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Da M5s Ferrara

Morghen (M5S): Vertenza Coop Unione Carrellisti-Versalis. E’ evidente come sia
necessaria la piena collaborazione tra amministrazioni e soci, che è elemento fondamentale
dell’ intera gestione dello stato di crisi aziendale che non può essere arbitrario e unilaterale.
Abbiamo rilevato che esiste una profonda mancanza di comunicazione tra le parti che non fa
che aggravare e peggiorare la situazione, ivi per cui sarebbe fondamentale, a nostro avviso
procedere alla convocazione delle parti per effettuare un processo di mediazione e migliore
comunicazione di quanto si debba fare in merito allo stato di attuale difficoltà aziendale.
Dalla fine dell’anno 2016 e nei mesi successivi, su richiesta dei lavoratori soci della
Cooperativa Unione Carrellisti, con sede in Mantova e che opera in appalto presso il polo
Petrolchimico di Ferrara, abbiamo provveduto all’audizione dei rappresentanti dei lavoratori
e alla presa visione della documentazione ricevuta in relazione al mancato adeguamento
salariale rivendicato dai cooperanti in funzione del rinnovo contrattuale dell’anno 2015.
Riportiamo i riferimenti normativi (legge 142/2001), alcuni interpelli effettuati negli anni
precedenti e parti di sentenze in tal senso. Citiamo in particolare gli interpelli del 2009 e del
2013 vincolanti in sede di interpretazione della normativa di riferimento.
Adl Cobas Bologna fornisce copia dello statuto cooperativo aggiornato al 17 gennaio 2017
tramite visura camerale CCIAA, con particolare riferimento agli articoli relativi al potere
dell’organo amministrativo e delle assemblee dei soci. All’art. 32 è indicata la modalità di
convocazione dell’assemblea ordinaria, che deve essere fatta attraverso strumenti come fax o
raccomandata che evidenzi che i soci hanno avuto la certezza di convocazione che deve
essere dimostrabile dallo stesso organo amministrativo (ad esempio la ricevuta di ritorno,
una conferma di ricevimento di una pec, ecc..) mentre altre forme di comunicazione sono
indicate “a discrezione” dell’organo amministrativo e integrative delle forme sopra indicate.
Non si può additare a forme di prassi svolte all’interno della stessa (come il foglio appeso
all’interno della stessa cooperativa) in quanto queste sono formalmente contrarie alle forme
indicate da statuto e codice civile. Pertanto, un’assemblea convocata senza la forma corretta
prevista all’art. 32 non è valida e deve essere necessariamente riconvocata nelle forme
previste per avere un effetto giuridico della stessa.
Cause di impugnazione di convocazione di assemblee ove non si ha un riscontro
dell’avvenuta ricezione della comunicazione sono state vinte dai proponenti.
Si fa presente inoltre, che lo stesso articolo stabilisce le cause di convocazione
dell’assemblea stessa, tra cui al punto 13, la deliberazione dello stato di crisi aziendale.
Essendo un evento di importanza fondante della vita d’impresa ed essendo espressamente
previsto dallo statuto aziendale, lo stato di crisi deve essere adottato su espressa
autorizzazione dell’assemblea dei soci, e non da atto unilaterale dell’organo amministrativo,
che senza espressa volontà dell’assemblea, non può adoperarsi in tal senso.
Non essendo indicato nell’ordine del giorno dell’assemblea convocata in data 22 Aprile
(non in forma corretta), espressamente la deliberazione sullo stato di crisi ma solo
approvazione di bilancio e rinnovo organi amministrativi, né essendo stata aggiunta la voce
“varie ed eventuali” che possano dare modo ai soci o all’amministratore di trattare altri
argomenti, l’assemblea doveva esclusivamente trattare gli argomenti all’ordine del giorno
(odg), non potendo fuori uscire da quanto indicato.
Fermo restando che a nostro parere non possa uno stato di crisi essere derubricato ad uno
“vari ed eventuali” ma avrebbe necessariamente dovuto essere previsto nella convocazione.
Indi per cui, anche in caso di validità di quelle convocate, ogni argomento al di fuori
dell’ordine del giorno non può assumere valenza, in quanto come indicato nella stessa legge
142/2001, la gestione da parte dell’organo amministrativo deve essere esercitata nel
massimo della trasparenza e comunicazione ai soci cosa che in tale sede non è avvenuta,
poiché l’organo amministrativo non può presumere la volontà dei soci in merito a tale
argomento non essendo indicato nella convocazione assembleare (magari altri soci
avrebbero partecipato alla stessa assemblea perche interessati all’argomento e non alla mera
approvazione del bilancio).
In riferimento alla modifica statutaria, anche questa non pare evidenziata nella copia fornita
dai cobas dalla visura camerale, a meno che non sia intervenuta in sede successiva.
Però in tale caso dovrebbe essere presente:
1. convocazione di apposita assemblea straordinaria dei soci con odg modifica dello
statuto societario;
2. modifica dell’atto di fronte a un notaio;
La modifica dello statuto non è atto discrezionale dell’organo amministrativo ivi per cui se
non risulta da atti societari, non può essere intervenuta nel corso del 2017.
Sullo specifico dello stato di crisi, quindi può essere proposto dall’organo amministrativo
ma deve essere gestito e approvato dall’assemblea dei soci:
In merito alla gestione dello stato di crisi, questo deve essere quindi deliberato
dall’assemblea dei soci e deve essere gestito in coordinamento con gli stessi dall’organo
amministrativo. Ai sensi dell’art. 6 della Legge n. 142/2001, le cooperative di lavoro hanno
l’obbligo di approvare un regolamento interno che deve essere depositato entro 30 giorni
dall’approvazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio. Lo
stesso art. 6 prevede che il regolamento debba contenere:
• l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, all’occorrenza, un piano di crisi
aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e
siano altresì previsti:
•la possibilità di riduzione temporanea del ristorno;
• il divieto, per l’intera durata del piano, di distribuzione di eventuali utili;
•l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, nell’ambito del suddetto piano di
crisi aziendale, forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla
soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie.
Tuttavia, per il comma 2 dell’art.6 della L. n. 142/2001, tranne che in alcune eccezioni – tra
cui proprio la deliberazione del piano di crisi aziendale – il regolamento non può contenere
disposizioni derogatorie in pejus rispetto ai trattamenti retributivi ed alle condizioni di
lavoro previsti dai CCNL del settore o della categoria affine, pena la nullità della clausola.
In questo quadro normativo si pone l’interpello dell’ Unione Nazionale Cooperative Italiane
(UNCI), la quale ha chiesto alla Direzione Generale per l’Attività ispettiva la possibilità per
le cooperative, in presenza di crisi aziendale, di prevedere un differimento temporale nella
fruizione di incrementi contrattuali.
Il Ministero, stante la citata normativa ha rammentato che, in presenza di una legittima
deliberazione assembleare di un piano di crisi aziendale, la cooperativa, in virtù del
regolamento approvato e depositato, ben può ridurre temporaneamente il ristorno. Inoltre,
pur vigendo il divieto di derogare i minimi contrattuali, poiché il socio può effettuare
conferimenti anche economici per permettere la soluzione della crisi, non si esclude la
legittimità di un conferimento – deliberato dall’assemblea – di parte della retribuzione
attraverso la riduzione della stessa – anche sotto il minimo previsto dal CCNL del settore o
della categoria affine – da parte dei soci lavoratori, rispettando la capacità economica dei
singoli (art. 6 comma 1, lett. e), L. n. 142/2001).
Data però la delicatezza della deliberazione, sarà logicamente necessario che la
cooperativa proceda con trasparenza, garantendo a tutti i soci lavoratori una leale e
corretta informazione preventiva. Infine, con riferimento alla deliberazione del piano di
“crisi aziendale”, la Direzione Generale precisa che si tratta di uno strumento di natura
endo-societaria con cui i soci decidono le soluzioni da adottare per far fronte alle difficoltà,
non riconducibile alle procedure di ammortizzazione sociale.
Diversa cosa sarebbe, infatti, la scelta dell’utilizzo delle procedure di cui alla L. n. 223/91
per dichiarare lo stato di crisi. In conclusione, il Ministero del Lavoro, pur non ammettendo
la possibilità di differire temporalmente la fruizione di ferie, permessi, ROL, ex festività,
13^ e 14^ mensilità e TFR, – perché trattasi di istituti previsti dalla contrattazione collettiva
nazionale e, in alcuni casi, ancor prima da leggi specifiche – ha suggerito una corretta
applicazione della normativa (Legge n. 142/2001) che potrà essere utilizzata in casi
eccezionali dalle cooperative per far fronte alla crisi aziendale nonché per preservare il
benessere economico ed i livelli occupazionali . (cit: Il Ministero del Lavoro con interpello
del 6/2/2009, n. 7 fornisce chiarimenti in relazione alla possibilità per le Società
Cooperative in stato di crisi di differire la fruizione degli incrementi contrattuali).
Di seguito, ad uso dei soci e del sindacato, riportiamo i riferimenti, linee guida per
eventuale quantificazione degli oneri che possono essere a debito dei soci lavoratori ed
economicamente sopportati da loro in sede di crisi aziendale.
In base alla legge 142/2001 art. 6 comma 1 lettera d) e) le misure di partecipazione
economica dei soci lavoratori devono essere temporanee e commisurate alle economiche
possibilità dei soci stessi e non possono essere eccedenti gli importi minimi previsti dal
CCNL di competenza, perché anche se previsti in statuto sono da ritenere nulli (art. 2):
d) l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, all’occorrenza, un piano di crisi
aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e
siano altresì previsti: la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici
integrativi di cui al comma 2, lettera b), dell’articolo 3; il divieto, per l’intera durata del
piano, di distribuzione di eventuali utili;
e) l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, nell’ambito del piano di crisi
aziendale di cui alla lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci
lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità
finanziarie;
2. Salvo quanto previsto alle lettere d), e) ed f) del comma 1, il regolamento non può
contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto ai trattamenti retributivi ed alle
condizioni di lavoro previsti dai contratti collettivi nazionali di cui all’articolo 3. Nel caso
in cui violi la disposizione di cui al primo periodo, la clausola è nulla.
Lo stesso interpello al ministero aggiunge:
Il Ministero del Lavoro, con interpello n. 7 del 6 febbraio 2009, ha risposto ad un quesito
dell’Unione Nazionale Cooperative Italiane sulla possibilità, in presenza di crisi aziendale,
di un differimento temporale nella fruizione di ferie, permessi, ROL, ex festività, 13° e 14°
mensilità e TFR.
In particolare il Ministero del lavoro ha affermato:
…. Al riguardo va richiamata anche la disposizione contenuta nel comma 2 dell’articolo 6
della Legge in esame la quale, nello stabilire il principio generale dell’inderogabilità in
pejus del trattamento economico minimo di cui all’art. 3, comma 1, prevede esplicitamente
alcune eccezioni tra cui proprio quelle conseguenti alla deliberazione del “piano di crisi
aziendale”.
Queste due ipotesi, però, presuppongono in primo luogo l’esistenza di un regolamento della
cooperativa ai sensi dell’art. 6 della L. n. 142/2001 (in merito all’impossibilità di ricorrere
agli istituti in esame in assenza del regolamento questo Ministero si è già espresso con circ.
10 marzo 2004, n. 10) e in secondo luogo la legittima deliberazione da parte dell’assemblea
di un “piano di crisi aziendale” che disponga anche ai sensi ai sensi dell’art. 6, comma 1,
lettere d) ed e) della stessa legge.
Questa deliberazione ha dunque natura e carattere di eccezionalità e si collega
eziologicamente ad una oggettiva e riconoscibile situazione di crisi. Al riguardo, quindi, si
ritiene che, al fine di evitare possibili abusi a danno dei soci lavoratori, la deliberazione
del “piano di crisi aziendale” debba contenere elementi adeguati e sufficienti tali da
esplicitare:
– l’effettività dello stato di crisi aziendale che richiede gli interventi straordinari consentiti
dalla legge;
– la temporaneità dello stato di crisi e dei relativi interventi;
– uno stretto nesso di causalità tra lo stato di crisi aziendale e l’applicabilità ai soci
lavoratori degli interventi in esame.
Con riferimento, dunque, al ricorso a ciascuna delle ipotesi di gestione della crisi aziendale
da parte della società cooperativa, si deve però precisare quanto segue.
L’ipotesi prevista dall’art. 6, comma 1, lett. d), ha ad oggetto solo la “possibilità di
riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2, lettera b),
dell’articolo 3” e cioè del ristorno.
Invece, l’ipotesi prevista dall’art. 6, comma 1, lett. e), concerne il conferimento di “forme
di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi”.
Pertanto, non potendosi escludere, secondo la lettera della legge, la legittimità di un
conferimento economico disposto dalla delibera assembleare che ad es. preveda il
conferimento di parte della retribuzione attraverso la riduzione della retribuzione anche
sotto il minimo di cui all’art. 3 comma 1, si ritiene però che la cooperativa debba
comunque procedere con trasparenza, nel rispetto delle regole democratiche della
deliberazione assembleare, garantendo la leale e corretta informazione preventiva a tutti i
soci lavoratori in merito agli effetti retributivi della adozione della delibera del piano di
crisi aziendale. Inoltre, si precisa che l’art. 6, comma 1, lettera e), vincola la legittimità del
conferimento del socio lavoratore al fatto che esso sia determinato “in proporzione alle
disponibilità e capacita finanziarie” del socio lavoratore stesso, nel senso che, in
assonanza con la lettera dell’art. 53 della Costituzione che per altra materia richiama i
principi di proporzionalità e di progressività, l’entità dei sacrifici economici deve essere
rapportata nel “quantum” alla capacità economica dei singoli soci lavoratori.
Si ritiene poi che le due disposizioni, entrambe giustificate dall’ipotesi di “piano di crisi
aziendale” deliberato dall’assemblea, debbano comunque essere lette l’una alla luce
dell’altra, al fine di valutare le peculiarità di ciascuna. Infatti, mentre nel caso dell’art. 6,
comma 1, lettera d), il socio lavoratore affronta una vera e propria perdita retributiva per
tutto il perdurare della crisi, che però è espressamente limitata nel quantum ad una
riduzione “dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2, lettera b), dell’articolo
3”, l’“apporto anche economico” di cui alla successiva lettera e) può incidere anche sui
trattamenti retributivi minimi, così come previsto dall’art. 6, comma 2.
Secondo la lettura sistematica proposta dunque e sempre al fine di evitare possibili abusi a
danno dei soci lavoratori, si ribadisce il carattere di eccezione della norma in esame, nella
parte in cui consente deroghe al “trattamento economico minimo” previsto dalla
contrattazione collettiva e dunque l’impossibilità dell’estensione analogica delle ipotesi
legali, nonché conseguentemente delle disposizioni del regolamento della cooperativa che
ne costituiscono l’attuazione.
Con riferimento poi alla deliberazione del piano di crisi, inoltre, in risposta al quesito
inerente la possibilità di ricondurre detto strumento alla disciplina della L. n. 223/1991, si
precisa che quest’ultima regolamenta le modalità e gli strumenti per fronteggiare le
conseguenze sul piano sociale dei casi di crisi aziendale. Si tratta di una disciplina generale
che non rileva nel caso dell’esercizio, da parte dell’assemblea dei soci lavoratori, della
facoltà di formulare un piano di crisi, uno strumento societario, cioè, non riconducibile alle
procedure di ammortizzazione sociale di cui alla L. n. 223/1991.
Il predetto piano di crisi aziendale consiste, dunque, in uno strumento di natura
prettamente endo-societaria con il quale i soci, riuniti in assemblea, decidono le soluzioni
da adottare per far fronte alle difficoltà emergenti, riconoscendo all’assemblea della
cooperativa la più ampia libertà di intervenire per preservare il benessere economico ed i
livelli occupazionali della società. Diversa situazione si pone quando l’impresa cooperativa
opta per utilizzare le procedure di cui alla L. n. 223/1991 per dichiarare lo stato di crisi. La
possibilità è prevista dalla citata Legge anche per imprese cooperative che dovranno, in
base ai criteri di approvazione dei programmi di crisi aziendale di cui al D.M. 18 dicembre
2002, attivare le corrette procedure del caso.
Il peso finanziario che lo Stato è chiamato a sobbarcarsi con l’erogazione degli
ammortizzatori sociali comporta che la P.A. intervenga al fine di verificare la sussistenza
delle condizioni per ottenere l’integrazione salariale.
Infine, per quanto concerne la richiesta di chiarimenti sui provvedimenti che possono
essere adottati dal personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro si precisa che –
fatta salva la competenza del Ministero dello sviluppo economico per quanto attiene i
requisiti e la situazione economica e gestionale delle cooperative – detto personale, anche
in tale ambito, esercita le proprie competenze in materia di lavoro e legislazione sociale ai
sensi degli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 124/2004 come nei confronti della generalità dei datori di
lavoro.
Dall’interpretazione della norma ricaviamo quindi:
1. la temporaneità dello stato di crisi e delle conseguenti misure adottate;
2. l’effettivo stato di crisi oggettivamente dimostrabile e nesso di casualità tra le misure
adottate e la causa di tale stato imputabile ai lavoratori;
3. l’obbligo di presenza di un regolamento cooperativo sullo stato di crisi;
4. l’obbligo della pronuncia dei soci sulle misure da adottare e della comunicazione e della
trasparenza tra le parti;
5. la possibilità di ricorrere alla sospensione temporanea dei trattamenti integrativi dei
lavoratori (ben si noti, è temporanea, indi per cui deve essere individuato l’arco temporaneo
di applicazione e non può essere indefinito o illimitato, pena la sua nullità) senza andare
sotto i limiti del CCNL di appartenenza (anche qui, pena la nullità);
6. la possibilità di un apporto economico del lavoratore allo stato di crisi anche oltre i limiti
del CCNL in proporzione alle effettive capacità economiche di ogni lavoratore, ma
esclusivamente sotto forma di apporto, (quindi come forma di conferimento al capitale
aziendale e non come riduzione salariale), se deliberato dalla stessa assemblea soci e previa
comunicazione alla medesima e nella massima trasparenza sempre in una ottica di
eccezionalità e quindi non sistematica e prolungata (n.b.: si riferisce alla parte retributiva
della componente lavoro, ma non a quella contributiva, che deve quindi rimanere inalterata).
Infine a nostro parere, appare rilevante nella genesi delle criticità portate alla nostra
attenzione, l’espansione delle nuove metodiche produttive riconducibili ai processi di
internazionalizzazione. Questi vedono nella modalità di distribuzione degli appalti un
sempre crescente ricorso a logiche di contenimento dei costi che incidono sul prezzo del
lavoro e generano difficoltà delle ditte appaltatrici di sostenere il rischio aziendale a fronte
dei ricavi delle multinazionali straniere. Tutto ciò unito all’abbandono del percorso dell’
Accordo Quadro nel Petrolchimico di Ferrara in relazione alle attività di appalto siglato nel
2002 e il mancato rinnovo ed estensione del Dicembre 2008. Riteniamo utile sollecitare
tutte le istituzioni e le parti competenti in materia, affinché parta una riflessione utile a
recuperare nuove misure di intervento sul mercato del lavoro locale in modalità concertata e
trasparente per le quali in nostro gruppo politico è già come evidente operativo.
Vittorio Ferraresi Deputato Capogruppo Commissione Giustizia Portavoce M5S
Ilaria Morghen Consigliere Comunale Componente Commissione III–IV Portavoce M5S

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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