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Giorno: 17 Ottobre 2014

“Dal vescovo Negri un’idea di religione che allontana e crea muri”

Anatemi monsignore, dogmi, ordini ed imposizioni, io che sono un senza Dio condannato alle fiamme perenni non posso parlare di religione e religiosità, ma purtroppo lo faccio. Il suo capo monsignore, non sarebbe contento di lei, le posizioni del suo titolare sono molto, ma molto più legate alla tolleranza della Francescanità rispetto ai suoi moniti truculenti ed impositivi. Si chiama dialogo, tolleranza, che si antepone all’integralismo che non uccide di propria mano, ma che rimanda ad una condanna eterna, eseguita direttamente dall’eterno. Come possono le sue posizioni medioevali, legate ad una chiesa della sacra inquisizione, dove le streghe erano bruciate nelle feste popolari, dove i diversi, i pensanti, i deboli, venivano schiacciati tra le macine di una sacralità confusa col privilegio dove, il peccato dei potenti veniva mondato con la confessione, mentre il peccatuccio o la venialità dei poveri veniva mondato col sangue. Vede monsignore, il mondo cambia le ideologie non esistono più (e per molti questo è un bene, non per me), ed il concetto di religione da est a ovest diventa sempre più intransigente ed unilaterale, leggi sacre, divinità potenti che non si fanno uomini, ma che governano la vita degli uomini. Io monsignore penso che le parole di quel giovane palestinese nato duemila anni fa non siano quelle che lei utilizza, sono molto più simili a quelle del suo capo, che lei non ascolta o traduce in modo errato, sono amore, tolleranza, rispetto, condivisione, unicità nelle diversità, contatto con le persone, vita anche eterna ma non solo. Monsignore, prima di ricercare le pagliuzze, controlli le travi che sostengono un’idea di religione che allontana e non avvicina, che crea muri e non li distrugge, che confonde i reati con i peccati e viceversa. Monsignore, stia sereno e scagli la prima pietra se lei è senza peccato, altrimenti impari ad ascoltare ed a tollerare, perché la sua mansione, credo, sia quella di pastore e non di lupo.

Cristiano Mazzoni (Ferrara)

LA STORIA
Gli scatti di vita della fotografa errante che amava Kapuściński

“È importante che tu mantenga la capacità di esperire, che ci siano cose che ti stupiscano, che ti possano scuotere. È importante che non ti colga la terribile malattia dell’indifferenza”. Nel libro di Ryszard Kapuściński “Il mondo in un taccuino”, così traboccante di sagge meditazioni, di osservazioni precise e di autocritiche annotazioni di diario, ho trovato questo imperativo di vita, che per i giornalisti dovrebbe addirittura essere qualcosa come il primo comandamento del loro mestiere.

Se si vuole presentare la fotografa e scrittrice ‘nomade’ Monika Bulaj, non può mancare il nome di questo grande reporter internazionale polacco deceduto due anni fa. Lei stessa lo cita sovente e, se si scorrono le sue immagini, si avverte in continuazione quanto lei sia stata segnata dalla visione del mondo e dall’ethos professionale del suo connazionale polacco. Ma Kapuściński non è sicuramente l’unico maestro o l’unico modello di Monika Bulaj. Altri nomi devono essere citati. Tra i fotografi, il brasiliano Sebastiano Salgado, l’italiano Luigi Ghirri e specialmente la spagnola Cristina Garcia Rodero, ma forse anche registi come Andrej Tarkovskij e Theo Angelopoulos.
Modelli per il suo stile di scrittura sono tra gli altri, lo scrittore svizzero Nicolas Bouvier con le sue leggendarie annotazioni su un viaggio in Afghanistan e Iran (“L’esperienza del mondo”), Zbigniew Herbert, uno dei più grandi scrittori di viaggio del XX secolo, e Paolo Rumiz del quotidiano italiano La Repubblica, insieme con il quale Monika Bulaj ha intrapreso anche alcuni grandi viaggi attraverso l’Europa e fino a Gerusalemme. Due libri sono qui da segnalare: “Gerusalemme perduta” e il libro sull’Italia di Rumiz, mai abbastanza lodato, “La leggenda dei monti naviganti”, ai quali Monika Bulaj ha collaborato come fotografa. Ed è un caso che leggendo i suoi libri e osservando le sue immagini mi venga sempre in mente anche il nome di Joseph Roth, il grande ebreo in cammino lungo i confini di questo “angolo d’Europa maltrattato e disdegnato”, come egli scrive nelle sue annotazioni di un viaggio attraverso la Galizia.
Kapuściński però gioca forse un ruolo del tutto particolare, semplicemente perché egli, per la prima volta durante gli anni del comunismo, con i suoi straordinari reportage dall’Africa e dal Medio Oriente, ha aperto a Monika Bulaj, come a molti altri polacchi, una finestra sul mondo.
Anche lui aveva questa indomabile curiosità verso il mondo e verso gli uomini sconosciuti e verso le loro religioni, i riti, le feste e le danze. Effettivamente contro “la terribile malattia dell’indifferenza” da lui deplorata, Monika Bulaj appare essere altrettanto invidiabilmente immune come contro la caccia allo scoop, all’effetto, allo scandalo, che è così distruttiva nella nostra cultura del percepire. Da Kapuściński ella ha preso forse anche quell’umiltà discreta e il rispetto per l’altro, senza i quali non si potrebbe mai conquistare la fiducia degli uomini di cui si scrive o ai quali, come nel suo caso, si vorrebbe talvolta arrivare molto vicino con la macchina fotografica. E’ molto importante per comprendere il suo lavoro, come una volta lei stessa ha dichiarato in una conversazione, che tanto in qualità di fotografo quanto di ‘travel writer’ si gioisca del proprio lavoro e dell’incontro con lo straniero e con l’altro. Di nuovo anche qui emerge la vicinanza a Ryszard Kapuściński, che in uno dei suoi ultimi discorsi ha definito l’incontro con l’altro come una “delle più grandi sfide del XXI secolo”.

Monika Bulaj è nata a Varsavia, andava a scuola quando ancora c’era il comunismo, ma ha concluso a Varsavia i suoi studi universitari in storia, antropologia e filosofia quando già il muro di Berlino era caduto. “Avevo alle mie spalle la grande cultura polacca”, ha detto una volta in un colloquio, “ma intorno a me c’era anche il grande vuoto del presente comunista”.

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Un pastore nomade Sheva

Il fatto che fotografie con motivi provenienti dal mondo ebraico e anche dalla cultura dei Rom e dei Sinti, completamente spinti al margine dell’Europa, giochino un ruolo così importante nel lavoro di Monika Bulaj, lo si deve anche alla sua origine polacca o, per esprimersi in maniera un po’ più generale, alla sua provenienza dall’Europa orientale. Da bambina, e poi più tardi negli anni della formazione scolastica e universitaria, ha conosciuto il forte antisemitismo polacco, quello comunista così come quello di alcune parti della Chiesa cattolica. La sua particolare curiosità per una cultura che i nazisti volevano estirpare e che negli anni comunisti della Polonia è stata rimossa, spesso anche apertamente combattuta, ha forti radici biografiche, da lei apertamente rivelate in un suo racconto sulla casa della nonna. E oggi è il razzismo contro i Rom, che va diffondendosi in quasi tutti i Paesi dell’Europa orientale, ma anche occidentale, che l’ha motivata a svolgere le sue ricerche fotografiche negli accampamenti Rom della Slovenia, della Slovacchia o in Italia.

Dal 1993 vive in Italia, prima a Bergamo, ora a Trieste. I suoi primi viaggi fotografici, sempre connessi con forti interessi antropologici, risalgono alla metà degli anni Ottanta. Per il suo progetto “Genti di Dio” è stata in viaggio vent’anni e se si osservano le sue foto, si intuisce a quali disagi, ma anche a quali gioie, queste escursioni in villaggi e comunità, spesso situati ben lontano delle principali vie di comunicazione, siano legate. Nel testo d’introduzione al libro Monika Bulaj, facendo una sintesi dei suoi molti viaggi, scrive: “A piedi, in bicicletta, su slitte, trattori, barconi, ho imparato a indagare i limiti dei mondi di fede, a rallegrarmi quando arrivo tra persone nuove e, contemporaneamente, a essere impaziente di parlare con i vecchi prima che scompaiano, insieme ai loro ricordi”.
E’ così, si deve essere entrambe le cose, paziente e impaziente, se ogni volta nuovamente ci si mette in cammino, come fa Monika Bulaj, verso i confini dell’Europa o verso i luoghi dimenticati degli altri continenti, alla ricerca delle “antiche religioni che stanno per sfaldarsi”, come scrisse Benjamin, e degli uomini che in esse cercano ancora un sostegno, e forse anche lo trovano. Pazienza e impazienza, un soffermarsi meditativo e talvolta anche un ritmo rapidissimo mi sembrano essere caratteri tipici dei suoi lavori. Alcuni scatti sono ad esempio focalizzati in modo molto nitido su persone anziane, sui cui volti si possono leggere innumerevoli storie provenienti da una vita lunga, faticosa, vissuta da qualche parte ai confini dimenticati dell’Europa. Se il fotografare, come ha scritto lo scrittore inglese John Berger, è un altro modo di raccontare, allora qui siamo circondati non solo da immagini ma da innumerevoli racconti.

Nel mio primo incontro con Monika Bulaj, lei portò una lista di Paesi nei quali aveva fotografato negli ultimi anni: Bielorussia, Albania, Ucraina, Polonia, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Serbia, Macedonia, Turchia, Grecia, Siria, Etiopia, Israele, Italia, Azerbaigian, Libia, Marocco e Iran. Un panorama di Paesi che in un primo momento mi ha lasciato, come mitteleuropeo conservator-stazionario, semplicemente senza parole. E poi mi mostrò, per ciascuno dei Paesi nominati, una quantità enorme di fotografie, la cui mole è impressionante tanto quanto la qualità, la scelta dei motivi o, se si vuole, il messaggio. Ma non è importante far notare qui la quantità del lavoro di Monika Bulaj.
Molto più significativo e decisivo per la comprensione delle immagini è mettere in risalto l’irrinunciabile credo che guida il suo nomadismo fotografico. Una volta in una conversazione ha descritto così la sua comprensione del lavoro da fotografa: “A me piacciono le situazioni nuove. A tutti posso sempre consigliare il massimo dell’attenzione, il massimo rispetto, la massima umiltà e gioia. In questo modo la fotografia può diventare anche un’esperienza spirituale. Essere una brava fotografa non dipende dall’attrezzatura tecnica che uno si trascina dietro nelle proprie ricerche. Ben più importante è lo sguardo, una grande pazienza ma poi anche un agire estremamente veloce”.

L’enumerazione di Paesi e regioni che negli anni passati Monika Bulaj ha visitato e in cui ha scattato le sue foto, mostra già quanto poco stanziale sia, benché già da alcuni anni viva in Italia. Monika è un po’ polacca, un po’ italiana, europea? Forse di più, è una ‘nomade’. “I Polacchi”, ha scritto una volta Zbiegnew Herbert, sono fondamentalmente “un popolo veramente dinamico e proprio dalla loro storia esageratamente incitati al nomadismo”. In questo senso, se allora proprio si vuole, si può forse dare a Monika Bulaj l’etichetta di una “polacca nomade”, ma soprattutto una nomade che attraversa confini non solo geografici, con macchina fotografica e taccuino.

Traduzione dal tedesco di Elena Alessiato

Meno tumori tra vegetariani e vegani? Forse…

Lo scopo di questo articolo è che ci sia una reale informazione sulla qualità dei cibi e sulla consapevolezza di ciò che mangiamo, poi ognuno è libero di vivere la propria vita.

Comincio con un breve racconto: l’ingegnere francese André Simoneton, gravemente ammalato e senza speranza di guarigione, riacquistò la salute con il vegetarismo. Era un esperto in elettromagnetismo, e negli anni ’30 e ’40 collaborò allo studio della vibrazione degli alimenti utilizzando i lavori di altri importanti ricercatori. Ogni alimento, come ogni essere vivente, oltre ad avere un potere calorico (chimico-energetico) ha anche un potere elettromagnetico (vibrazionale). Servendosi di apparecchiature scientifiche, misurò la quantità di onde elettromagnetiche degli alimenti, classificandoli in base a queste (A. Simoneton, “Radiations des aliments”).

La composizione degli alimenti

LE CELLULE
Le cellule sono l’elemento fondamentale di cui sono composti tutti i tessuti di un organismo, sia esso umano, animale o vegetale. E’ una singola unità di materiale vivente capace di autoriprodursi. Una cellula assomiglia ad un uovo e si compone di: nucleo, la parte centrale adibita alla riproduzione e all’accrescimento della cellula; citoplasma, elemento che consente alla cellula di contattare ed interagire con l’ambiente esterno, è infatti in grado di irritarsi, contrarsi, assorbire, espellere e respirare. Nel citoplasma si trovano corpuscoli di varia forma e volume che fanno parte del sistema vivente della cellula (mitocondri, ecc.).

ACIDO/BASICO – IL COMPROMESSO VITALE
Tutte le reazioni che definiscono le condizioni essenziali di un ambiente in cui la vita sia possibile, si svolgono nell’ambito di determinati valori, tra questi il più importante è il rapporto acido/basico. All’interno del nostro organismo questo rapporto dovrebbe sempre rimanere costante, si possono però creare delle condizioni troppo acide (per eccesso di potassio) oppure troppo basiche (per eccesso di sodio).
Per misurare il rapporto acido/basico viene utilizzato un termine di paragone chiamato pH. Nel campo medico, il pH viene utilizzato per misurare i liquidi organici ed in particolare il sangue, la saliva e l’urina. Questi liquidi vengono definiti:
– ACIDI, quando il pH è compreso tra 0 e 7,06;
– NEUTRI, quando il pH è uguale a 7,07;
– BASICI o ALCALINI, quando il pH è compreso tra 7,08 e 14,14.

CONOSCERE LE CALORIE, COSA SONO E COME SI MISURANO
La dietologia ufficiale insegna che quando un cibo viene ingerito, viene dapprima triturato nella bocca, poi scomposto nei suoi elementi fondamentali e quindi assorbito dall’organismo. A questo punto subisce, ad opera dell’ossigeno, un’ulteriore trasformazione chimica (ossidazione) che produce calore, come se l’organismo ‘bruciasse’ in tanti piccoli fuochi i prodotti ingeriti.
Il calore (energia termica o calorie), che un alimento è in grado di produrre, può essere misurato con una speciale apparecchiatura di laboratorio. Tale misura viene espressa in calorie (unità di energia termica). Una caloria corrisponde alla quantità di calore capace di far aumentare di 1° C la temperatura di 1 litro d’acqua.
Le calorie fornite dai principi nutritivi sono le seguenti:
1 grammo di proteine produce circa 4,5 calorie,
1 grammo di grassi produce circa 9 calorie,
1 grammo di carboidrati produce circa 3,75 calorie,
1 grammo di alcool etilico produce circa 7 calorie.

Ma il concetto di caloria è incompleto ed ingannevole. Sappiamo che la dieta ufficiale ci dice quante calorie vengono fornite da un certo alimento ma NON ci informa affatto di quante calorie il corpo deve consumare per poterlo digerire, assimilare e liberarsi dalle tossine derivate da tali processi. Pertanto il concetto di caloria è incompleto e molto ingannevole. Un pezzo di carne, ad esempio, che teoricamente fornisce circa 4,5 calorie al grammo, ne consuma probabilmente altrettante nelle tre ore necessarie per la sua digestione ed assimilazione. Questo spiega perché alcune diete si basano sulla carne per far dimagrire.
Il dr. G. Wilson (“A new slant to diet”), ha verificato che un alimento introdotto nel corpo umano, si trova in un ambiente assai diverso da quello in cui viene bruciato per valutarne le calorie. Questa verifica è stato fatta misurando il flusso di energia nervosa nel corpo, prima e dopo pasti composti di vari tipi di alimenti.
Si è così riscontrato che certi alimenti costringono il corpo ad un grande dispendio di energia per poterli utilizzare. Questa manifestazione energetica ha portato a credere che gli alimenti in oggetto accrescano l’energia corporea, mentre è vero il contrario: terminati i processi digestivi ed assimilativi, il corpo si ritrova con le riserve energetiche diminuite.

Il rapporto tra alimentazione e tumori
E’ un diffuso luogo comune: mangiare più frutta e verdura fa bene alla salute. Ora, una vasta ricerca rivela che non solo ciò è vero, ma che chi fa una dieta vegetariana ha anche meno probabilità di ammalarsi di cancro rispetto a chi fa una dieta a base di carne. Non è la prima volta che un’affermazione di questo genere proviene dalla comunità scientifica internazionale: la novità, tuttavia, è che non c’era mai stato uno studio così ampio e prolungato nel tempo sulla questione. I risultati sono impressionanti: i vegetariani hanno il 45 per cento di probabilità in meno di ammalarsi di cancro del sangue e un 12 per cento in meno di ammalarsi di qualsiasi tipo di cancro, rispetto a coloro che fanno una dieta carnivora.

Pubblicato sul British Journal of Cancer e ripreso oggi con grande rilievo dalla stampa nazionale britannica, lo studio ha seguito lo stato di salute di 61 mila persone nel corso di 12 anni. “Ricerche precedenti avevano indicato che la carne può aumentare il rischio di cancro all’intestino, cosicché i nostri risultati sono apparsi plausibili da questo punto di vista”, dice al quotidiano Guardian di Londra la dottoressa Naomi Allen, ricercatrice del Cancer Research della Oxford University e co-autrice del rapporto. “Ma non sappiamo perché il cancro del sangue ha un’incidenza più bassa nei vegetariani”. La differenza, un 45 per cento di probabilità di ammalarsi in meno, è enorme, e riguarda sia la leucemia che altri tipi di cancro del sangue. Non solo, ma chi si nutre di verdura, frutta e pesce, evitando la carne, ha anche il 12 per cento di rischio in meno di ammalarsi di qualsiasi altro tipo di tumore, afferma la ricerca.

“Sono dati significativi”, osserva la dottoressa Allen, “anche se vanno presi con un po’ di cautela poiché si tratta del primo ampio studio di questo genere in materia. Abbiamo bisogno di farne altri e di saperne di più. Per esempio dobbiamo scoprire quale aspetto di una dieta a base di verdura, frutta e pesce protegge dal cancro. E dobbiamo stabilire quanto influisce positivamente una dieta vegetariana, così come quanto influisce negativamente una a base di carne”. Lo studio fa parte di un progetto internazionale a lungo termine chiamato “European prospective investigation into cancer and nutrition”, che andrà avanti, ad Oxford e in altri centri di ricerca sul cancro.

Altri studi hanno comunque già dimostrato che mangiare carne, o perlomeno mangiarne troppa, può essere nocivo. Non solo per la salute degli umani, tanto per cominciare, ma pure per quella del pianeta: l’anno scorso un rapporto della Commissione dell’Onu sul Cambiamento climatico ha esortato a rinunciare alla carne almeno una volta alla settimana poiché la produzione di carne, ovvero gli allevamenti di bovini, produce da sola un quinto delle emissioni di gas nocivi. Un rapporto della World cancer research fund, due anni or sono, ha raccomandato di non mangiare più di 300 grammi di carne alla settimana a causa del rapporto tra una dieta altamente carnivora e il cancro all’intestino. E nel 2005 uno studio finanziato dal Medical research council britannico e dalla International agency for research on cancer, ha riscontrato che mangiare due porzioni di carne al giorno, l’equivalente di un panino con la pancetta e di una bistecca, aumenta del 35 per cento il rischio di cancro all’intestino.
Il problema non si limita al consumo di carne per quanto riguarda il maltrattamento degli animali, ma comprende anche la produzione di latte e uova a livello industriale. Ad esempio, i metodi usati per far produrre più latte alle mucche o le condizioni in cui sono costrette a sopravvivere le galline ovaiole, considerate vere e proprie macchine da produzione e non esseri viventi, e di come venga tagliato il becco ai pulcini per evitare che crescendo si feriscano tra loro, visto gli stretti spazi in cui sono ammassati.
Certo, è sbagliato fare crociate contro chi non vuole passare ad essere vegetariano o vegano, non deve per questo essere condannato, si rischia di entrare nell’estremismo: ho letto commenti di vegani convinti che tanto sbandieravano l’amore per gli animali, scagliarsi con rabbia e odio verso chi non lo è. Le abitudine alimentari rientrano in un più vasto quadro culturale, e per questo motivo sono difficili da modificare.

Consigli per una sana alimentazione
Il passo migliore credo sia quello di orientarsi sempre di più verso l’acquisto di prodotti biologici, ottenuti con il rispetto verso l’ambiente e gli animali. E confermo anche che la cucina vegana è molto più varia della tradizionale, vengono utilizzati cereali, legumi ed altri prodotti di cui la maggior parte delle persone non conosce nemmeno l’esistenza (qui una lettura consigliata, A. Taum, G.P. Vanoli, “Guida alla salute naturale”).
Ogni alimento ha delle proprietà nutrizionali buone ma anche delle controindicazioni. Ogni alimento, mangiato in eccesso, causa problemi a non finire: dalle intolleranze, alle allergie, ai malori di stomaco, alle tossine. E questo vale per ogni alimento, verdura, frutta, carne, formaggi e così via.

IMMAGINARIO
Ragazza di pace.
La foto di oggi…

Premio “Pace città di Ferrara” oggi a Isoke Aikpitanyi. Nata 35 anni fa in Nigeria, Isoke arriva in Italia nel 2000 per lavorare, ma è succube della tratta che trasforma le giovani migranti in schiave del sesso. Una volta riuscita a liberarsi, si dedica alle altre donne in questa condizione. Fonda l’associazione “Le ragazze di Benin City” e scrive a quattro mani un libro sulla sua storia. Alle 15,30 riceve il premio nella sala degli arazzi del Comune, piazza Municipale. A cura dell’assessorato alla Pubblica istruzione, formazione e pari opportunità.

OGGI – IMMAGINARIO PERSONE

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Isoke Aikpitanyi, presidente dell’associazione “Ragazze del Benin” che riceverà oggi il Premio di pace della città di Ferrara

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]

GERMOGLI
Come in un film.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

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Scegliamo un’unica grande citazione, che vi riproponiamo in versione audio, per commentare le voci che vengono dalla finanza mondiale.

Wall Street – Il denaro non dorme mai è un film di Oliver Stone uscito nel 2010.

(per guardarlo cliccare sul titolo)

Gordon Gekko, Wall Street (Il denaro non muore mai)

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