La Seconda guerra mondiale attraverso i ricordi di Renzo Rossi, classe 1935, poeta e giornalista romagnolo
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Da: Organizzatori
Con i miei occhi di bambino
Aveva cinque anni Renzo Rossi quando, dal balcone romano di Palazzo Venezia, Mussolini annunciava l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale: era il 10 giugno 1940 e da quella decisione, diffusa in tempo reale nelle piazze italiane dai microfoni dell’Eiar, sarebbero scaturiti immani lutti per l’intera nazione, attraverso una sequenza di drammatici avvenimenti culminati con l’occupazione nazista e la guerra civile.
Le pagine dei libri scolastici dedicate alla Seconda guerra mondiale fissano date ed eventi che la Grande Storia ha scolpito nella memoria del Paese, dalla caduta di Mussolini, all’armistizio, alla nascita della Repubblica Sociale, alla Liberazione per citare solo i più eclatanti: eppure anche i testi più accorti che si sforzano di penetrare la crosta per investigare il riflesso che quelle vicende ebbero sulla carne viva degli italiani, scontano uno scarto di pathos, e non potrebbe essere diversamente, di fronte alle testimonianze di quanti ancora possono narrare quella temperie per esserne stati testimoni diretti. Cosa comportarono, quei lunghi anni di guerra, per gli italiani? Come trascorreva la loro esistenza quotidiana? Quali angosce e speranze la accompagnavano? In che modo la Grande Storia finì insomma per l’intrecciarsi con le abitudine quotidiane ‘delle genti meccaniche, e di piccol affare’, per dirla col Manzoni?
Darà risposta a queste domande, di fronte agli allevi delle classi quinte dell’Istituto Luigi Einaudi venerdì 22 marzo (ore 10,10-12,10, per il ciclo ‘ApertaMente’), proprio Renzo Rossi, poeta, saggista e giornalista romagnolo, che porterà la sua testimonianza di bambino a cui le circostanze belliche imposero di crescere molto in fretta; e davanti ai cui occhi, lui che risiedeva nel cuore della bassa campagna conselicese, tra Ferrara e Ravenna, si dipanava giorno dopo giorno il filo di quegli avvenimenti che, in forma di volta in volta di una camicia nera, di una divisa di un soldato italiano in licenza e del pianto della sua donna, di un Panzer tedesco, di un bombardamento alleato, dell’atto di eroismo di un sacerdote, della fuga di un partigiano attraverso una rete metallica lacerata, facevano intuire il segno della tragedia dell’intero Paese. Saranno quindi due ore, quelle che Rossi trascorrerà con gli allievi dell’Istituto di istruzione Superiore cittadino -ma l’incontro è aperto a tutti coloro che vorranno parteciparvi-, colme di lucidi ricordi di vicende marginali sul piano militare tuttavia significative per comprendere il diffuso universo di esperienze degli italiani di allora.
Renzo Rossi, di Chiesanuova di Conselice, ha svolto un’intensa attività giornalistica come fondatore e direttore del semestrale conselicese “è Bafiòn”, foglio dedicato alla vita paesana e alle sue tradizioni, pubblicato dal 1974 al 2011, che l’hanno portato a essere il collettore delle memorie di un’intera comunità; pubblicista dal 1981, è stato anche collaboratore per la redazione di Ravenna de “Il Resto del Carlino” dal 1966 al 2018, del “Giornale di massa” e de “Il Nuovo Diario Messaggero”. Versato all’impegno sociale per un particolare amore delle sue radici, è stato inoltre tra i fondatori della locale Pro Loco, consigliere comunale per tre legislature e promotore di importanti iniziative culturali, fra le quali quelle che hanno portato, a Conselice, all’edificazione di tre monumenti in bronzo dedicati a mondine e scariolanti, allo storico parroco Don Francesco Gianstefani e all’anfibio ‘rana’, tradizionale simbolo del paese, nonché alla bella scenografia realizzata nel centro storico, in piazzetta Guareschi, e dedicata al Piccolo Mondo di Giovannino Guareschi. Autore di numerosi articoli di taglio saggistico per periodici locali, studioso delle tradizioni e poeta dialettale, Renzo Rossi nel 2013 ha inoltre dato alle stampe il volumetto di liriche “La Vulandra. Poesie in dialetto conselicese”.
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Riceviamo e pubblichiamo
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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