Gli occhi di Tina: rivelare la bellezza, denunciare l’ingiustizia .
La mostra a Palazzo Roverella di Rovigo
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Gli occhi di Tina: rivelare la bellezza, denunciare l’ingiustizia. La mostra a Palazzo Roverella a Rovigo, 22 settembre 2023-28 gennaio 2024
Con la ‘scusa’ di rivedere una cara amica, l’attrice e regista di teatro per l’infanzia Maria Ellero, ci siamo date appuntamento a Palazzo Roverella, a Rovigo, alle 11 di domenica 24 settembre. Un incontro previsto da quando abbiamo saputo dell’esposizione della fotografa Tina Modotti, della quale il padre di Maria è appassionato ricercatore, e in questa occasione nostra preziosa guida.
Gianfranco Ellero, storico e biografo, grande conoscitore della cultura locale e non solo, ha curato la ricostruzione degli anni in cui Tina ha vissuto alla periferia della sua stessa città, Udine, dov’è nata nel 1896, nel quartiere di Borgo Pracchiuso, prima di emigrare negli Stati Uniti a diciassette anni.
La storia delle origini di questa artista era stata omessa e trascurata fino a quando il professor Ellero richiamò l’attenzione di biografi e critici, soprattutto americani, con la pubblicazione dell’articolo L’infanzia di Tina Modotti sul suo Corriere del Friuli nell’ottobre 1979.
Dopo il saggio Tina Modotti in Carinzia e in Friuli (1996, Cinemazero ed.), nel 2019 raccoglie altre testimonianze della sua vicenda nell’opera Tina Modotti, La ragazza di Pracchiuso, concentrandosi sulla mostra personale del 1929 a Città del Messico, che consacrò l’audace ragazza friulana come artista, per quanto ella stessa si considerasse “una fotografa, niente di più”, con l’idea di fotografare “onestamente, senza distorsioni o manipolazioni” e utilizzare la macchina fotografica “come uno strumento, il più diretto mezzo per fissare e registrare l’epoca presente, la vita in tutti i suoi aspetti”.
Una ricerca di obiettività che rende l’immagine un documento, con un importante ruolo nel campo dello sviluppo storico e sociale, senza rinunciare alla ricerca di una estetica nella sensibilità espressiva. Gli occhi, quindi, selezionano e rivelano lo sguardo di Tina sulle cose e sulle persone. Restituiscono la bellezza delle forme e delle luci, mettono a fuoco momenti di vita vera di persone e di comunità in movimento negli anni della sua opera (anni ’20 – ’30 soprattutto).
Non si può qui approfondire il racconto di tutte le sue molte vite: operaia bambina in un setificio a Udine, apprendista nello studio dello zio fotografo Pietro Modotti, attrice nel cinema muto hollywoodiano, ispiratrice e amica di artisti come Diego Rivera e Frida Khalo, Pablo Neruda, Gabriel Orozco, David Siqueiros, Robert Capa e Gerda Taro, Hemingway, Antonio Machado, Dolores Ibarruri, Rafael Alberti, André Malraux.
Attivista politica della sinistra e del partito comunista, allieva e compagna di fotografi di rilievo (Edward Weston tra tutti) e di attivisti rivoluzionari (Guerrero, Mella, Vidali), fino alla morte, tuttora misteriosa, in un taxi a Città del Messico, per infarto o avvelenamento. Una vita avventurosa, che aveva lasciato in secondo piano la sua attività artistica, autonoma e originale, riscoperta e valorizzata a partire dalla mostra al Moma di New York, nell’inverno del 1977.
L’essenza del suo sguardo è nelle sue immagini, lì si condensano le sfaccettature della sua vita.
Gli occhi di altri su di lei ce la mostrano affascinante, sensuale, modello della fecondità naturale (nei murales di Rivera ad esempio), o documentano il suo attivismo sociale e politico.
I suoi occhi sul mondo inquadrano aspetti della natura, rose, gigli, steli di bambù o campi di mais, ma anche fili elettrici, strutture architettoniche, oggetti simbolici, dove risultano esaltate la forma e la composizione, con nettezza ed essenzialità. Fotografie che richiamano anche l’astrattismo, a volte vicine alle opere cubiste o futuriste.
Lo sguardo alle persone è più caldo e partecipato, ad esempio nei ritratti delle donne di Tehuantepec (Messico, 1929), ragazze, mamme o anziane, riprese nel contesto della loro vita, rivelando uno stile unico di documentazione socio-antropologica, dove ogni singola immagine rimanda a un significato più ampio e profondo.
E sono gli occhi dei bambini, il lavoro quotidiano delle donne, le fatiche dei più poveri, le mani rugose e i piedi screpolati, dai sandali esausti, le vesti consunte di un uomo seduto a terra, proprio sotto la pubblicità di un’azienda d’abbigliamento per caballeros elegantes, che gridano in silenzio la crudeltà del mondo e insieme la dignità di queste vite dure e semplici, nel ‘fuori fuoco’ della folla di sombreros in cammino per cambiare un destino.
Dice di lei Baltasar Dromundo in occasione della mostra del ’29:
“La rivoluzione è uno stato dello spirito … Il lavoro di Tina Modotti è serio, tenace, silenzioso e ammirato, estratto dallo stesso seno del popolo, dalle profondità dell’animo indio e dallo spirito delle cose moderne” (B. Dromundo, sul quotidiano El Universal, dic. 1929)
Sulla sua tomba a Città del Messico sono incisi alcuni dei versi che Pablo Neruda le dedicò alla sua controversa morte:
“Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura. …
Perché non muore il fuoco”.
Cover: Tino Modotti, Donna a Tehuantepec, Messico, 1929 particolare
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Anna Rita Boccafogli
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