Parole e figure /
Poesie della casetta – Strenne Natalizie
Tempo di lettura: 6 minuti
“Poesie della casetta”, della collana ‘Parola magica’ della casa editrice milanese Topipittori ci porta nel magico mondo dell’infanzia e della solitudine della natura
Le poesie-racconti di Rita Gamberini, illustrate da Irene Penazzi – “Poesie della casetta”, edito da Topipittori – ci portano in un ondo magico, di quelli che sogniamo non solo a Natale ma durante tutto l’anno, se non durante tutta la vita stessa.
Ci sono, in queste pagine, le cose umili, piccole e semplici, i tenerissimi ricordi d’infanzia: animali, piante, oggetti, normali eventi quotidiani come una passeggiata, un incontro sul sentiero, un silenzio, un breve scambio di parole, un nido in costruzione, la stufa accesa… Ognuna di queste cose è e diventa parte fondamentale ed essenziale di un mondo privato, una casa di campagna che è rifugio, ma anche osservatorio a cui affacciarsi per incontrare il ‘fuori’ e i suoi straordinari abitanti. Solitudine, bellezza e libertà.
Tutto diventa occasione per un’esperienza di incanto e di meraviglia in cui si mescolano pensieri e sentimenti, memorie e fantasie, dove la natura ha un posto fondamentale. C’è magia in ogni riga, in ogni pagina, in ogni disegno. Appunti presi su quaderni, note. “Ho scritto tanto, pagine e pagine su quaderni, piccoli taccuini, foglietti” dice Rita Gamberini in una sua nota. “Un’esperienza di libertà e solitudine. Raccontini stretti in un paio di fogli e scritti poetici come le nuvole che incombono scure o passano chiare e leggere. Poi è arrivata ‘la casetta’, quella dove vivo, ai limiti di un bosco”, continua. “Ed è arrivato anche Billy, il mio segugio a scuotere il silenzio. Alla casetta ci si arriva andando piano, se non si vuole finire cappottati in mezzo a un campo, tutta discesa e tutta salita, e un via vai di tutto quello che ha a che fare con il vivere in campagna (prati, boschi, animali, trattori, allevatori, viandanti, rumori, suoni, quiete)”.
Tante allora le sorprese e quello che ci si para davanti. Il piccolo alberello che è un albicocco, detto affettuosamente ‘bicuchin’, lascia il posto a un frassino con su un merlo dal becco giallo. Un affettuoso saluto al cane compare ogni mattina al risveglio, c’è pure Alfonso che gioca a briscola sulla soglia di casa e che si perde, anche se si ostina a dire che sa benissimo dove si trova. Alfonso che non c’è più, come non c’è più la sua Novella che scacciava le mucche dalla soglia di casa.
E poi gli uccellini che fanno compagnia, il cane marrone scuro che esce la sera per l’ultimo giretto quando la notte invita le lucciole a ballare, che si accendono e spengono come le luci di Natale. Il piccolo ghiro caduto dal tetto, il sassetto che brilla riposto e attentamente conservato come un cuore da cui scocca una scintilla. L’albero del bosco che non è mai solo e che si specchia nel cielo, il vagare nel bosco calmo senza pensieri, chiamando a raccolta solamente le cose che si possono portare con sé, come qualche fiore o un po’ di stecchi. Mentre lo scoiattolo fa omaggio di un rapido e cortese saluto. Passeggiare …
Continuare così a passeggiare
in mezzo alla campagna
stupidamente assorta nell’erba intirizzita
avere le visioni di quelli che, camminando
si allontanano e anch’io andare più lontano
girando intorno ai muri delle case
le più disabitate dov’è il silenzio
più vocale il suono dei pensieri
fino al freddo scendere di grigie rudezze
che si desidera tanto di rientrare
ridiventare noi che tanto
ci siamo abbandonati all’aria intorno.
Tornare a casa e, il giorno di Natale, bere un caffè morbido, dopo aver arieggiato il cortile, spazzato la casa e preparato la stufa, dopo aver fatto legna. Calore.
Se il mio amore per te fosse un animale
sarebbe creatura primitiva che corre
sopra piste accidentate e nulla lo trattiene
lo ammaestra, solo stanchezza
e sete lo riportano a casa
a cercare riparo sulla soglia
cedere a un pisolino, poi ritornare
attento, sollevare la testa
guardarmi e dire: Noi siamo tempesta.
E ancora lucciole che si (ri)posano la notte, il codirosso spazzacamino che mette su casa. Cicale da zittire, ora parliamo noi, i racconti di piccoli uccellini che lasciano il nido. Silenzio e tanta nostalgia.
Il cappellino imbottito e alla moda è importante, ripara dalla pioggia, come gli amici, il collare ha la medaglietta con il numero di telefono, anch’essa è importante. E poi il legnetto, fa giocare il cane, serve per accendere la stufa e sorregge lo stelo di un fiore. Le scarpette ti portano in giro, ti permettono di ballare e fare bella figura, di correre, di battere un record. Le lacrime ti fanno passare il nervoso.
Ogni cosa, anche piccola, ha la sua importanza. Tempo di osservare e pazienza.
Spazio alla libera immaginazione. Il lettore ci si ritrovi e sogni.
E, infine, ci sono le nuvole basse che accarezzano la terra, le mele renette rosse che stuzzicano l’appetito, il vestito del camminatore, lo straniero che bussa alla porta, l’orto d’inverno con ile sue verze spettinate, il cavallo che scappa, il cacciatore senza fucile, la casetta fuori dal mondo e la neve candida che arriva…
Una casetta fuori dal mondo
al margine del bosco
sentieri e sassi
le mucche al pascolo
i cani ad abbaiare
i trattori ad arare
le querce agitate dal vento
le mele antiche
i fiori rari
farfalle formichine
lucciole rane cicale grilli
istrice tasso topino di campagna
rapaci del giorno e della notte
cinghiali caprioli, persino il lupo
è passato di qua a creare scompiglio.
Parola d’ordine: fare attenzione
avere cura di questo mondo, senza eccezione.
Ma non finisce qui.
Alla casetta arriva anche il mondo lontano:
disordine nel cielo, battaglie sulla terra
non c’è la pace, ma come fare per battere la guerra?
Possiamo ragionare, darci da fare
metterci in testa una cosa sola:
che è sempre meglio usare la parola
Il bello della neve
è che non fa rumore.
Vai a dormire che non c’è
ti svegli e tutto è bianco.
Oh, ma quanta ne è caduta?
Si è attaccata ai rami, ancora ne cadrà.
È neve farinosa, presto si scioglierà
ne è venuta una scarpa o si sprofonderà
fino al ginocchio? Facciamo un bel pupazzo
abbiamo la carota per il naso.
Prendiamo lo slittino
mettiamoci i moon boot
montiamo le catene?
Restiamo un poco a letto, ci conviene.
Rita Gamberini è nata il 18 luglio 1954, a Pavullo nel Frignano, dove vive in una casetta tra le colline dell’Appennino modenese. Laureata in Pedagogia all’Università di Bologna, si è dedicata a teatro, giornalismo e impegnata in attività politica. Ha svolto per anni il ruolo di operatore culturale e di responsabile dei servizi alla persona nella pubblica amministrazione. Da alcuni anni collabora al blog dei Topipittori che l’ha portata a tornare alla scrittura rivolgendo lo sguardo alla forma poetica, con la raccolta Poesie della casetta.
Irene Penazzi nasce a Lugo di Romagna nel 1989 e si forma all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Autrice e illustratrice, il suo albo di esordio, Nel mio giardino il mondo (Terre di mezzo Editore), è selezionato nella International Ibby Honour List 2020. Collabora con case editrici italiane e straniere ottenendo riconoscimenti internazionali.
Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara
Simonetta Sandri
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.
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Francesco Monini
direttore responsabile
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