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Mese: Febbraio 2014

Commissione per la Qualità architettonica ed il Paesaggio, acquisisce i curricula

da: ufficio comunicazione istituzionale Comune di Comacchio

Sino al 15 febbraio prossimo gli aspiranti a far parte della Commissione per la Qualità Architettonica ed il Paesaggio (C.Q.A.P.) potranno far pervenire al Settore VIII “Territorio e Sviluppo Economico” i loro curricula. L’Amministrazione Comunale infatti ha bandito un avviso pubblico per acquisire i curricula di esperti nella progettazione, nelle materie storiche dei beni culturali, urbanistica, architettura, tutela ambientale e del paesaggio. Tra i requisiti richiesti è fondamentale mostrare una comprovata ed elevata competenza specialistica, per aver elaborato ad esempio progetti edilizi, urbanistici e paesaggistici, durante lo svolgimento di funzioni e/o incarichi specifici presso aziende pubbliche o private. I candidati interessati dovranno far pervenire i loro curricula entro e non oltre le ore 12 del 15 febbraio 2014, attraverso posta elettronica certificata (P.E.C.), da spedire al seguente indirizzo: comune.comacchio@cert.comune.comacchio.fe.it
La P.E.C. deve tassativamente contenere l’indicazione del mittente e riportare il seguente testo: COMUNE DI COMACCHIO, SETTORE TERRITORIO E SVILUPPO ECONOMICO- CURRICULUM PER LA NOMINA DELLA C.Q.A.P. Per informazioni contattare i seguenti recapiti: 0533-318618, oppure 0533-318612.
A conclusione dell’iter burocratico, la Giunta Comunale nominerà i 5 componenti che faranno parte della Commissione per la Qualità Architettonica ed il paesaggio. (C.Q.A.P.), come previsto dal Regolamento edilizio.
Sul sito comunale all’indirizzo www.comune.comacchio.fe.it, in evidenza nella home page e anche nell’apposita sezione relativa agli avvisi pubblici comunali, si può consultare e scaricare il documento integrale.

Comune di Comacchio, un concorso per gestire l’attracco vicino alla darsena dei Capuccini

da: ufficio comunicazione istituzionale Comune di Comacchio

L’Amministrazione Comunale ha bandito un avviso pubblico finalizzato all’acquisizione di manifestazioni di interesse con offerta per la gestione dell’attracco e della passerella galleggiante, costruiti lungo il canale navigabile all’altezza della darsena dei Cappuccini di Comacchio. A conclusione dell’iter amministrativo, sarà concesso, in forma sperimentale dall’1 aprile al 31 dicembre 2014, il servizio di gestione dell’attracco e della passerella galleggiante siti nella darsena dei Cappuccini. Grazie a questo nuovo servizio il Comune di Comacchio intende sperimentare una forma alternativa al trasporto su ruote di collegamento tra il capoluogo, le valli e i lidi. Si ricorda, a questo proposito, che recentemente è stato istituito il nuovo parcheggio “intermodale”(per auto, camper e bus) lungo la via dell’ex-zuccherificio, nei pressi del Villaggio San Francesco, servito anche dalla nuova pista ciclabile che attraversa la zona dell’attracco. Relativamente all’importo del servizio, ai criteri di affidamento della gestione, ai requisiti di partecipazione, si suggerisce di consultare l’avviso pubblico, inserito integralmente sul sito comunale (<www.comune.comacchio.fe.it), nella sezione “concorsi e avvisi”. Per la gestione del servizio è tassativamente escluso il ricorso all’istituto del sub-appalto. I plichi contenenti le manifestazioni di interesse dovranno tassativamente pervenire ENTRO LE ORE 12 DEL 28 FEBBRAIO 2014, mentre le buste saranno aperte nel corso di una seduta aperta al pubblico, che avrà luogo presso l’Ufficio Tecnico (Piazza Folegatti, 15- 2° piano) il 3 marzo 2014, alle ore 10. Due sono le modalità mediante le quali spedire i suddetti plichi chiusi: con raccomandata A/R, oppure con consegna a mano presso l’Ufficio per le Relazioni con il Pubblico, (aperto dal lunedì al sabato, dalle ore 8:30 alle ore 12:30).

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Lavoro, l’assessore Bianchi incontra una delegazione di esodati

da: ufficio stampa giunta regionale Emilia Romagna

Bologna – L’assessore regionale alla Scuola, Formazione professionale, Università e ricerca, Lavoro Patrizio Bianchi ha incontrato una delegazione di rappresentanti dei comitati territoriali dei cosiddetti esodati. Nel corso dell’incontro è emersa la necessità di avviare un percorso finalizzato al raggiungimento di alcuni obiettivi condivisi. In primo luogo si è deciso di procedere ad un censimento della platea di persone che a livello regionale vivono questa condizione, pur con situazioni differenti tra loro. Si è inoltre condivisa la necessità di verificare, insieme alle autonomie locali, possibili strade per favorire l’attivazione di forme di sostegno economico per coloro che hanno esaurito i periodi di tutela connessa agli ammortizzatori sociali, e di valutare la mobilità in deroga quale strumento per raggiungere i requisiti pensionistici o le politiche attive per favorire il reinserimento nel mercato del lavoro.
“Il Governo – ha detto l’assessore Bianchi – deve affrontare e risolvere il problema per restituire a queste persone non solo la dignità di chi ha lavorato per tutta una vita, ma anche la tranquillità per affrontare il futuro. Per questo siamo pronti a renderci interlocutori rispetto all’esecutivo nazionale perché assuma questo problema in via definitiva, come priorità non più eludibile”.
L’assessore ha ritenuto opportuno, con la riunione di oggi, istituire un tavolo di lavoro per condividere le fasi del percorso, dalla definizione dei criteri per avviare il censimento che permetta una conoscenza approfondita del fenomeno a livello regionale, all’individuazione di tutte le misure che la Regione, nel rispetto delle proprie competenze e disponibilità, può attivare per supportare le persone che vivono questa condizione di difficoltà e individuare soluzioni idonee per superarla. /BM

Al Torrione il quartetto del contrabbassista Matteo Bortone

da: ufficio Stampa Jazz Club Ferrara

Per un nuovo appuntamento firmato Happy Go Lucky Local, lunedì 03 febbraio (ore 21.30), l’anima di due tra le più affascinanti capitali europee – Roma e Parigi – si fonde in Travelers, cd d’esordio che il contrabbassista e compositore Matteo Bortone presenterà al Torrione insieme al nuovo quartetto. Piroettanti jam session seguiranno come di consueto il concerto.

Lunedì 03 febbraio (ore 21.30), per un nuovo appuntamento firmato Happy Go Lucky Local, l’anima di due tra le più affascinati capitali europee – Roma e Parigi – si fonde in Travelers (Zone di Musica, 2013) cd d’esordio che il contrabbassista e compositore Matteo Bortone presenterà al Torrione insieme al quartetto di nuova formazione costituito da Antonin-Tri Hoang al sax alto e clarinetti, Giacomo Ancillotto alla chitarra (che in questa occasione sostituisce Francesco Diodati) e Ariel Tessier alla batteria.

I Travelers si incontrano in occasione di una session parigina nell’inverno 2008, ma è solo tre anni dopo che il giovane contrabbassista originario di Otranto decide di dar vita alla propria band equamente divisa tra Francia e Italia. Il disco, il cui titolo è omonimo al gruppo, gode della stessa dicotomica gestazione: concepito tra Roma e Parigi e registrato in terra d’oltralpe ha come tema principale il viaggio, il movimento.
Le undici tracce che lo costituiscono sono ad opera del leader, ad eccezion fatta per Man of the Hour, la struggente ballad composta da Eddie Vedder dei Pearl Jam. Forti melodie e malinconiche songs sfociano in tempeste elettriche, “spaccature free e paesaggi cantautoriali”; il costante binomio tra melodia e improvvisazione collettiva libera la band da ogni prevedibile definizione stilistica, affermando tuttavia una decisa impronta rock/pop che caratterizza le tematiche dei brani nel mood compositivo contemporaneo e affine a personalità come Jim Black, Kneebody, Wayne Krantz, Dave King. Da non perdere.

Ad impreziosire l’appuntamento di lunedì 03 febbraio è il ricco aperitivo a buffet (a partire dalle ore 20.00) accompagnato dalla selezione Nu Jazz di Andreino Dj. Piroettanti jam session seguiranno, come di consueto, il concerto. Il tutto a ingresso a offerta libera per i soci Endas.

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Alle origini dell’età ibrida

I ragazzi degli anni ottanta sono cresciuti con il Commodore 64. In quegli anni, tra gli adulti, molti guardavano i computer con sgomento. Un buon numero di medici si sentivano richiedere certificati che giustificassero l’esonero dall’uso, tanto era il terrore che tra molte impiegate i nuovi strumenti di lavoro suscitavano. Tra gli esperti dilagavano le discussioni circa la possibilità che l’intelligenza artificiale (termine che i più usavano in termini evocativi) fagocitasse, annullandole, le capacità del pensiero umano. Per noi erano, semplicemente, un modo più veloce per scrivere la tesi.
Non ricordo quando ho avuto il mio primo computer, ricordo che è stato amore a prima vista. Anche se occupava molto spazio e faceva un po’ di rumore. Anche se bisognava conoscere le funzioni dei tasti e talvolta digitarne tre alla volta per produrre l’operazione voluta. Il ricordo più dolce era che potevo scrivere con una mano e con l’altra “giocare” con la mia bambina. Poi sono arrivati i floppy, che nome delizioso! Li ho buttati via qualche mese fa, accettando – non senza fatica – l’idea che la mia memoria andasse persa. Anche questa è una conquista nel tempo dell’archiviazione universale.
L’età ibrida è il titolo di un libro recente di A. Khanna e P. Khanna (Codice), il cui sottotitolo è Il potere della tecnologia nello scenario globale. L’argomentazione sbarazza definitivamente qualunque illusione che il mondo possa essere interpretato con le categorie a cui eravamo abituati. Soprattutto, toglie di mezzo l’idea che i nuovi media siano semplicemente strumenti da utilizzare. Le tecnologie sono in realtà un linguaggio che crea un ambiente, un mondo da abitare. Non si tratta di discutere se questo mondo ci piace di più o di meno di quello che abitavamo in passato – la cosa è del tutto irrilevante – si tratta di comprendere quali implicazioni ha questo scenario per le persone, le organizzazioni, le imprese. Un’era, fatta di oggetti, merci, pratiche è finita, un’altra iniziata è in rapidissima evoluzione.
La tecnologia crea e distrugge. La tecnologia è generativa, vale a dire è in grado di generare valore, ma distrugge lavoro; diffonde opportunità, ma è spietata con coloro che ne restano fuori; crea paradossi, ad esempio possiamo impiegare meno tempo da Bologna a Parigi che da Ferrara a Parma; semplifica e complica la vita allo stesso tempo perché genera ridondanza.
Internet moltiplica il tempo e lo fagocita, il tempo digitale non equivale al tempo cronologico, è multitasking e quindi variabile: possiamo fare più cose in contemporanea e vivere più tempi contestualmente. Mentre i tempi si sovrappongono, anche i valori si mescolano e non si dispongono su assi contrapposti. L’ibridazione il tratto di questo tempo.
Sapranno sopravvivere le imprese e le organizzazioni in grado di offrire valore, le altre sono destinate all’estinzione. Sapranno sfruttare le opportunità le persone dotate di capitale culturale e di capacità riflessive. La tecnologia non si riferisce solo a macchine o ad oggetti, ma soprattutto a processi, abilità, comportamenti, presuppone processi di appropriazione e adattabilità.
La tecknick – che gli autori del libro citato definiscono il quoziente tecnologico di una civiltà – è dunque una qualità che tutti dovremmo sforzarci di curare, singoli individui, imprese, comunità, città e nazioni. Conoscenza e innovazione potranno produrre relazioni virtuose, salvaguardando spazi di lentezza per pensare.

GERMOGLI
l’aforisma
di oggi…

 

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

 

“Il fallimento è una possibilità di ricominciare in maniera più intelligente” (Henry Ford)

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Ritorno alla canapa: dalla marijuana terapeutica per l’Emilia un potenziale business miliardario

di Emiliano Trovati

Forse l’utilizzo a uso terapeutico non è l’unico aspetto su cui riflettere quando si parla di marijuana. Proviamo a prenderla da un’altra prospettiva. In questi giorni imperversa in Regione il dibattito in merito alla legalizzazione di questa sostanza come cura per alcune patologie, ma quando si parla di questo tema, in Emilia-Romagna, c’è un secondo aspetto che merita di essere preso in considerazione: quello economico collegato alla coltivazione.

Sicuramente molti ne hanno memoria, ma vale la pena ricordarlo. Almeno fino al 1957 l’Emilia Romagna, e l’Italia intera, è stata uno dei maggiori produttori al mondo di canapa, del tipo cannabis sativa, la famigerata pianta dalla quale si ricava la marijuana. La coltivazione ovviamente non era destinata al commercio di stupefacenti, né come pianta officinale, ma, essendo il prodotto estremamente versatile, era utilizzata nei più disparati settori: dal tessile, al settore nautico. Basta pensare che i canapai bolognesi sono stati, fino a tutto il XVII secolo, i primi fornitori del Regno Unito di vele e cordame, utilizzati sui velieri della Corona. Questo primato, poi, è venuto meno nel tempo, e dopo l’invenzione dei materiali plastici e in pvc, avvenuta nella seconda metà del secolo scorso, la coltivazione è definitivamente morta.

All’apice della sua produzione, raggiunta nel 1914 – secondo quanto documenta lo studio La coltivazione e l’industria domestica della canapa, consultabile dal sito del Museo provinciale della cultura contadina – la sola provincia bolognese era capace di coltivare fino a 145mila quintali di canapa l’anno. Addirittura, nel mondo, l’intera produzione nazionale era seconda solo a quella russa.

Ma veniamo al dibattito odierno. Tornare a coltivare questa pianta oggi, alla luce delle applicazioni mediche in cui potrebbe essere utilizzata, garantirebbe dei guadagni spaventosi. Si parla di miliardi di euro. Unico ostacolo, non piccolo, la paura dell’amministrazione a concedere i permessi per la coltivazione a fini farmacologici, paura dovuta alla facile associazione della marijuana a commerci non del tutto legali e monopolio delle mafie. Al netto delle paure, però, e fuori dal dibattito sulla legalizzazione o meno dell’uso ricreativo, è lecito farsi alcune domande – e anche due rapidi calcoli – giusto per chiarire di cosa si parla. Quanto potrebbe fruttare questo mercato, se legalizzato?

Partiamo dalla situazione attuale. Al giorno d’oggi la coltivazione della canapa è consentita, anche se strettamente controllata, solo per la produzione tessile e per l’edilizia. Secondo quanto riporta l’Assocanapa – Associazione nazionale dei produttori di canapa, che da anni è impegnata nella promozione della coltivazione di questa pianta per la filiera tessile ed edile -, in Italia nel 2013 sono stati destinati alla coltivazione della Canapa solo 400 ettari di terreno, per un produzione totale di 60.000 quintali. Considerando che il prezzo sul mercato della pianta è di 15 euro al quintale, l’intera coltivazione, oggi, produce un giro di affari di 900mila euro l’anno. Nulla in pratica, siamo molto lontani dal potenziale reale del settore se fosse possibile coltivare per le case farmaceutiche.

Facendo due conti, che non hanno valore scientifico, alla luce di quanto detto finora, però, vengono fuori cifre da capogiro. Il calcolo è questo: 29mila quintali per 35 euro al grammo, totale 1.015.000.000 di euro: un miliardo e rotti di euro.

Come ottenere questa cifra? Presto detto. Attualmente in alcune regioni d’Italia, come Puglia e Toscana, che si sono portate avanti con la legalizzazione terapeutica dei cannabinoidi, vengono commercializzati alcuni medicinali che contengono marijuana, come il Sativex e il Bedrocan. Questi medicinali sono prodotti da case farmaceutiche straniere, ad esempio il Bedracon è commercializzato dalla Bedrocan BV, società olandese che produce per la farmacopea marijuana in serra sin dal 1994. Il costo di vendita di quest’ultimo, che non è neanche il più caro, è di 35 euro e qualche centesimo al grammo ed è diffuso in confezioni da 5 grammi cadauno. Prendendo, quindi, questo dato come costo di riferimento e moltiplicandolo con il quantitativo di canapa prodotta a Bologna nel 1914, di 145mila quintali, opportunamente ridotto di quattro/quinti – ipotizzando che di ogni pianta è questa la parte che può essere utilizzata a scopi terapeutici, quella che in strada viene volgarmente chiamata “cima” -, quindi 29mila quintali, viene fuori quella cifra impronunciabile vista sopra.

Alla luce di tutto questo, sempre limitando il campo all’utilizzo farmaceutico, perché non considerare l’opportunità di agganciare al dibattito in essere la concessione della coltivazione a fini farmaceutici?

[© www.lastefani.it]

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IMMAGINARIO
la foto
del giorno

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città e i suoi abitanti.

In Corso Ercole I d’Este proprio di fronte alla via che porta alla chiesa di San Cristoforo nella Certosa di Ferrara, c’è una curiosa abitazione privata che riporta una lapide sulla sua facciata, in ricordo della scomparsa chiesa di Santa Maria degli Angeli sulle cui fondamenta è eretta (foto FeDetails)

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Singolare abitazione edificata sulle fondamenta della scomparsa chiesa di Santa Maria degli Angeli (foto FeDetails)

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Paolo Ravenna e Alberto Vigevani, i passi della memoria

Integriamo le riflessioni sviluppate in questi giorni in ricordo dell’Olocausto con questo brano lirico composto da Alberto Vigevani, poeta e narratore, in memoria delle vittime del nazismo.

A Ferrara nel cimitero israelitico

Sanno, sappiamo
di non poter tornare a queste
stagioni con sempre nuovi fiori
nuove foglie.

Sanno, sappiamo
che il sonno senza sogni
sotto la silenziosa neve
o il terso verde
è il nostro destino
meno impietoso.

[tratta dal volume di Alberto Vigevani “L’esistenza. Tutte le poesie”, edito da Einaudi]


E questo è il testo di una lettera che l’avvocato Paolo Ravenna, fondatore e presidente della sezione ferrarese di Italia Nostra, scrisse all’amico Alberto Vigevani.

Caro Alberto,
…In questi anni si è saldamente creato un legame per me prezioso in cui la comune affinità nel vedere e nel sentire ha trovato tante occasioni per esprimersi. Non posso certo ripercorrere tutte quelle che mi sono più care. Sono tante e mi affido alle prime che mi vengono alla memoria. Come quando ti vedo nella penombra del tuo studio in via Borgonuovo, molti anni fa, mentre proiettavo le fotografie che avevo scattato sulla presenza ebraica a Ferrara e tu, preso da quell’atmosfera che sentivi anche tua, mi sollecitavi a ricavarne una pubblicazione… sobria, mi raccomando.
Più tardi e questa volta in una delle serene soste al sole di Piè Tofana con Annamaria e Roseda, tornasti su quell’idea e mi suggeristi il titolo – L’antico orto degli ebrei – di quel volumetto che dopo anni avrei realizzato e che ho potuto concludere proprio con una tua struggente poesia (“A Ferrara nel cimitero israelitico”).
Ancora vedo il tuo sguardo, appena trattenuto dall’emozione, quando parlando del nostro esilio svizzero, ti mostravo una piccola foto con alcuni compagni internati. Vi riconoscesti il volto di un caro amico, Gianni Pavia. Era ritratto con altri la sera prima di rientrare in Italia ove, dopo pochi giorni, partigiano, sarebbe stato ucciso dai fascisti poco piu che ventenne. E ricordo i momenti di vivace collaborazione per la mostra “Italya” al Palazzo dei Diamanti per pensare quel manifesto che poi uscì con il segno di espressiva eleganza di Bruno Munari.
Tra le varie cose ci proponemmo allora di accostare i ritratti tuo, di Bassani e di Moravia che Carlo Levi aveva dipinto in anni di fervidi sodalizi e che furono presentati fianco a fianco per chi avesse voluto trovarvi possibili affinità. Non lontani i ritratti di Carlo Rosselli e di Leone Ginzburg. E proprio in quell’occasione, vedo finalmente qui a Ferrara, tutta la famiglia Vigevani con Annamaria, figlioli, nuore e nipoti, raccolti attorno a te, vicino al pozzo rosso di Via Palestro…
Paolo Ravenna
(Ricordi e Testimonianze per Alberto Vigevani, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1998)

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Il talento ribelle dell’eclettico Cicognara, poeta, ambasciatore di Napoleone e illustratore per l’amico Canova

LEOPOLDO CICOGNARA
(a 180 anni dalla morte)

Leopoldo Cicognara (1767-1834) nacque da nobile e illustre famiglia radicata a Ferrara già nel XV secolo, sebbene di ancor più lontana origine cremonese. All’età di nove anni venne affidato per l’educazione al collegio dei Nobili di Modena, dove rimase fino al 1785 ostentando un carattere inquieto e ribelle, abbastanza refrattario (come testimoniò lo stesso rettore del collegio) agli studi malgrado il proprio innato talento. Nel 1788 abbandonò la casa paterna e si trasferì a Roma, dove fu ammesso all’Accademia dell’Arcadia e conobbe importanti letterati come Vincenzo Monti. In quel periodo si dedicò alla pittura, con esiti non esaltanti e alla poesia, i cui frutti più maturi, composti fra il 1789 e il 1790, sono i poemetti Il mattino, il mezzogiorno, la sera e la notte (di evidente ispirazione pariniana) e Le belle arti.
Nel 1808 il letterato ferrarese pubblicò il suo Trattato del Bello, quello stesso anno venne nominato presidente della rinnovata Accademia di Venezia e, nel 1812, presidente dell’Ateneo Veneto. «La vera grande politica culturale del Cicognara – commenta lo studioso Gianni Venturi – si esercita, tuttavia, nelle grandi opere che lo rendono famoso in Europa: dalle Fabbriche di Venezia al Catalogo ragionato della sua splendida biblioteca che ora è uno dei vanti della Biblioteca Vaticana e che rappresenta un insostituibile strumento di ricerca storico-artistica; ma soprattutto il valore e il senso dell’opera di Cicognara, intellettuale europeo, è affidata alla stesura di quella storia della scultura che lo occuperà praticamente per tutta la vita e che lo proietterà nell’olimpo dei grandi uomini di cultura del diciannovesimo secolo». Si tratta della vasta Storia della scultura dal suo Risorgimento in Italia sino al secolo di Canova, pubblicata in tre volumi rispettivamente nel 1813, nel 1816 e nel 1818.
Antonio Canova, l’amico più caro e del quale Leopoldo Cicognara fu l’illustratore e il critico più acuto, si configurò per lui come il termine di paragone ineguagliato di tutta la storia dell’arte, ponendosi nell’evoluzione artistica al punto più alto e irraggiungibile. Il divino Canova, che morì fra le sue braccia nel 1822, rappresentò per il Cicognara l’autore in cui egli ravvisava la gloria e la supremazia della scultura su tutte le altre arti.
Leopoldo Cicognara ebbe pure, per oltre un ventennio, un’intensa carriera politica: fu nominato dallo stesso Bonaparte prima presidente della giunta di Difesa generale e poi membro del Corpo legislativo della repubblica Cisalpina, nonché ambasciatore presso i Savoia a Torino. Nel 1803 venne anche arrestato con l’accusa di essere uno dei fautori di un poemetto ritenuto antifrancese. Successivamente reintegrato, assunse nuove importanti funzioni nel Regno d’Italia e, nel 1808, lasciò la politica attiva. Cicognara morì a Venezia dopo lunga malattia, le sue spoglie sono conservate nella Certosa di Ferrara.

Tratto dal libro di Riccardo Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, 2013

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Beppe Ruzziconi, il giro del mondo in e-book di Mister Mobilità

I suoi viaggi hanno il valore quasi etnografico di chi parte alla scoperta di qualcosa e poi la racconta al ritorno, arricchito dalle emozioni dei ricordi. Beppe Ruzziconi, ferrarese, segretario Cgil e poi dirigente di Ami, coltiva una passione che amplia gli orizzonti del perimetro urbano entro il quale spazia il ragionamento nel suo quotidiano lavoro all’Agenzia per la mobilità. E ha documentato i suoi itinerari in giro per il mondo dopo avere visitato, negli anni, Cina, Giordania, Turchia, India, Nepal, Cambogia, Vietnam. Un racconto che potrebbe non interrompersi mai tra un viaggio e l’altro, perchè se anche la meta si rinnova ogni volta, il fascino attraente di qualcosa di lontano da capire è sempre lo stesso.
Beppe Ruzziconi ha pubblicato una serie di ebook sul sito ilmiolibro.it che raccolgono l’esperienza personale e del gruppo che ha condiviso il progetto e tutte quelle migliaia di chilometri. Ogni partenza, ciascuna tappa è documentata dallo stato d’animo con cui viene affrontata, gli occhi incontrano cose mai viste, le impressioni sono la prima chiave di lettura di fronte al nuovo, gli interrogativi non mancano e vengono posti agli autoctoni, alla guida, ai luoghi nello loro bellezza e unicità. Una curiosità antropologica che spinge a conoscere i villaggi sperduti della Cina, a vedere l’alba sul Gange e a entrare nel mondo sotterraneo delle gallerie costruite dai vietnamiti.
Ruzziconi, un modo di viaggiare sui generis. Perchè?
“Non ci basta l’itinerario che la guida ci propone, chiediamo varianti che ci portino nei villaggi, tra la gente, in mezzo alla loro cultura. Il senso del viaggio alla fine è quello, sta negli incontri che si fanno e nelle emozioni che si provano. In ogni luogo abbiamo recepito insegnamenti da portare a casa”.
Come, ad esempio, l’esperienza nelle gallerie in Vietnam?
“Quando ci fu la guerra in Vietnam, ero un adolescente e mi era rimasto il desiderio di capire i luoghi della resistenza vietnamita. Siamo riusciti, nella zona di Cu-Chi, ad avvicinarci al mondo sotterraneo che era stato costruito e dove si era sviluppata una vita civile inimmaginabile, dove, insomma, la lotta di un popolo per difendersi aveva superato l’offensiva e la tecnologia americana. Ho provato a percorrere alcuni metri nei cunicoli, ma poi sono tornato indietro”.
Dell’India, a cui pure hai dedicato pagine nei tuoi ricordi di viaggio, cosa ti è rimasto?
“L’India si mostra nella sua povertà più cruda, più abietta. Ti chiedi come sia possibile che esista per le strade quella miseria e, allora, ti rendi conto che non c’è una ridistribuzione della ricchezza, pensi alla divisione sociale in caste e a tutte le contraddizioni di questo paese che è sulla via dello sviluppo”.
Lei racconta le situazioni, i luoghi, soprattutto le emozioni sue e della comitiva. Qual è stata una delle sensazioni più intense?
“In India, a Varanasi, gli induisti praticano un rito sacro di purificazione nelle acque del Gange, noi partimmo prestissimo per essere all’alba in barca sul fiume e assistere alle abluzioni. Ma Varanasi è anche il posto delle pire, della cremazione dei corpi che diventeranno cenere da spargere nello stesso fiume. Anche il Tibet è stato di forte impatto per il misticismo e il silenzio, così estranei al nostro modo di vivere occidentale”.
Da uomo dell’occidente, che idea si è fatto dell’uomo dell’oriente?
“Credo che in quei paesi ci sia una propensione all’autoaiuto che noi abbiamo perso da molto tempo, da quando cioè non soffriamo la povertà che, invece, ancora là c’è. Da noi manca anche la coesione sociale, manca energia nei giovani che, come nota Michele Serra, se ne stanno più che mai sdraiati”.
La prossima meta?
“Tra la via della seta e il Perù alla scoperta delle civiltà precolombiane”.

Gli ebook di Giuseppe Ruzziconi sono pubblicati online da “il mio libro” (vedi la pagina dell’autore)

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IMMAGINARIO la foto del giorno

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città e i suoi abitanti.

E’ ora di Spal (foto di Aldo Gessi) – cliccare sull’immagine per ingrandirla

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E’ ora di Spal (foto di Aldo Gessi)
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Il presidente dei geologi: “Nuove tecnologie e monitoraggio costante per prevenire le alluvioni”

di Irma Annaloro

Il territorio – in queste ore è drammaticamente evidente – non è esente da rischi idraulici e idrogeologici. Fra le cause, i mutamenti climatici, lo sfruttamento che si è perpetuato negli anni e la ridotta manutenzione attuale, conseguenza di scarse risorse finanziarie e penuria di personale. Intanto si pensa a possibili soluzioni per prevenire e prevedere situazioni di emergenza. Il presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna, Gabriele Cesari, annuncia la richiesta alla Regione di rendere operativi gli uffici geologici territoriali, organi di coordinamento fra Comuni, Protezione civile e ed esperti di settore.

Presidente Cesari, c’è il rischio che in regione possa presentarsi un’emergenza come quella che ha colpito il territorio Modenese?
L’intero territorio regionale non ha differenze eclatanti e presenta un rischio che non è molto diverso da provincia a provincia. La situazione che si è creata nei luoghi colpiti dall’alluvione trova le sue cause in una pressione antropica e nell’occupazione notevole del suolo. Consideriamo che all’incirca ogni giorno otto ettari vengono occupati da nuove costruzioni. Tutto ciò, chiaramente, si ripercuote sul territorio con un aumento di scorrimento delle acque e un minor spazio lasciato ai corsi. Altri aspetti che aumentano il rischio, sono gli usi più intensivi della terre, la mancata manutenzione e certamente i cambiamenti climatici.

Qual è il quadro geologico del territorio?
L’uso eccessivo del suolo è simile a livello regionale. In Emilia siamo in presenza di maggiori versanti arginosi. La Romagna è più stabile dal punto di vista delle frane e del dissesto geologico. Il problema sorge nel momento in cui il livello delle abitazioni si trova al di sotto dell’argine di un corso d’acqua.

Si possono prevedere e prevenire emergenze di questo tipo?
E’ possibile. A mio avviso bisogna mettere in campo nuove tecnologie per provare a gestire il territorio, fare una previsione del comportamento dei fiumi e gestire eventuali esondazioni. Questo perché le nuove tecnologie sono in grado di offrirci diverse opportunità, come il monitoraggio continuo delle situazioni. E’ un ambito che va sperimentato, ma questo richiede percorsi di lungo periodo. Per affrontare queste sfide è necessario un approccio nuovo e multidisciplinare che tenga conto dei nuovi fattori. Il nostro ordine presenterà, in Regione, una proposta che prevede l’attuazione degli uffici geologici territoriali previsti nella finanziaria. Si tratta di enti di coordinamento tra Protezione Civile e Comuni con il supporto tecnico di esperti. Su questo, la Sardegna si è spinta più avanti. In questo senso, pensiamo a una collaborazione tra un organo come il nostro, composto da professionisti, e gli enti territoriali senza appesantire la spesa pubblica.

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Ricchi e poveri nella nuova Russia. E il made in Italy come status symbol

DA MOSCA – Basta trovarsi all’aeroporto di Roma Fiumicino, diretti a Mosca, non importa se nella fila degli imbarchi di business class o di economy, per ritrovarsi sommersi da pacchi, pacchetti e pacchettini delle più note e costose case di moda italiane. Gucci, Valentino, Dolce e Gabbana, Ferragamo, La Perla, Missoni, Furla e Fendi sono solo alcune delle firme fiammanti che campeggiano sulle spalle di ragazzi robusti e imponenti.
Quasi inciampiamo in vocianti viaggiatori che parlano sempre e solo rigorosamente russo, perché a loro avviso tutti devono capire; uomini e donne si fanno strada e mettono in crisi la povera hostess che non capisce e che tenta di spiegar loro, nel suo inglese perfetto, a essi quasi del tutto incomprensibile, che vi sono limiti nei bagagli per volumi e pesi.
E’ quasi una voglia di riscatto, un tentativo di marcare terreno e far comprendere che si è arrivati (ma arrivati dove?), che quando si vuole si pretende e si deve avere, senza troppe discussioni e sforzi. Salvo che questo riscatto è sicuramente solo per alcuni, anzi direi per pochi. Parliamo dei nuovi ricchi russi, non solo degli scaltri uomini d’affari che, con la caduta del comunismo, si sono impadroniti di grandi ricchezze del Paese, ma anche di nuove generazioni che hanno fatto fortuna in settori quali quello tecnologico, l’unico in cui i miliardari sono prevalentemente giovani e hanno accumulato “da soli” grandi patrimoni.

Secondo uno studio del 2012 di Forbes Insight e Societé Generale, riportato dal Financial Times, Russia e Cina contano più di 100 miliardari, raggiungendo gli Stati Uniti e superandoli “in termini età”: i 115 miliardari cinesi e i 101 miliardari russi sono infatti più giovani. I russi, in particolare, sono in media 10 anni più giovani dei miliardari indiani e 25 anni più giovani di quelli francesi. Sempre secondo la rivista Forbes, solo nella capitale russa vivono 25 miliardari, e ben 88 mila sono i milionari nella regione. Senza entrare nel merito delle fortune e dei destini di coloro che vengono definiti i potenti e influenti “grandi oligarchi” (Sergueï Pougatchev, Guennadi Timtchenko, Iouri Kovaltchouk, Arkadi Rotenberg, Boris Rotenberg), dei casi come quelli di Nikolai Smolenskj (a 24 anni, terminati gli studi, non ha trovato la Mercedes nera sotto casa con il fiocco rosso, ma ha scoperto di essere diventato proprietario della fabbrica dei più esclusivi bolidi inglesi, la Tvr) o di Roman Abramovich (l’uomo più ricco di Russia che ha acquistato il Chelsea Football Club), ammettiamo di rimanere spesso colpiti, girando per le strade di Mosca, da alcuni aspetti in grande contraddizione fra loro.
Se passeggio lungo la centrale, aristocratica ed elegante via Ostozhenka, diretta verso la Chiesta del Cristo Salvatore e le sue guglie dorate, vengo superata da fiammanti bolidi che, oltre a violare ogni minima regola di velocità, sfiorano il limite della maleducazione e del buongusto. La Jaguar parcheggiata con il cofano occupato da un vellutato felino dipinto sdraiato non è da meno. Vedi poi sfilare ragazze pettinate, truccate e profumate che sembrano uscite dalle copertine di Vogue o di Vanity Fair, pellicce sfavillanti e tacchi a spillo anche a meno venti gradi. A pochi metri, alla fermata del metro Kropotkinskaya, gruppi di barboni parlottano fra loro, la bottiglia nascosta dietro il cappotto malconcio e liso. Uno di loro parla concitatamente con un coetaneo e a un certo punto scoppia in lacrime.

Mentre la corsa frenetica al consumo si perpetua, dall’altra parte della strada qualcuno ha perso i suoi punti di riferimento. Accanto a miliardari, milionari o ricchi, 30 milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà. Attraversando il ponte sulla Moscova vicino alla Chiesa citata, si arriva al quartiere trendy di Krasny Oktyabr (Ottobre Rosso). Qui troviamo la fabbrica di cioccolato Einem, aperta nel 1867 dai tedeschi Theodor Ferdinand von Einem e Julius Heuss, nazionalizzata nel 1918 e, nel 1992, ribattezzata appunto Ottobre Rosso. Dal 2010, il quartiere – il cui nome ben si addice se si osservano i bricchi color rosso acceso – non ha più niente a che fare con il cioccolato, se non per il nome che è rimasto sulle classiche tavolette che si acquistano come souvenir. Oggi l’area, che si trova di fronte all’imponente monumento di Pietro il Grande che svetta su un’altrettanto imponente nave, ospita centri di fotografia dal forte e penetrante odore di pellicola, gallerie moderne e alternative, locali alla moda.
Qualche collega mi raccontava che qui, a Dicembre 2012, il lusso italiano di Exhibitaly aveva fatto man bassa. Un lusso dove il fattore prezzo non esiste, un inno alla creatività e alla qualità, l’essenza della dimostrazione di un benessere acquisito al quale nessuno vuole rinunciare, una grande opportunità, tuttavia, per il nostro Paese.

La passione per il made in Italy è sorprendente anche per chi è abituato a leggere statistiche e articoli. Sembra un sogno. Ma se Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, diceva che “la povertà non dipende dalla quantità di beni, ma dalle possibilità delle persone di avere accesso a questi beni” e se circa il 70% dei lavoratori, in Russia, riceve meno di 120 euro al mese di stipendio, la povertà qui esiste davvero, in mezzo a tanto nuovi ricchi. E il divario si vede. Lo vedo quando vado ai magazzini Gym vicino al Cremlino o quando entro, accanto al Teatro Bolshoi, negli ancora più lussuosi e inaccessibili Zym, dove, ingenua, avevo accarezzato l’idea di acquistare un bel colbacco bianco che prontamente abbandono a causa del suo prezzo (6000 euro!).

All’uscita penso che sia meglio andarsene da McDonald’s quando incrocio un venditore ambulante di qualche prodotto simile a noccioline che fatica a far quadrare il già misero bilancio familiare. Forse quest’uomo dalla faccia triste e un po’ spenta è georgiano. Questo incredibile divario lo vedo ancora quando scambio quelle poche parole di russo che conosco con le babushke (letteralmente “le nonne”) che lavorano, giorno e notte, nelle portinerie dei palazzi moscoviti, nel tentativo di integrare le loro piccole pensioni (sempre che le ricevano) con un’entrata sicura. Per la stessa ragione, alcune di loro spazzano le scale delle fermate della metropolitana, altre vendono fiori rosa e violetti o prodotti dell’orto per la strada. E’ grande l’affetto dei russi per le loro nonnine, da sempre depositarie di saggezza e di regole di buona cucina casalinga e familiare, piccole donne che con i loro visi segnati dagli anni e gli immancabili fazzoletti colorati annodati sulla testa canuta continuano a mostrare il volto di una Russia povera e antica, anche negli angoli più moderni di una capitale lanciata verso il futuro. Per molte di loro la vita è diventata difficile, dopo la fine del Comunismo, le vedi a guardia delle portinerie, attenti controllori di biglietti nei teatri, nelle stanze dei musei o nei loro guardaroba, azionatrici di scale mobili delle metropolitane, distributrici di giornali fuori dalle stazioni; altre meno fortunate chiedono l’elemosina ai passanti indaffarati, curati e ben vestiti, illuminati da sfavillanti e costose luci natalizie.

La Russia non ha mai conosciuto tanta ricchezza ma la sua ripartizione resta ancora un’utopia. Le spese per le funzioni sociali raggiungono a malapena il 3% del PIL, e nonostante i nuovi consumatori, a volte eccessivi, euforici ed entusiasti, le differenze ci sono e, a occhio attento e sensibile, si notano. Non parliamo poi dell’entroterra, che non conosciamo ancora, ma che osservo da alcuni video e da fotografie che appaiono sul web. Non mancano poi le critiche feroci a questa società fittizia, anche da parte di giovani artisti. Basti vedere il video della canzone ya liubliu neft (amo il petrolio) del DJ Smash, Andrey Leonidovich Shirman, classe 1982, divertente ma allo stesso spietato.

Detto questo, vogliamo però concludere con una riflessione. Abbiamo parlato della dimensione negativa di tanta opulenza e di grandi disparità, peraltro non prerogativa della sola società russa. Non vogliamo con questo dire che qui non vi siano molte cose belle, bellissime. Vedrete.

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Pepito Sbazzeguti, politico impunito, fa ‘outing’ su ferraraitalia

Giovedì trenta gennaio Sergio Gessi, inventore di ferraraitalia, ha fatto incontrare i collaboratori del nuovo quotidiano, on line dalla fine di novembre scorso, nella sala Agnelli in biblioteca Ariostea, presentando al pubblico l’iniziativa editoriale.
Primo merito del direttore responsabile.
Grazie a questa occasione, infatti, mi sono reso conto maggiormente dello spessore della pensata, della qualità dei collaboratori e delle idee che vi sono espresse e messe in circolo.
Secondo merito del direttore responsabile.
Nella circostanza mi sono chiesto se avesse senso ancora la presenza di Pepito Sbazzeguti in quel novero di talenti e intelligenze, perché non vorrei che mi vestisse a pennello la frase di Flaiano: “L’insuccesso gli ha dato alla testa”.
La risposta che mi do è sì.
Quel nome nasce qualche tempo fa dall’anagramma dietro il quale si nasconde il sindaco di Brescello nel film “Don Camillo monsignore ma non troppo” (1963), nell’ambito della celebre saga cinematografica tratta dai racconti di Giovannino Guareschi.
Giuseppe Bottazzi, alias Gino Cervi, sceglie quel nome scritto sul retro della schedina, per nascondere non solo che ha osato giocare al totocalcio, ma che ha pure vinto. E tanto.
Il rossore di cui è preda non ha più niente a che fare con il fervore ideologico, essendo invece un tuttuno con la vergogna.
Vergogna per uno che ha legato il suo destino politico ed esistenziale all’emancipazione del popolo nel nome della giustizia e che ora si trova scandalosamente borghese, cioè individualista, nel desiderio di utilizzare per sé quel denaro.
Pepito Sbazzeguti, dunque, continua ad essere valida chiave di lettura di una politica (e forse di un tempo) smarrita in una deriva di orizzonti e interessi personali che pare inarrestabile. E così facendo finisce tragicamente per contraddire la propria stessa radice semantica: Polis. Oppure, se si preferisce, per segare il ramo sul quale siede.
Ferraraitalia dà la possibilità a Pepito Sbazzeguti di continuare ad essere, purtroppo, attuale e di continuare ad esserlo, come scrive Fiorenzo Baratelli, unendo ragione e passioni. La lezione che Pepito fa sua è in fondo quella di Edmondo Berselli e dell’irresistibile ironia con la quale scriveva di politica. Un modo apparentemente leggero, non razionale appunto, che però era capace di girare al largo dalla noia di una politica ridotta, e spesso descritta, come un vuoto e mortale bla bla.
Così, forse, più persone potrebbero riprendere interesse, e magari pure divertirsi leggendo. Il che in una democrazia che va pericolosamente e progressivamente vuotandosi di contenuti, senso, interesse e partecipazione, non sarebbe male. E non sarebbe male che in tanti, da semplici cittadini continuassero ad esserlo riprendendo in mano la matita elettorale e ad usarla con meno fretta, perché nel frattempo si è diventati più esigenti, critici e liberi, in fatto di idee e opinioni. E non ci si accontenta più dei quattro salti in padella preparati durante campagne elettorali sempre più nelle mani dei pubblicitari – poche cose perché la gente non capisce – o precotti altrove.
C’era della pedagogia nella leggerezza di Berselli e la sua è stata una lezione seria.
E così siamo giunti al terzo merito del direttore responsabile.
Infine la linea editoriale di Ferraraitalia. O forse sarebbe meglio dire la non linea, visto che Sergio non credo abbia mai chiesto ad alcuno di scrivere o non scrivere certe cose.
Eppure, proprio ciò che sembra essere un’assenza si rivolta in una presenza solida e radicata.
Ferraraitalia è la sola redazione che conosca che come linea editoriale non ha una posizione o un principio organizzativo, ma un valore: la libertà di opinione ed il suo massimo rispetto in un incontro libero e civile fra idee e persone.
Quarto merito di Sergio Gessi, cui dico ancora grazie.

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ACCORDI
il brano musicale
di oggi

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta…

(per ascoltarlo cliccare sul titolo)

Vladimir Vysotsky, Istruzioni prima di un viaggio all’estero

 

Vladimir Vysotsky (25 gennaio 1938 – 25 luglio 1980).
Cantautore russo. Visse in pieno periodo sovietico e venne censurato dal regime. Proprio grazie a questo fatto divenne simbolo dell’opposizione e del dissenso. Nel 1961 scrive le sue prime canzoni che diventano subito famose in tutta Mosca. All’attività ufficiale di attore, affianca quella di poeta e cantautore: ma le sue composizioni, ritenute dal regime troppo scomode, vengono dapprima attaccate dalla stampa, quindi complessivamente ignorate. Nel 1967 conosce l’attrice francese Marina Vlady che sposa l’anno seguente. Scrive oltre 500 canzoni; incide i suoi dischi all’estero, in Francia e Canada, quando – dopo il ’75 – gli viene concesso il passaporto in quanto marito di una cittadina straniera. Ignorato e boicottato dal regime, ma sempre più amato dal popolo russo, diventa il poeta più popolare del paese malgrado di lui non sia mai stato pubblicato, in patria, nemmeno un verso.
A partire dal 1987 le sue canzoni – registrate dal vivo dallo stesso Vladimir – vengono incise su CD.
Un infarto lo stronca nella notte del 25 luglio 1980.

Vladimir Vysotsky: ufficialmente un grande attore.
In verità uno straordinario poeta, ma i cui versi non vengono stampati perché censurati dalle autorità sovietiche. E quindi Vysotsky viene obbligato a imbracciare la chitarra e cantare, cantare, cantare per far passare le sue parole di orecchio in orecchio per tutta l’URSS.
Grazie a cassette registrate fortunosamente, la voce profonda, infiammata e dolente di “Volodja” Vysotsky diventa la voce di tutti coloro che si oppongono e dissentono dal conformismo di regime. Come De Andrè, cantò i perdenti che non si arrendono, gli sconfitti indomiti, gli idealisti disillusi.
Come un bluesman la sua vita è fatta di dissipazione e disperazione: pur ignorato e boicottato diventa il poeta più popolare del suo paese, senza che di lui venga mai stato stampato un singolo verso.
La notizia della sua scomparsa viene taciuta dalla stampa ufficiale, ma il grido ‘Volodja è morto!’ rimbalza nelle metropolitane e nelle strade di Mosca. Quasi un milione di persone seguono il suo funerale, e ancora oggi sulla sua tomba non mancano mai fiori e pensieri.
Sentieri selvaggi, uno dei più importanti ensemble italiani di musica classica contemporanea diretto da Carlo Boccadoro, ha invitato Eugenio Finardi a unirsi a loro per un progetto sull’opera del grandissimo cantautore russo Vladimir Vysotsky, le cui canzoni sono state ripensate e trascritte da
Filippo Del Corno, compositore tra i più affermati delle ultime generazioni.
Nasce così il progetto Il Cantante Al Microfono, che debutta live con grandissimo successo al Teatro dell’Elfo di Milano il 21 maggio 2007, ed è ospite del Festival della Letteratura di Mantova nel settembre dello stesso anno. A dicembre 2007 Finardi e Sentieri selvaggi entrano in studio per registrare il disco, prodotto da Velut Luna e distribuito da Egea Distribution.
Il cd Il Cantante Al Microfono getta un ponte tra la canzone d’autore e la musica classica contemporanea partendo dal grande attore, poeta e cantautore russo Vysotsky, tragicamente scomparso nel 1980, che capì e cantò l’anima vera del suo popolo e perciò fu duramente osteggiato dal regime sovietico. La sua musica accompagna con intriganti melodie, ora dal sapore balcanico, ora dai toni orientaleggianti, ora ricalcando antichi tempi di valzer, i testi acutissimi e graffianti. Dal corpus delle sue oltre 500 canzoni Eugenio Finardi e Filippo Del Corno hanno scelto una decina di titoli fortemente rappresentativi della tensione etica, spirituale, politica e dell’ironia
corrosiva che anima il lavoro di Vysotsky. Le canzoni, già tradotte in italiano da Sergio Secondiano Sacchi, sono state orchestrate per l’ensemble strumentale Sentieri selvaggi dallo stesso Del Corno, in una versione che mette in luce l’altissima qualità poetica e musicale dei versi di Vysotsky e permette il pieno dispiegamento della straordinaria potenza interpretativa di Eugenio Finardi.
E’ infatti diverso tempo che Finardi affianca alla sua attività di protagonista del rock d’autore italiano un approfondito e rigoroso lavoro di ricerca vocale, che lascerà stupiti chi non conosce il percorso che l’ha portato dal fado, al suo amato blues, fino alla classica contemporanea. Raffinatissima la grafica curata dallo Studio Convertino. Un progetto insomma che si sposa in modo perfetto con la linea produttiva che da sempre Velut Luna propone: originalità in proposte artisticamente e tecnicamente della massima qualità.

[fonte: http://www.youtube.com/watch?v=vWGZBg5XcVM]

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IMMAGINARIO
la foto
del giorno

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città e i suoi abitanti.

La garritta di San Giorgio (foto FeDetails) – cliccare sull’immagine per ingrandirla

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La garritta di San Giorgio (foto FeDetails)