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Di ritorno da una importante serata a Mirandola in cui si erano radunate un’ottantina di persone, capeggiate dal sindaco, dall’assessore alla cultura e dal presidente dell’associazione Pico della Mirandola, per ascoltare Portia Prebys e chi scrive relazionare sul Giardino dei Finzi-Contini, il taxista ci riporta a Ferrara verso le 11 di sera.
Imbocchiamo via Terranuova per svoltare poi in via Savonarola e di fronte alla chiesa di San Francesco troviamo un muro di giovani col bicchiere in mano, sguardo fisso, occhio sbarrato, che circondano tre o quattro coetanei incoronati d’alloro. Da lontano un brivido premonitore ci aveva avvertito del rito che si stava compiendo, quando nell’aria notturna si era liberato il gracidio del “dottore, dottore”, che raggiunge il diapason nella parola forse più amata dal popolo ‘itagliano’. Quel vaffa… che imperversa non solo nella politica, ma che diventa parola di culto quando, in seguitissimi spettacoli, celebri star di stanza permanente nei salotti televisivi lo intonano riferendolo a signore anche anziane tra gli scroscianti e convinti applausi della platea.

Tentiamo un primo passaggio, ma lo sguardo vacuo e leggermente minaccioso della ‘meglio gioventù’ ci avverte di non insistere. Pazientiamo per un po’ e l’autista Nicola, che ha compiuto i suoi studi e l’Università proprio a ‘Ferara’, un centimetro alla volta riesce con laboriose manovre ad aprirsi un varco nel muro umano. Il silenzio tombale dei poveretti abitanti nelle case circostanti ci dice che ormai quelli sono il modo e la maniera inestirpabili del rito della raggiunta maturità(!). Intendiamoci non sono né un fustigatore dei costumi né tanto meno un nostalgico del tempo passato, quando per i maschi la festa di laurea si concludeva nei casini e le giovani al massimo organizzavano una ‘festina’ nei ‘baladur’ in zona. Celebre ‘Le due fontane’ ribattezzate ‘Le due pompe’.
Ciò che urta la mia antica sensibilità è la volgarità e il conformismo delle scelte, di queste scelte, che riducono i giovani allo stato di pecore con susseguente deposito di deiezioni nel muro dell’antica e bella chiesa. Il bicchiere in mano, lo sguardo impenetrabile, la barbetta minacciosa, la scollatura procace, il belletto cadaverico che contrasta con le labbra color sangue.
Poi, forse, se diventeranno persone impegnate, lavoratori convinti (se troveranno lavoro), genitori modello in qualche momento ricorderanno quel rito con nostalgia o vergogna.
Quello che contesto è il conformismo nel perseguire modelli non solo obsoleti, ma francamente stupidi, legati a un’idea di goliardia che non dovrebbe esserci più o si sarebbe dovuta adeguare a tempi ben diversi, quando ormai la forza dirompente del ‘vaffa…’ diventa triste memoria di una sua vitalità ormai scomparsa. E si veda la parabola del Grillo nazionale.
Così quando per ragioni di percorso dopo mezz’ora ripetiamo la stessa ‘manfrina’ stancamente mi adeguo e secondo la prassi americana di fronte al muro umano alzo il dito medio. Non serve a nulla in quanto quegli sguardi non vedono in quanto tutti sono presi dal loro narcisismo nel celebrare il rito. Scrive Denise Pardo su ‘L’Espresso’: “Ora, l’aria da sorci verdi del tempo sta rendendo il “vaffa”, il deprecato grido di battaglia dei grillini quasi un “poffarbacco” contemporaneo. O forse si è fatta l’abitudine al genere e questo è di nuovo un segno malefico”

La città della cultura frattanto tenta di adeguarsi alla improrogabile e agognata promozione della Spal in serie A. Mentre le minacciose grida degli sportivi che invocano l’apertura di non so quale gradinata portano la polverizzazione dei biglietti per partite fondamentali si tenta di programmare un nuovo volto del quartiere che ospita lo stadio.
Chissà se nella mia tarda età riuscirò a vederne qualche frutto.
Si apre il salone del Restauro e dei Musei. Fa bene al cuore vedere turisti che fotografano non le vetrine delle leccornie o intenti a farsi selfie spiritosi, ma i monumenti della città, spesso quelli meno reclamizzati. Tra le proposte non sempre condivisibili sul binomio ormai imprescindibile cultura-economia il Salone dimostra una vitalità davvero convincente. Venerdì parteciperò alla giornata dei Musei e la proposta dei temi sembra davvero allettante.
In questa primavera che segue un inverno primaverile sembra che i luoghi della mente e dello spirito siano i più bersagliata dalla follia.
Ultimo: l’attacco al Parlamento di Londra. E un pensiero mi tormenta. Non sarà che il concetto di imitazione produca danni irreversibili alla cultura, alla società, alla democrazia?
Un discorso forse ingenuo che, tuttavia, induce alla riflessione, specie su fatti minori come il muro umano di giovani col bicchiere in mano.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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