libro Cuore (1886), dal titolo ‘L’esercito – 11 giugno, domenica – ritardata di 7 giorni per la morte di Garibaldi’. Nel racconto, al suono delle fanfare e bande militari il padre che assiste alla parata col figlio, racconta la storia dei vari Corpi d’armata. Sfilano gli allievi dell’Accademia, la Fanteria, il Genio, i Bersaglieri, l’Artiglieria di campagna. Sfilano anche gli Alpini, un mare di penne lunghe e dritte che sorpassano le teste degli spettatori, sfilano i difensori delle porte d’Italia, tutti alti, rosei e forti, con le mostrine di un bel verde vivo colore dell’erba delle loro montagne. Sfilano gli alpini con i loro muli potenti, che portano sgomento e morte fin dove sale il piede dell’uomo in una guerra che nessuno vuole.

– Com’è bello! – io esclamai. Ma mio padre mi fece quasi un rimprovero di quella parola, e mi disse: -Non considerare l’esercito come un bello spettacolo. Tutti questi giovani pieni di forza e di speranza possono da un giorno all’altro essere chiamati a difendere il nostro paese, e in poche ore cadere sfracellati tutti dalle palle e dalla mitraglia. Ogni volta che senti gridare in una festa Viva l’esercito, Viva l’Italia, raffigurati, di là dei reggimenti che passano, una campagna coperta di cadaveri e allagata di sangue, e allora l’Evviva all’esercito t’uscirà più dal profondo del cuore, e l’immagine dell’Italia t’apparirà più severa e più grande.

INTERNO VERDE
Oltre 6mila visitatori per sbirciare cortili e giardini a Ferrara

Due giornate di sole pieno, 70 giardini aperti, visi, sorrisi, peonie candide profumatissime e rose di decine e decine di specie, per la manifestazione ‘Interno Verde’ organizzata a Ferrara dall’associazione Ilturco, che ha chiuso con un successo pieno la sua terza edizione, da sabato 12 a domenica 13 maggio 2018. Oltre 6mila, infatti, le persone che con il braccialetto rosso al polso hanno perlustrato cespugli di fiori e prati, dentro e fuori da questi angoli di città normalmente visibili solo da chi li possiede o li abita.

Casa Minerbi in via Giuoco del pallone (foto Valerio Pazzi)
Coda per l’ingresso a Casa Hirsch (foto Valerio Pazzi)

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Una scorpacciata di colori e profumi, di ombre e raggi, frescure nascoste e solarium, di palazzi invidiabili e cortili piccoli, messi a festa per essere orgogliosamente ammirati.

Via Carlo Mayr 163 (foto Valerio Pazzi)

Sa sempre sorprendere e accogliere la manifestazione curata da Licia Vignotto insieme con Martina Stevoli e gli altri organizzatori che hanno messo a punto il nuovo e, via via, più ricco itinerario, che rivela quella parte di Ferrara normalmente nascosta dietro ai muretti di cinta e ai cancelli.

Il giardino che porta al grande orto in via Camposabbionario 8 (foto Valerio Pazzi)

Facciate insospettabili che custodiscono le aree verdi di privati cittadini, di palazzi pubblici non sempre visibili (Centro studi bassaniani in via Giuoco del pallone, i palazzi Bonacossi, Schifanoia e Marfisa d’Este, ma anche l’Archivio storico comunale con le documentazioni, i prospetti e le evoluzioni storiche di molti giardini) così come di associazioni (le sedi di Confidustria e Azione Cattolica in via Montebello ai civici  33 e 8, Centro di documentazione donna in via Terranuova 12).

Stefano Bottoni, nella casa studio, via Montebello 34 (foto GM)

L’itinerario è fatto di incontri con luoghi e persone, come quello con Stefano Bottoni – fondatore del Buskers Festival – che tra le pareti-studio e il rustico giardino accanto al sagrato della chiesa di Santo Spirito (via Montebello 34) intrattiene con malia i suoi visitatori tra i cimeli di una vita dedicata alla curiosità e alla raccolta di strumenti musicali, ma anche degli oggetti più disparati, in molti casi legati ai viaggi per il mondo alla scoperta dei più interessanti artisti di strada.

Francesco Scroffa nel giardino di via Terranuova 25 (foto GM)

Ad accogliere nel giardino di via Terranuova 25 è invece Francesco Scroffa, proprietario dell’omonimo, antico palazzo, nei panni di signorile cicerone tra piante e fiori di questo spazio variegato e armonioso, che racconta delle vicissitudini che hanno contorto e dilatato fino a oltre quattro metri di diametro il tronco del maestoso albero di Giuda al centro dell’aiuola e dato libero slancio al centenario gingko biloba poco distante.

Paola Roncarati con la giardiniera Anna nel giardino di via Pomposa 70 (foto GM)

Nell’arioso spazio di via Pomposa 70 ci sono la signora Paola Roncarati con la sua fida Anna, che la passione per il verde ha trasformato da badante della mamma in valente giardiniera, accompagnata dall’altrettanto entusiasta nipote Artio nel giardino che sorprende il visitatore per l’ampiezza e la cura che rendono floride le rose e profumatissime le peonie diventate l’habitat di ben nove tartarughe di varie età, che spaziano dalla grandezza di una noce a quella ben piantata e più anziana.

Via Camposabbionario 8 (foto Valerio Pazzi)
Casa Hirsch (foto Valerio Pazzi)
Via Savonarola 34 (foto Valerio Pazzi)

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Duecento i giovani volontari che si sono dedicati a fare da custodi dei luoghi messi in mostra, facendo in diverse occasioni da tramite con il pubblico per dare informazioni, aggiungere dettagli e raccontare i contenuti di questi pezzetti di città e di storia.

Giovani volontari in via Ugo Bassi 21 (foto GM)
Volontarie nel giardino di via Savonarola 34 (foto GM)

Piccole perle tra i giardini anche quegli angoli di collezioni, legati agli arnesi da lavoro, vasi e oggettistica varia che riportano alla memoria dei nonni e alla vecchia e ammirevole vocazione al riuso, ad aggiustare e conservare. Esemplare il cortile-laboratorio di Angelo Andreotti, accessibile da via Piangipane, dove si fa un salto indietro nel tempo, a quando lui esercitava il mestiere di cocchiere e il ghiaccio non si teneva nel frigorifero, ma in cavità riparate da ombra e terra.

Interno Verde 2018 a Ferrara: Angelo Andreotti, via Piangipane 49 (foto GM)


Alberi secolari e giovani fusti
incoraggiati ad espandersi quelli che troneggiano al centro delle corti o ai bordi dei prati, come il tiglio che domina il giardino di via Carlo Mayr, portato a casa da un viaggio in Sardegna, o la palma che dà il tocco di borghese esotismo in via Ugo Bassi quasi all’angolo con via Cisterna del Follo.

Tiglio in via Carlo Mayr 163 (foto Valerio Pazzi)
Via Savonarola 34 (foto Valerio Pazzi)
L’albero di Giuda, via Terranuova a Ferrara (foto Valerio Pazzi)

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Un campionari di rose scorre davanti agli occhi dei cultori del genere: rose canine dalla corolla semplice, rose damascene fitte fitte di petali, rose gialle spampanate dal temporale nel giardino del Centro di documentazione donna (via Terranuova 12) e rose rosse trionfanti arrampicate su un’intera parete di mattoni a Palazzo Scroffa (in via Terranuova). Le loro fioriture primaverili salutano i visitatori, dando l’arrivederci alla prossima edizione.

Rose in via Pomposa 70 (foto Valerio Pazzi)
Cespuglio di rose in via Ugo Bassi 30 (foto Valerio Pazzi)

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DIARIO IN PUBBLICO
Ferrara città d’arte e cultura

Tra fiori, piante e rulli di tamburi, Ferrara verde ha dimostrato di sapersi inventare formule culturali vincenti e non banali.
Giustamente esultanti, le cronache riferiscono sull’affluenza di pubblico; e non a caso in questo lunedì di passione (vera), che forse vedrà la nascita del nuovo governo, l’attenzione è tutta tesa ai destini non tanto dell’Italia, che sempre rimane terra di santi, poeti e navigatori, ma della Spal di cui si ammira la resistenza e la passione (si sa, i ‘ ragazzi soffrono’). Nascono così dalla passione titoli di una nuova lingua che è il ‘calcese’ molto simile ai linguaggi esoterici: “Il Toro ha matato la Spal. L’aquila la tiene in vita”. D’obbligo il rimando ai toreador di ‘A las cinco de la tarde’ e al lamento di Garcia Lorca con l’ingegnosa trovata Toro-toreador. Più difficile la metafora di un’aquila che la tiene in vita, ben presto spiegata dalla sconfitta della “pattuglia rosso-blu calabra” che riapre i giochi. Bisogna allora, parola di cronista, tener conto della sconfitta perché “Floccari è amareggiato “Ora resettiamo tutto”” e immagino lo sconcerto degli amici del bar della mia generazione di fronte al termine ‘resettare’. Se dunque l’Italia è terra di poeti, niente di straordinario di un revival linguistico così acuto. Addirittura anche il cinema viene evocato e così “Festa Juventus, ecco il settimo sigillo”, con il dottissimo rimando al favoloso film di Ingmar Bergman dallo stesso titolo. E anche se ai tifosi sfuggirà la portata di simile campionatura umilmente cerco di spiegarla con le mie poche forze e farmi perdonare la mia inesorabile assenza dalle partite.
In questa ricerca della parola nobilmente rara ho letto il desueto ‘ponte elevatoio’ contrapposto al più comune ‘ponte levatoio’. Ma non è un errore solo una rarità!

La giornata soleggiata, l’afflusso dei turisti, la curiosità, che è una delle molle principali della ferraresità, hanno decretato il successo di Interno verde la rassegna che spalanca per due giorni i portali chiusi dei giardini privati di Ferrara e non solo dei giardini, come è accaduto per l’orto curato dai detenuti nelle carceri della città che ha riscosso un meritatissimo successo. Mi affretto a recarmi al Centro Studi Bassaniani a Casa Minerbi dove la coda è cospicua. Faccio un breve racconto della nascita del Centro poi mi reco al Mercato Coperto di Santo Stefano dove ritrovo vecchi amici: la bancarella dove per decenni ho comprato frutta e verdura ancora in attività e il negozio di salumi e formaggi. Il generoso tentativo di ridar vita a un luogo così importante per la memoria collettiva non sembra ancora aver dato risultati positivi ma la speranza è l’ultima a morire. Esulto nel frattempo a sapere che le azalee contro il cancro sono state vendute tutte già alle 10 della mattina e di 950 piante rimane solo il ricordo. Poi lento pede e con la bicicletta a mano torno a casa mentre la gioventù del loco mira ed è mirata.
Il sabato partecipo a un importante convegno organizzato dalla Fidapa, la Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari sul tema delle vie d’acqua: ‘Conservazione del paesaggio urbano ed extraurbano attraverso il recupero e la valorizzazione del paesaggio’, con la prestigiosa organizzazione di Chicca Coccitto. Incontro amiche straordinarie con le quali ho lavorato per decenni al Ministero per il restauro dei giardini storici e per la creazione dei parchi e giardini letterari e ai Garden Club e con le quali possiamo ben dire d’avere riportato in Italia la cultura del giardino e del paesaggio. Margherita Azzi Visentini, Mapi Cunico e ancora Carla di Francesco, fresca di Ministero, e la straordinaria assessora Roberta Fusari che ci ha dato una limpidissima visuale dei progetti incorso sulla rigenerazione urbana.
Insomma, una festa dell’intelligenza e della qualità del lavoro dello studio al femminile.
Il venerdì la Ferrara che culturalmente conta e che ricorda si è riunita alla sala dell’Arengo per celebrare nel centenario della nascita uno dei suoi figli più conosciuti: Gaetano Tumiati.
Ho già scritto su di lui scrittore e giornalista egregio, che mi fu compagno nell’avventura straordinaria della pubblicazione dei 36 numeri della rivista della Fondazione Carife, ‘Ferrara. Voci di una città’. Un momento importante della cultura ferrarese; una dimostrazione tangibile delle risorse culturali sulle quali poteva contare la città estense. Purtroppo anche quella, come altre iniziative altrettanto valide, sono finite o sono bloccate in una via senza ritorno. E’ stato detto che se a Ferrara ci fossero state meno forze culturali e più economiche le cose politiche ed economiche avrebbero avuto un altro corso.
Mi permetto di dissentire perché se a Ferrara non ci fossero stati i Tumiati, i Ravenna, i Chiappini, i Franceschini, i Varese, i Caretti tanto per citarne quelli a me più vicini Ferrara non avrebbe avuto quella straordinaria capacità culturale che ha permesso l’arte di Bassani, Antonioni, De Pisis, Bacchelli.
E che se lo ricordino i futuri nostri amministratori: Ferrara E’ città d’arte e di cultura.

In copertina fotografia di Valerio Pazzi, scattata nel giardino di Palazzo Giglioli a Ferrara durante la manifestazione “Interno Verde”

Da torre a castello…

di Francesca Ambrosecchia

Immaginate una sola torre di avvistamento fatta di mattoni e a pianta quadrata. Proprio a partire da questa massiccia torre è stato creato il Castello Estense come lo vediamo ancora oggi.
Visitando il Castello è possibile arrivare in cima alla celebre Torre dei Leoni e ammirare la vista di tutta la città dall’alto, punto notevolmente strategico soprattutto per l’epoca.
La rocca che ne derivò ha dato origine alla celebre dimora, grazie al progetto dell’architetto Bartolino Da Novara: la torre originaria e le cinta murarie vennero collegate ad altre tre torri imponenti, tutte circondate da un profondo fossato.
Inizialmente la struttura era sede della milizia e deteneva scopo esclusivamente difensivo. Le prigioni sotterranee e impenetrabili, la cui visita è senza dubbio suggestiva venivano già ampiamente utilizzate.
Oggi però ci piace immaginarlo animato, in ogni sua stanza, dal prestigio e dalla bellezza della Corte Estense.

Una mattina partirò…

Aria fresca nei polmoni questa mattina. Lascio il cuscino e mi vesto.
Un sole velato fa capolino dalla finestra. Ancora una mezzoretta e il cielo si ripulirà dalle scorie della notte.
Il mondo è più leggero… decisamente interessante!

Poi una nuova voglia: voglia di andare, di respirare, di assaggiare… di scoprire ciò che non ho mai visto prima.
È il momento. Chiudo la porta e scendo. Uno zaino di ricordi sulle spalle e qualche carezza rimasta nelle mani.
La priorità è cancellare il tuo viso, i tuoi occhi dai miei, la tua voce dai rumori del silenzio.
Via da queste quattro mura, calde di certezze incartate, zuccherate. Basta mal di denti e mal di testa perenni, pillole e caramelle, acidità di stomaco e film già visti, commedie e commedianti.
Prendo la moto: il metallo è di razza, il motore è caldo e il serbatoio è pieno. Sotto le ruote sento il ruvido e il secco della strada. Parto e via… senza voltarmi!

Seguirò l’istinto del lupo, oltre la collina e il suo bosco. Poi altre colline e boschi fino alle montagne del nord. Attraverserò ponti e confini, la strada non finirà mai. Il cielo sarà mio fratello e veglierà su di me.
Starò da solo, io e i miei segreti, libero di perdermi e di scomparire.
Scamperò alle trappole del cuore. Nessun controllo, nessun programma, nessun orario, nessun appuntamento e nessun dolore.
Soltanto aria per respirare, acqua da bere e terra per riposare.

Ecco il mio viaggio. Andare avanti, lontano e altrove. Andare via e non tornare più.

Drops of Jupiter (Train, 2001)

Il lavoro nobilita… no, stanca!

di Francesca Ambrosecchia

L’idea dell’uomo che si guadagna da vivere con il proprio lavoro nasce con la ben nota Rivoluzione Industriale, quando con l’avvento del capitalismo il lavoro diviene “forza lavoro” ovvero ciò che produce ricchezza.
Dal lavoro ripetitivo e alienante della fabbrica, nonostante ciò ritenuta sede di protezione e stabilità economica, messo a punto da Taylor e successivamente ampiamente applicato da Ford, oggi i percorsi lavorativi tendono ad essere sempre meno lineari.
Mutamenti di prestigio o economici: l’accrescimento di competenze ed esperienze può portare ad un miglioramento della propria posizione lavorativa, ad uno stipendio più elevato ma anche cambiamenti di tipo spaziale se si pensa al fenomeno diffuso della delocalizzazione.
Oggi si ricercano individui “flessibili”, come sono stati definiti dal sociologo Sennett, ovvero coloro che sono disposti ad abbandonare le esperienze lavorative passate per rimettersi in gioco, coloro che sottostanno alla logica del “breve periodo”.

“In fin dei conti il lavoro è ancora il mezzo migliore di far passare la vita”
Gustave Flaubert

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…

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