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Electric star

kosmische musik. La musica cosmica ha avuto un enorme influenza sull’elettronica, la psichedelia, il prog, il noise e persino il metal, andando a costituire uno degli arcipelaghi sonori più preziosi e, tuttavia, meno conosciuti della musica contemporanea occidentale.

Non voci né parole, ma un’isola.

Il suono, tutti i suoni, correnti di suono sotterranee. Spiagge e scogli, un fiume e le sue piene e le sue anse, le sue secche. Onde, erbe selvatiche, sulla spiaggia conchiglie e rami. Il fiume, il mare. Onde sonore come le falesie.

Non il linguaggio, non la conoscenza, ma un’isola.

Nessun telefono, rete, device. Nulla se non stelle elettriche, grida di uccelli, sole e luna e giorno e notte, acqua e nubi, falesie di suoni e Betelgeuse, stelle e nessuna voce umana.

Isola in un tempo algoritmico.

Nessuna voce tranne la tua voce, la tua voce che è voce anche senza suono, il troppo pieno del pensiero, pensieri come onde come frattali, un pensiero via l’altro come bolle di fango e di vapore, bolle che affiorano scoppiano e scompaiono via una avanti un’altra, la mente una caldera una solfatara, né spazio né tempo nessuna voce la tua voce un’isola.

E gli attimi di vuoto tra i pensieri. Nella mente una fiamma si divincola – il bordo, il vuoto, il margine.

Cammini sulla sabbia a piedi nudi, disegni il tuo mandala mentre lo percorri. Isola. Tra sabbia e sassi gigli stella.

Chiamala come vuoi, un’isola. Ora d’aria, vuoto, pura contemplazione. Voce che non dice io, voce sciolta dall’io. Voce che è noi e tu, vita che è e non è persona, stella dell’immanenza, luce nera. Chiamala mare, marea risacca tregua dell’angoscia, gioia senza motivo, placarsi dei pensieri e delle bolle, lux sicca, gioia non spiegabile. Luce emergente dalle nubi, dalla nebbia, chiamala come vuoi, chiamala un varco nel reale, chiamala istante, battito o beatitudine, chiamala stella bipolare. Betelgeuse, astro, supernova, nessun nome è importante. Chiamala come vuoi, colonna d’aria, cisterna di suoni. Shantih, gioia anteriore, silenzio che contiene tutti i suoni. La chiamassi anche George, Albertine o Clelia, isola, quest’anguilla il linguaggio, queste squame cangianti – via, via!, come la pelle usata delle bisce. Anguilla che si addentra in mare aperto. Libera. Voce che non è un io, voce che non dice io. Voce che è una voce è una vita.

Così come in terraferma vivi, dissociando la luce dal rumore: che cosa triste fu l’angoscia, che cosa triste è stata la speranza, vita in tempi algoritmici a guadagnarti il pane, il tetto sulla testa, la macchina di pena del linguaggio e l’ordine del discorso, la terra arsa l’orrore antropocenico, andare avanti come puoi meglio che puoi e quante volte sei dentro la nebbia, d’improvviso davanti a un’acqua nera, niente è reale e niente immaginario e sembra pietrificarsi la realtà, senti il tuo sé fuori dal corpo e innanzi a te si frattura il reale, linea di faglia e vuoto interstellare, la realtà ha abbandonato il mondo e resta un astro deserto oppure nebbia, cadi fuori da te, cadi nel come se, che cose tristi furono le cose. Derealtà, nel pieno troppo pieno del reale. In terraferma il gergo senza fine, il ritorno del ritmo, a ogni giorno la sua pena e procurarsi il cibo, il tetto sulla testa, ti attende la caldera e il vasto gergo del mondo, ti attende e ti respinge, la trascendenza tarda come la speranza e come la tristezza triste, come bolle di fango i tuoi pensieri, caldera cratere solfatara.

Ma ora sei qui, isola. Isola deserta, fiume e mare, pura contemplazione, pura contraddizione – ecco, eccoti qui.

Stella dell’immanenza, sguardo mare, isola di respiro tra i pensieri. Libera in mare questa voce cantora, anguilla e Betelgeuse, voce tra spiagge e gigli stella, dive to deep dreams for spei et metus affectus sine tristitia non dantur, senti il battito il flusso, il ronzio il brusio dei pensieri, la radiazione cosmica di fondo. Stella elettrica sopra di te, notte stellata dentro di te, strida di uccelli e l’arnia dei pensieri, il silenzio che alberga tutti i suoni, tutto qui, luce emergente dall’abisso, gioia senza perché, tu al sicuro nel mondo e nell’istante, nel destino del mondo, atomo del piano in cui sta tutto tutti i pensieri le idee i concetti i suoni le bestie le persone i vivi e i morti, i nostri cari qui nel petto, piante colori e musiche e quale miracolo il mondo, non il mondo com’è ma il mondo in quanto è, nastri galassie e costellazioni, trecce armoniche e grappoli di suoni, corone di serpenti e tu spirale sonora, voce come una voce, significanti come rampicanti, tu isola che appare, istante vuoto tra un pensiero e l’altro, vide cor tuum nella notte stellata, gioia in tempi algoritmici. Canta nel tempo cantando a respiro, nel tessuto celeste strana stella.

Per leggere i racconti di Silvia Tebaldi pubblicati su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

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Silvia Tebaldi

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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