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Ventitré racconti per spiegare a bambini e adolescenti cos’è la violenza di genere, in tutte le sue declinazioni. Per fare capire loro che bisogna evitarla non per paura di essere ‘puniti’, ma perché è sbagliata, punto e basta. Perché è innaturale, punto e basta. Perché la nostra compagna di banco e di vita va rispettata, punto e basta. Li hanno scritti 23 autrici di favole e sono raccolti nel libro Chiamarlo Amore non si può, edito per i tipi Mammeonline. E se il nome della piccola casa editrice di Foggia rimanda alla cultura digitale, va detto invece che il testo è di carta, pronto per essere sottolineato, bistrattato con le pieghe agli angoli delle pagine, consumato. Perché la vera sensibilizzazione, come spiega Donatella Caione, responsabile della casa editrice, passa per la cultura. E attecchisce tanto di più se ad assimilarla sono i ragazzini di oggi, gli adulti di domani. Capovolgendo una prassi consolidata per cui gli adulti parlano agli adulti, Caione ha deciso che no, il futuro si cambia soltanto se a fare propri nuovi modelli comportamento sono i ‘grandi’ di domani. Presentato nei giorni scorsi alla Sala Conferenze della Camera dei Deputati, del testo (i cui proventi andranno all’Aidos, Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) si stanno occupando tutti i media nazionali. E in corso sono presentazioni nelle scuole dello Stivale perché l’argomento non va esaurito nelle settimane che precedono o seguono le iniziative relative alla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne.
Racconti di fantasia o attinti dalla realtà?
Entrambe le cose, nel senso che ovviamente c’è la fantasia, che si snoda però su vicende forti, di stupri, di botte, di angherie psicologiche. Con un linguaggio ed esempi consoni. Si parla di storie d’amore tra adolescenti, di ‘pressioni’ fatte attraverso i social network per la rabbia causata dall’abbandono. Abbiamo tenuto in considerazione l’età e la sensibilità dei ragazzi, tenendo però in altrettanta considerazione che i nostri figli vengono bombardati ogni giorno dalla cronaca, dai programmi di cronaca nera. Non sono avulsi dalla realtà, al contrario ne conoscono le efferatezze. La narrazione mette in campo tanti fattori, tanti sentimenti, li aiuta a comprendere tanti passaggi. Ogni storia contiene un personaggio positivo, dunque uno spiraglio, una speranza da cui ricominciare.
L’obiettivo?
Le ragazzine debbono realizzare che si può dire no, i ragazzini che non possono pretendere. Bisogna educare i maschi al rispetto dell’altrui corpo, le femmine alla dignità. Bisogna uscire da un concetto di mercificazione per cui anche un prodotto per la pulizia della casa, oggi, viene pubblicizzato grazie a una ragazza seminuda. Il richiamo alla fisicità, alla sessualità, è ovunque. E’ necessario mettere uno stop.
Quindi bisogna ripartire dalla scuola?
Certo, formando anche gli insegnanti, diversamente si mettono in campo solo azioni ‘tampone’. Detto questo, vanno superati anche certi gli stereotipi che la scuola si porta dietro. Un esempio? Nelle immagini di famiglia viene rappresentata la mamma in cucina e il padre in poltrona.
In Italia si legge sempre meno. La sua è una bella sfida…
I libri sono un mezzo straordinario per parlare di ‘bene’, per affrontare argomenti delicati, hanno un grande potere. Basti pensare ai bimbi piccoli, cui la mamma legge le favole, magari sul divano, sotto una coperta. Ecco che il libro diventa l’estensione della mamma e lo si amerà per sempre.
Chiamarlo amore non si può, come va letto?
Anche soli o con i genitori vicini, affinché possano mediare, affinché alla fine i nostri figli non si sentano soli e possano fare domande.
Perché solo autrici donne?
Perché vogliamo divulgare un linguaggio di genere, per darci visibilità, perché si parla di emozioni. E perché quel che non si nomina, non esiste.

Info su casa editrice Mammeonline e possibilità di acquistare il testo per le scuole con una speciale scoutistica

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Camilla Ghedini


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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