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11 aprile 1945
Viene liberato il campo di concentramento di Buchenwald

Aprile del 1945: la guerra, dentro i confini europei, sta volgendo al termine. La Germania nazista è già sotto assedio: le truppe USA e Alleati arrivano da Ovest, mentre le truppe sovietiche da Est: destinazione Berlino.
Proprio in quei giorni le si scoprono con orrore decine di campi di concentramento. Emergeva così per la prima volta la tremenda realtà dei campi di sterminio nazisti, nei quali erano ammassati, oltre agli ebrei, oppositori politici, Rom e Sinti, testimoni di Geova.
Nei campi erano rinchiusi anche gli omosessuali. A partire dal 1935 furono più di 100 mila in Germania gli omosessuali arrestati, di questi, circa la metà fu mandata nei campi di concentramento. Ne morirono circa 10mila, ma le cifre a riguardo sono incerte. La persecuzione e lo sterminio dei ‘deviati’ omosessuali è una storia poco conosciuta, a ragione definita l’omocausto dimenticato.

Questo stesso giorno, l’11 aprile 1945, le truppe americane ,che erano già in Germania da febbraio, raggiunsero il campo di concentramento di Buchenwald, nella Germania centrale, non troppo distante da Weimar.

Buchenwald – il campo prendeva il nome dall’omonima collina sul quale era stato eretto – fu istituito nel luglio 1937 e fu uno dei più grandi campi della Germania nazista, e sicuramente uno dei più duri per gli omosessuali che ne ospitava tra i 700 e gli 800. Tra i tanti esperimenti portati avanti, c’era una ‘ricerca’ sulla cura ormonale dell’omosessualità.
Il medico SS danese Carl Peter Vaernet, sulla base di presunti studi scientifici, ipotizzò che si potesse curare l’omosessualità impiantando massicce dosi di testosterone sui deportati ‘deviati’. L’esperimento, condotto a partire dal luglio del ’44  causò la morte di centinaia di omosessuali.

Pochi giorni prima dell’arrivo del contingente americano, i soldati tedeschi di guardia abbandonarono il campo ancora pieno di deportati. I detenuti organizzarono il campo in autogestione fino all’arrivo degli Alleati, sopravvivendo a stento. .
La gioia che seguì la liberazione fu immensa per migliaia di prigionieri, ma per centinaia di detenuti omosessuali i festeggiamenti sarebbero durati poco. Terminata la guerra, per questi uomini l’orrore continuò. Infatti, il fatidico paragrafo 175 della legge nazista del 1937 non venne abrogato nella nuova Germania. I detenuti omosessuali, che a Buchenwald erano stati contraddistinti con il triangolo rosa, furono fermati e costretti a continuarono la loro detenzione nelle carceri tedesche.

Negli anni successivi si parlò a lungo di compensazioni e risarcimenti per i deportati nei campi di concentramento. In molti  ottennero un risarcimento in denaro per la tremenda tortura ai quali furono sottoposti, ma i “triangoli rosa” rimasero fuori da ogni opzione, niente risarcimento e nessuna commemorazione. Alcuni riuscirono ad evitare il carcere dopo il ’45. Questi però si ritrovarono in grandi difficoltà a causa dell’iscrizione nel casellario della polizia. A differenza degli altri deportati, che furono cancellati dal casellario subito dopo la guerra, i registri nazisti sui quali venivano segnati gli omosessuali furono sfruttati dal nuovo governo tedesco per trovarli e incarcerarli.

Molti sopravvissuti non riacquistarono mai la libertà, morirono in carcere, quelli non incarcerati vissero emarginati dalla società dei ‘normali’ Nessuno ricevette un risarcimento. Il paragrafo 75 rimase in vigore a lungo dopo la fine della guerra. Solo dagli anni Sessanta in poi le autorità della Germania Occidentale cominciarono a depotenziare questa legge. Dopo anni di battaglie, la cancellazione definitiva arrivò solo nel 1994.

Nonostante l’eliminazione della legge, ci volle ancora tempo prima che gli omosessuali ricevessero lo stesso trattamento degli altri deportati. Nel 2002 venne concesso il ‘perdono’ agli omosessuali arrestati durante il Terzo Reich, senza però nominare la repressione che la Germania portò avanti dopo il ’45. I familiari delle vittime, ormai quasi tutte decedute, dovettero aspettare il 2017 per ricevere i risarcimenti.

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Filippo Mellara

Abito a San Lazzaro (BO) e sono uno studente universitario di scienze della comunicazione. Impegnato socialmente nel cercare di creare un futuro migliore, più equo e giusto per tutti. Viaggiatore nel mondo fisico e spirituale, ritengo che la ricerca del sé sia anche la ricerca del NOI. Cresciuto tra Stato e Rivoluzione e Bertolt Brecht.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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