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Anche se è abbastanza evidente, premetto che questi miei diari estivi non hanno l’ambizione di essere né inchieste, che andrebbero minimamente documentate, né opere letterarie che andrebbero meditate e rilette, ma semplici note “un po’ colorite” per un benevolo pubblico di amici: lo dico perché m’imbarazza sempre l’atto del pubblicare. Ogni volta è un brivido premere il tasto invio e rischiare di aver sottovalutato le conseguenze emotive di un passaggio, magari innamorandomi di una battuta di spirito o di un aggettivo che suona bene.

ANDARE PER STRADA E ASCOLTARE LA VITA
Roma, 31 luglio 2019

Avevo cominciato bene, da ragazzo, imparando che il modo migliore per rendersi conto di ciò che si sta vivendo, fosse leggere libri e ascoltare il popolo.

All’epoca non usavo questa parola, che era il nome dell’organo della DC, mi piaceva di più il proletariato o al limite, i poveri.

Andavo in giro per quartieri a me sconosciuti (vivevo a Porta Metronia e i miei erano insegnanti) e con la scusa di dare un volantino entravo nelle case popolari o nelle baracche o davanti alle fabbriche e ascoltavo le vite e i problemi delle persone che mi aprivano la porta, tornando a casa ubriaco di Sambuca e Amaro Cora.

Poi vennero i tragici anni di piombo e i patetici anni ’80 e cominciai a conoscere il mondo solo attraverso la televisione e i giornali.

Nelle case non entravo più, nessuno si fidava e i volantini erano finiti.

Alla tv non parlava più il popolo ma la gente.

Dopo la caduta del muro le cose sono andate anche peggio. Mi restava solo il cinema e farmi amici che non fossero della mia stessa classe sociale.

Guglielmi aveva inventato i reality di Rai 3 e si cominciava a conoscere la gente comune nelle aule dei tribunali, nelle caserme dei pompieri e tra chi aveva smarrito un parente.

Ma a me più che la gente, mi piacevano gli strani, quelli che, immaginando di essere – chissà perché – tra i normali, venivano chiamati i diversi, semplicemente perché trovandosi a disagio con le norme predominanti, insistevano, con fatica, ad essere come si sentivano.

Poi è arrivato il cambio di millennio e da allora abbiamo deciso di chiuderci in casa davanti a uno schermo e vedere il mondo da lì.

Ho sospirato da solo, vedendo cadere le Torri gemelle in diretta. Ho protestato da solo vedendo le bombe cadere su Baghdad. Ho persino guardato alla tv “C’è posta per te” e “il Grande Fratello” incrociando mondi sconosciuti ma probabilmente fasulli.

Oggi, alla fine degli anni ’10, quello che so del resto del mondo, passa per tre quarti da Facebook o dalle notizie online.

Frugo commenti su Facebook nelle pause della vita, nelle file alla posta, in sala d’aspetto per un esame di salute, a una fermata d’autobus e purtroppo prima di addormentarmi, al posto di un bel libro o di una salutare scopata.

È un mondo pieno di notizie che si rimbalzano, che ruota attorno a conflitti monocordi, battutacce – a volte persino divertenti, ma col secondo fine di creare facili schieramenti e compattare le identità in modo sempre più settario. .Anche se per fortuna ho amici intelligenti, a volte mi pare che da Facebook non se ne esca vivi.

Perciò gli sforzi dell’amico Daniele Vicari, che ammiro moltissimo anche per la sua capacità di coniugare l’onesta volontà di indignarsi e al coraggio di autocriticarsi, con la capacità di fare bene il suo lavoro di autore e regista, mi sembra una delle cose più lodevoli di queste conversazioni digitali.

Ha ragione Daniele: bisogna parlare nelle strade, davanti a un bancomat con la vecchietta e alle poste dove brontola la gente. Bisogna uscire dalla tastiera, capire cosa sta succedendo: e non solo alla sinistra, al mondo del cinema o ai diritti umani calpestati.

Ma anche al nostro vicino di casa, nella fila al CUP, o al mercato.

Non possiamo lasciare il campo al contagio mediatico di slogan e contro-slogan.

Io non ho mai avuto una gran passione per essere gregario. Anche nei gruppi a cui ho aderito sono sempre stato (credo in modo civile) poco allineato.

E mi sono sempre piaciute di più le persone vere, anche le più rozze, rispetto al modo in cui vengono rappresentate per sommi capi.

Dunque, per non fare troppe chiacchere qua, andrò adesso in giro, (anche se ho scelto un periodo sbagliato) e da domani, se ho ascoltato qualcosa di nuovo, e se a qualcuno interessa, ve lo racconterò, proprio così come lo avrò sentito.

Domani è il primo di agosto.

(1 Continua:  domani e per tutto il mese di agosto)

Per leggere tutti insieme i capitoli del Diario di Daniele Cini:

Diario di un agosto popolare


Oppure leggili uno alla volta:

ANDARE PER STRADA E ASCOLTARE LA VITA

STRANI STRANIERI

CORPI DIMENTICATI

NELLA CITTA’ DESERTA

COCCIA DI MORTO

FINCHÉ C’É LA SALUTE

LA BOLLA SVEDESE

STELLE CADENTI

LA METRO, IL BUS E LO SCOOTER

FREQUENZE DISTORTE

CANNE AL VENTO

L’OTTIMISMO DURA POCO

LA TORBELLA DI ADAMO

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Daniele Cini

è regista e autore. Dagli anni Ottanta Collabora continuativamente come regista con i programmi più importanti della Rai e realizza reportage in vari paesi del mondo. Nella fiction cura la regia di serie televisive, come “La Squadra”. Per il cinema firma il film “Last Food”, il mediometraggio “Zittitutti”, e due episodi nei film collettivi “Intolerance” e “All human rights for all”. Tra i documentari: “Sogni.com” per Rai Fiction, “Seconda Patria” per History Channel, “Noi che siamo ancora vive” per Rai 3, Globo d’oro nel 2009, “Bambini guerrieri” per Rai 1 e “Hungry and Foolish” per Rai Expo. Nel 2021, in collaborazione con Medici Senza Frontiere, realizza il film documentario “La febbre di Gennaro”, Nel 2022 il documentario “Il ragazzo con la Leika”, 60 anni d’Italia nello sguardo di Gianni Berengo Gardin, trasmesso su Rai 2. Nel 2004 ha pubblicato per Voland “Io, la rivoluzione e il babbo” e nel 2020 per Giunti “Se son rose sfioriranno” .

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it