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INVITO All’INCONTRO SUL TEMA:

“L’eterno ritorno al mito della caverna”
Mercoledì 8 novembre alle ore 17,30
presso il Cinema San Benedetto
Ferrara

“Aepocalisse. La crisi ecologica come sfida” è l’iniziativa organizzata dal Dipartimento di Studi Umanistici di Unife per affrontare la questione ecologica da diversi punti di vista, dalla rassegna cinematografica al dibattito aperto.

Un ciclo di appuntamenti per raccontare lo sforzo di conoscere, comprendere e ripensare il proprio tempo e il proprio territorio. Per costruire un dialogo genuino, condiviso e duraturo tra sapere scientifico, sviluppo economico e società civile. Lo si farà chiamando in causa le multiformi prospettive che animano la ricerca del Dipartimento di Studi Umanistici, e cercando di coinvolgere la comunità attraverso il linguaggio stimolante e universale del cinema.

Ogni appuntamento è articolato in due momenti.
Il primo vede la proiezione di un documentario preceduta da una presentazione legata al macrotema “questione ecologica”.
A partire dai temi sollevati dalla proiezione, il secondo momento è un approfondimento scientifico-interdisciplinare coinvolgendo le diverse competenze del Dipartimento di Studi Umanistici e alcune autorevoli voci esterne, prime fra tutte le associazioni che operano sul territorio.

Le giornate di studi abbinate alle proiezioni avranno carattere itinerante, ospitate in luoghi simbolici della città e del territorio.
L’evento fa parte della rassegna gratuita “Unife per il Public Engagement”.

PROGRAMMA DEI PROSSIMI INCONTRI

8 novembre
🕕 h. 17.30
📍 Cinema San Benedetto (via Don Tazzoli 11)
🏛️ L’eterno ritorno al mito della caverna

22 novembre
🕕 h. 18.00
📍 Palazzo Turchi di Bagno (Corso Ercole I d’Este 32)
🌐 L’epoca globalizzata del Wasteocene

7 dicembre
🕕 h. 18.00
📍 Teatro Ferrara Off (viale Alfonso I d’Este 13)
🚸 Formazione e futuro nelle terre fragili

🕕 Data e orario in via di definizione
📍Palazzo Bellini (Comacchio, via Agatopisto 5)
⌛ Nascita di un’epoca: l’antropocene come tappa storica o costruzione ideologica?

COME PARTECIPARE
Tutti gli incontri e le proiezioni sono gratuiti. Registrazione all’ingresso.

PER SAPERNE DI PIU’
Riproduciamo un intervento di Guido Barbujani scritto nel 2012 per il Sole 24 ore

L’apocalisse? C’è già stata

di Guido Barbujani

Ammettiamolo: anche i più scettici di noi qualche pensierino sull’imminente fine del mondo l’hanno fatta. Abbiamo naturalmente respinto l’idea come radicalmente infondata, pregustando la soddisfazione, il 22 del mese, di dire (a chi poi? Pochi ammettono di aver creduto alla profezia dei Maya): «Visto?».
Ma c’è poco da fare: la fine del mondo affascina, se non come esperienza diretta almeno al cinema e nelle chiacchiere quotidiane. Naturalmente fare di ogni erba un fascio non aiuta: ci sono molte sfumature, accompagnate da livelli variabili di senso di colpa. Si sentiva perciò il bisogno di un catalogo ragionato delle fini del mondo possibili, e ci ha pensato Telmo Pievani,(La fine del mondo.Guida per apocalittici perplessi) che già in passato aveva provato a spiegare come mai tendiamo così cocciutamente a credere all’incredibile (Girotto, Pievani, Vallortigara, Nati per credere, Codice). Nella preistoria, chi non sapeva rapidamente prevedere le mosse degli altri aveva la sorte segnata; è probabile che, sotto questa pressione, il nostro cervello si sia specializzato a riconoscere intenzioni: sia dove ci sono (nel comportamento degli uomini e degli animali) sia dove non ci sono, per esempio nei fenomeni naturali, attribuiti di volta in volta a volontà benefiche o malefiche.
La fine del mondo si presenta secondo cinque modalità principali. C’è la catastrofe, che scioglie definitivamente il dramma; il disastro, frutto della cattiva stella; la nemesi, cioè il meritato castigo; l’estinzione, di un’intera specie o di un suo gruppo; e infine l’apocalisse, una fine che è anche una rivelazione. Come si vede, cinque finali diversi più per il modo in cui li interpretiamo che per quello in cui si manifestano. O magari non si manifestano: nonostante i molti annunci, finora si è trattato solo di falsi allarmi. Ma di questa tassonomia Pievani si serve per andare più a fondo. Ci racconta quanto l’idea di catastrofe sia stata presa sul serio, anche troppo, da naturalisti che spiegavano le grandi estinzioni del passato con ripetuti diluvi universali, poi sia caduta in discredito, e infine rivalutata, con l’emergere di dati scientifici che dimostrano come grandi disastri naturali siano effettivamente avvenuti, anche se di rado; ma quando sono avvenuti hanno causato profondi cambiamenti nel mondo biologico.
Intorno al 99% delle specie comparse sulla terra, animali e vegetali, si è estinto. Sono stime per forza di cose approssimative, ma servono a darci un’idea di quanto siamo piccoli: la nostra specie arriva all’ultimo momento, dopo quasi quattro miliardi di anni di vita sulla terra. Centomila anni fa l’espansione dall’Africa dell’uomo anatomicamente moderno,è stata anch’essa un evento catastrofico per molti nostri parenti, cioè per quelle forme umane arcaiche dell’Europa e dell’Asia scomparse in sospetta coincidenza col nostro arrivo (dall’uomo di Neanderthal all’ultimo della serie, l’uomo di Denisova, del cui Dna sappiamo molto, ma di cui ignoriamo l’aspetto perché ne conserviamo solo un dente e una falangetta). Ma anche, molto prima, l’estinzione dei grandi rettili è stata frutto di una catastrofe, quella da cui il viaggio di Pievani prende le mosse. Sessantacinque milioni di anni fa un asteroide ha colpito la terra nel golfo del Messico, mettendo in moto una catena di cambiamenti climatici che hanno consegnato il pianeta a piccole creature dal grande futuro, gli antenati degli attuali mammiferi.
Due messaggi dunque: niente paura, la fine del mondo c’è già stata, più di una volta, e qualcuno se l’è sempre cavata. E poi la fine del mondo è necessaria, se no il nuovo mondo non ce la farebbe ad affermarsi. Il secondo messaggio può irritarci, perché ci fa sentire con chiarezza i nostri limiti, ma può anche ispirarci pensieri diversi. Una terra senza di noi era stata già immaginata da Giacomo Leopardi, concorde in questo con Charles Darwin: siamo creature speciali, ma l’universo non è stato edificato intorno a noi, e riuscirà a cavarsela anche quando l’umanità non ci sarà più. Piuttosto che sentirci smarriti di fronte a questa eventualità, si può provare una forma di orgoglio, constatando quanto preziosa sia la nostra presenza sulla terra, visto che non era affatto scontata. E questo messaggio Pievani lo affida, nell’ultima pagina, ai versi della grande poetessa Elena Szymborska: «Sono quella che sono | un caso inconcepibile | come ogni caso».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Telmo Pievani, La fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi, il Mulino, Bologna, pagg. 188, € 15,00

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UNIVERSITA’ DI FERRARA

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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