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I giovani sono cattivi? Per il “Decreto Caivano”  l’unica ricetta è la punizione.

Che non bastasse l’operazione ad alto impatto (solo mediatico) delle forze dell’ordine di qualche giorno fa a sedare la famelica narrativa interventista del Governo Meloni lo si era capito subito. Così è arrivato il Decreto Caivano [ecco in sintesi le misure approvate, Ndr], un provvedimento puramente propagandistico che non incide in alcun modo su cause di degrado e disagio, se non con un intervento spot a Caivano, comunque sbilanciato sul lato repressivo. Implementa ulteriormente invece il sistema repressivo, colpendo al cuore la giustizia minorile italiana, assecondando la bulimia penale ormai patologia del nostro paese.

Come per il decreto Rave i giovani sono il nemico, le droghe lo strumento, la repressione il fine ultimo.
L’anno scorso il nemico da colpire era già davvero facile da identificare: giovani che ascoltano musica rumorosa e che usano droghe occupando la proprietà altrui senza alcuna autorizzazione. Figuriamo oggi, che sono pure coloro che commettono gli stupri e si riuniscono in baby gang.

Indifendibili, e pure minoranza. Se negli anni 60, 70, 80 e forse pure 90, i giovani rappresentavano una moltitudine capace di far paura alla società, soprattutto quando chiedevano di cambiarla, oggi invece rappresentano una porzione divenuta residuale della popolazione italiana. Sempre facilmente identificabili come nemico – “non ci sono più i giovani di una volta” è il lamento che li accompagna sin da Caino e Abele – sono oggi così marginali da non essere nemmeno un pericolo elettorale.

Così nel decreto Caivano non c’è nessun investimento sulla cultura, sull’educazione sessuale, sulle politiche giovanili: basta un osservatorio sui giovani, badate bene considerati solo perché devianti, e l’estensione dei DASPO ai quattordicenni e più carcere per lo spaccio di lieve entità.
Nessun investimento reale sul sociale e sulla salute, sul lavoro, sulla prevenzione dei NEET (gli inattivi): solo interventi spot, ma arresto in flagranza dei minori per droghe che però poi potranno avere l’alternativa dei lavori socialmente utili. Nessun investimento strutturale sul sistema scolastico e sulle cause della dispersione scolastica: briciole per le scuole del Sud, compensate dal carcere per i genitori.

Il populismo penale permette questo: dare l’apparenza di fare qualcosa, rispondendo ad una legittima domanda di sicurezza, senza dover mettere mano al bilancio e alle politiche pubbliche.
È pura apparenza che per contraltare ha immensi costi sociali, culturali ed economici. Sia in termini di apparato repressivo e di detenzione che di salute e di ricadute sociali e culturali. Oltre che la grande colpa di continuare a criminalizzare i giovani e di cercare di smantellare un sistema, quello della giustizia minorile, che pare funzionare meglio di quello della giustizia ordinaria. Del resto, la giustizia minorile ha il grande difetto – per la destra italiana – di privilegiare l’educazione alla punizione e di considerare come extrema ratio il carcere, che interessa oggi poche centinaia di minori in Italia.
Secondo l’annuale rapporto di Antigone sono solo 380 i giovani detenuti nelle carceri minorili al 15 marzo 2023 (tra questi solo 12 sono ragazze): rappresentano il 2,7% dei ragazzi in carico alla giustizia minorile.

Nel Decreto-legge è previsto anche l’innalzamento delle pene per i fatti di lieve entità: un provvedimento ingiustificato e gratuito che non avrà alcun effetto sulla presenza di spacciatori sulle strade. Questi già vengono arrestati in flagranza e finiscono giudicati, la gran parte in direttissima, con un rapporto complessivo di condannati per processo di 7 a 10. Per gli altri reati il rapporto è 1 ogni 10. Saranno come sempre sostituiti da altri, molti di questi disponibili a correre il rischio anche perché confinati nell’illegalità dalla Bossi-Fini. Avrà invece un pesante effetto sulle nostre carceri (già per un terzo piene di “spacciatori”) per via dell’insensato allungamento delle pene. E soprattutto sulle persone che vi entrano.

Mentre viviamo una vera e propria crisi rispetto ai suicidi nelle nostre prigioni, è inconcepibile far entrare più persone, sempre più giovani, nel circuito detentivo. Il Governo Meloni fa proprio questo, assecondando una tendenza che ha visto già l’anno scorso aumentare del 15% i minorenni accusati di spaccio.

La distinzione fra spaccio “ordinario” e fatto lieve è molto variabile, e ancor più flebile il limite fra lieve entità e possesso per uso personale. Secondo uno studio della Cassazione, pubblicato sul Libro Bianco quest’anno, si può essere condannati per spaccio “ordinario” sin da 0,6 grammi di cocaina, mentre il range per la lieve entità risulta essere tra 0,2 e 150 grammi. Per cannabis il limite inferiore per la punibilità è 0,55 grammi, solo 0,05 grammi sopra la soglia definita dal Testo Unico per il consumo personale.
Certamente dipende dalle circostanze e dal Giudice, ma molto – se non tutto – dalla condizione socioeconomica dell’imputato. Non serve prova dello scambio, è sufficiente la detenzione. Per supporre lo spaccio bastano pochi elementi – contanti, bilancia, a volte la sola pellicola trasparente – presenti in tutte le case. Un’inversione di fatto dell’onere della prova che è difficile affrontare senza un’adeguata difesa.

Mentre le politiche più avanzate, e le stesse agenzie dell’ONU, sollecitano un processo di decriminalizzazione del sistema di controllo sulle droghe, invitando gli Stati a sostituire il carcere con percorsi alternativi risocializzanti, il Governo Meloni fa il contrario.
Il Sottosegretario Mantovano, che il 26 giugno scorso diceva di essere interessato alla persona e non alla sostanza, ha gettato la maschera e nascosto la carota. Poco conta la messa alla prova estesa ai minori, l’unica ricetta è la punizione.

Leonardo Fiorentini
Segretario di Forum Droghe

In copertina: una scena iconica di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick (1971)

Documentazione:

Le misure approvate con il Decreto Caivano

Daspo urbano ai minori

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Leonardo Fiorentini

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
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PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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