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È comune che chi non si sente a proprio agio con alcune teorie scientifiche applichi la propria cartina tornasole ideologica a un’area di indagine. Spesso il punto di partenza è l’idea sbagliata che, se gli scienziati raccogliessero sufficienti prove, potrebbero provare al cento per cento una teoria; ma in realtà è sempre possibile che qualche dato futuro la possa confutare. Gli scienziati quindi devono ammettere che anche le loro spiegazioni più forti non possono essere offerte come verità, ma come credenze giustificate dalle prove. Questa presunta debolezza è spesso sfruttata per far perdere di autorevolezza le scoperte scientifiche. A volte non si tratta di semplice rifiuto personale nel credere a qualche teoria, ma di veri e propri attacchi costruiti e programmati da gruppi che vogliono rendere poco credibili teorie contrarie ai loro interessi, anche se si è già giunti ad un comune consenso da parte della comunità scientifica.
Secondo Pascal Diethelm e Martin McKee in Denialism: what is it and how should scientists respond?(2009), il negazionismo scientifico presenta cinque caratteristiche distintive; ogni singolo caso può averne solo alcune, o ciascuna in misura diversa, ma sono ricorrenti e occorre conoscerle. La prima è una variante della teoria del complotto, “l’inversionismo”, ovvero quando il gruppo che effettivamente sta tramando un complotto addita tale colpa a chi sostiene la tesi che vogliono demolire.
La seconda è “chiamare in causa falsi esperti”, ovvero individui che pretendono di essere esperti in una particolare area ma le cui opinioni sono del tutto incoerenti con le conoscenze consolidate; ciò è spesso integrato dalla denigrazione di esperti e ricercatori affermati.
La terza è la “selettività”, ovvero scegliere un singolo contenuto (ad esempio un articolo) che vada nel senso contrario al consenso generalizzato su un tema e usarlo per rifiutare il complesso dei risultati delle ricerche condotte.
La quarta è “la creazione di aspettative impossibili” su ciò che la ricerca può offrire, cioè ciò che si è accennato sopra: pretendere un grado di certezza che è estraneo alla pratica e al linguaggio degli scienziati, continuando così a illudersi dell’assenza di un consenso. Infine, la quinta è l’uso di false dichiarazioni ed errori logici, come l’uso di argomenti-fantoccio, false analogie, attacchi ad hominem, ecc.

In genere la negazione della scienza è lanciata da chi ha qualcosa da perdere in senso economico o ideologico e proseguita anche da coloro che vengono coinvolti nella campagna di disinformazione. Ari Rabin-Havt nel libro Lies, Incorporated (2016) tratta di post-truth politics, considerando come l’attività lobbystica e le menzogne finanziate dalle imprese abbiano influenzato le posizioni politiche sul cambiamento climatico, le armi da fuoco, l’immigrazione, l’assistenza sanitaria, il debito pubblico, la riforma elettorale, l’aborto e il matrimonio gay. Il libro comincia con un caso esplicativo, che è quello della lotta a favore del fumo.

La storia di questa lotta iniziò il 15 dicembre 1953, quando i capi delle quattro principali compagnie di tabacco dell’epoca (American Tobacco, Benson & Hedges, Philip Morris e US Tobacco) e i CEO di RJ Reynolds e Brown & Williamson si riunirono al Plaza Hotel di New York City per capire cosa fare alla luce di un disastroso articolo scientifico pubblicato da poco, che collegava il catrame delle sigarette al cancro nei topi di laboratorio. L’articolo attirò un’intensa attenzione da parte dei media e mise in luce i rischi per la salute associati al fumo. Tale ipotesi era già stata formulata negli anni Dieci del Novecento; i risultati divennero però più conclusivi tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Le compagnie di tabacco avevano sempre studiato come rubarsi i clienti a vicenda, ma il leader del summit John Hill (fondatore della leggendaria azienda di pubbliche relazioni Hill & Knowlton) consigliò di assumere un approccio unitario per combattere la scienza, attraverso la sponsorizzazione di messaggi “pro-sigaretta” utilizzando la parola “ricerca” per dare la parvenza di una contro-argomentazione scientifica. Così Hill & Knowlton delineò un piano redigendo un white paper.
Le compagnie di tabacco finanziarono l’iniziativa attraverso il neocostituito Tobacco Industry Research Committee (TIRC).

Nel gennaio 1954 venne pubblicato un annuncio pubblicitario (cit. in Rabin-Havt, 2016, p. 36) in più di quattrocento giornali statunitensi, che affermava:
“1. Che la ricerca medica degli ultimi anni indica molte possibili cause di cancro ai polmoni.
2. Che non c’è accordo tra le autorità su quale sia la causa.
3. Che non ci sono prove che il fumo di sigaretta sia una delle cause.
4. Che le statistiche che pretendono di collegare il fumo di sigaretta con la malattia potrebbero applicarsi con uguale forza a uno qualsiasi dei molti altri aspetti della vita moderna. Infatti la validità delle stesse statistiche è messa in dubbio da numerosi scienziati”.
L’annuncio proseguiva descrivendo le attività del gruppo:
“1. Stiamo promettendo aiuto e assistenza allo sforzo di ricerca in tutte le fasi dell’uso del tabacco e della salute. Questo aiuto finanziario congiunto andrà ovviamente ad aggiungersi a quanto già fornito dalle singole società.
2. A tal fine stiamo costituendo un gruppo industriale misto composto inizialmente dal sottoscritto. Questo gruppo sarà conosciuto come COMITATO DI RICERCA DELL’INDUSTRIA DEL TABACCO (TIRC).
3. Responsabile delle attività di ricerca del Comitato sarà uno scienziato di impareggiabile integrità e di fama nazionale. Inoltre ci sarà un comitato consultivo di scienziati disinteressati all’industria delle sigarette. Un gruppo di illustri uomini della medicina, della scienza e dell’istruzione sarà invitato a prestare servizio in questo consiglio. Questi scienziati consiglieranno il Comitato sulle sue attività di ricerca”.

Secondo Hill & Knwolton il messaggio raggiunse più di 43 milioni di persone. Come possiamo vedere, già in questa prima pubblicità è presente la quarta caratteristica del negazionismo scientifico, ovvero puntare sulla mancanza di certezze assolute e creare una falsa controversia, convincendo i media che esistono due lati della storia, generando confusione nel pubblico e dissuadendo i politici dal danneggiare gli interessi economici dei produttori di tabacco. Se leggiamo i resoconti più dettagliati possiamo vedere come nelle varie azioni della campagna siano presenti tutte e cinque le caratteristiche.
Le attività del TIRC continuarono fino al 1964, quando i dati scientifici contro il fumo divennero così convincenti che ogni pacchetto di sigarette dovette applicare il famoso avvertimento. Il TIRC però si trasformò nel Council for Tobacco Research, che continuò a operare fino al 1998, anno in cui chiusero come parte di un accordo da 200 miliardi di dollari che li proteggeva da future cause legali. Meno di un decennio dopo, le compagnie di tabacco sono state ritenute colpevoli di frode ai sensi dello statuto federale sulle truffe (RICO) per aver cospirato per nascondere ciò che si sapeva sul fumo e cancro già dal 1953.
Tuttavia ormai le strategie usate da queste compagnie erano chiare nella loro efficacia, e così vennero riciclate durante le successive battaglie, tra cui quella contro il cambiamento climatico.

Sul tema puoi leggere:
Diethelm, P. e McKee, M. (2009). Denialism: what is it and how should scientists respond?, European Journal of Public Health, 19 (1), 2–4, DOI: https://doi.org/10.1093/eurpub/ckn139.
McIntyre, L. (2018). Post Verità. Trad. it. di A. Lanni. Torino: UTET Università, 2019.
Rabin-Havt, A. e Media Matters for America. (2016). Lies, Incorporated: The World of Post-Truth Politics, Trad. mia. New York e Toronto: Anchor Books.

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Vittoria Barolo

Dagli studi classici alla laurea in comunicazione. Una giovane che ricerca la sua strada, tra il fascino per la sua terra, il Polesine, e un occhio di riguardo per l’ambiente. Le piacciono i cani, il cioccolato, le foto e le piante carnivore.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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