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“Il fuoco è l’elemento ultra-vivente. È intimo ed è universale. Vive nel nostro cuore. Vive nel cielo. Sorge dalle profondità della materia e offre sé stesso come un amore. Oppure può riscendere nella sostanza e nascondersi lì, latente e represso, come l’odio e la vendetta. Tra tutti i fenomeni, è davvero l’unico a cui possono essere attribuiti così nitidamente i valori opposti del bene e del male. Brilla in Paradiso. Brucia all’Inferno. È dolcezza e tortura […]. Può contraddirsi: dunque, è uno dei principi per comprendere l’Universo.”
Gaston Bachelard, estratto da La psicoanalisi del fuoco, 1938

Grande attesa al Teatro Comunale “Claudio Abbado” di Ferrara per la prima nazionale di The Tree (Fragment of poetics on fire) di Carolyn Carlson, venerdì 14 ottobre alle ore 20.30, nell’ambito del Festival di Danza Contemporanea 22.

L’icona della danza porta nella città estense la sua ultima meravigliosa creazione, The Tree, una riflessione poetica sull’umanità e la natura sull’orlo del naufragio quasi inevitabile, che, dopo Eau, Pneuma e Now, chiude il ciclo delle coreografie ispirate a Gaston Bachelard (1884-1962), grande filosofo della scienza francese.

Partendo da Des Fragments d’une poétique du feu, opera postuma di Bachelard (1988), la Carlson ha scelto il prorompente potere poetico e simbolico delle fiamme e, più in generale, la complessità degli elementi naturali come originale ispirazione per la sua nuova creazione. Si rinnova poi la collaborazione con il light designer Rémi Nicolas (dopo Hidden, Inanna e Dialogue with Rothko), che per The Tree crea paesaggi immaginari che invitano a un immersivo viaggio interiore e alla contemplazione. L’artista visivo Gao Xingjian sublima le scene con i suoi dipinti astratti realizzati con la china e proiettati in diverse sequenze.

Nell’unione tra il virtuosismo dei ballerini e la visione onirica di Carolyn Carlson, The Three è una dichiarazione d’amore potente e vitale nei confronti di una natura sull’orlo del collasso, nella speranza che, come una Fenice, possa rinascere dalle proprie ceneri. Nulla di più attuale, peraltro, e che sarà possibile solo se l’Uomo ridisegnerà propriamente il proprio ruolo di ospite della Terra.

“Non siamo estranei all’Universo; così come i cambiamenti delle stagioni governano ogni creazione, noi siamo semi che si evolvono in cicli, nel ritmo”, spiega Carolyn Carlson. Siamo un tutt’uno, aggiungerei, una fusione cosmica che ci rende inseparabili dalla Natura stessa, che necessita di profonda empatia e rispetto.

“I dipinti di The Tree”, continua Carolyn,sono tante visioni metaforiche della natura, effimere, misteriose e intangibili, poste su diversi livelli, scoperte a poco a poco …, con l’idea di fondo che anche noi, come la Natura, ci trasformiamo. Questi sogni a occhi aperti vogliono ricordarci i paesaggi e figure mitologiche nordiche dei secoli passati, in particolare quelli dell’epopea finlandese Kalevala, fiorita a partire da una ricchissima tradizione orale le cui radici affondano in epoca preistorica.

Costumi bianchi, neri, l’energia di corpi scolpiti, braccia scattanti che paiono i rami di alberi, una musica potente che avvolge e dona un ritmo sostenuto a respiri che volgono all’unisono con una natura ferita che aspetta e che non ha più tempo.

I nove interpreti rappresentano gli istinti primari da cui ci siamo irrimediabilmente e terribilmente allontanati: la consapevolezza senza tempo dell’armonia incessante nel vuoto lasciato dai nostri sospiri, i fuochi interiori che alimentano e consumano l’anima umana, la fiamma universale dell’amore. Siamo intimamente e universalmente legati alla natura e agli elementi, siamo gli alberi, il vento, l’acqua, la terra, l’aria, le stelle, il fuoco, la cenereSiamo l’armonia del tutto”. E in pace e armonia ci apprestiamo a vedere questo immenso spettacolo.

Teaser video

Crediti artistici – The Tree (Fragments of poetics on fire) – Carolyn Carlson Company

Coreografia e Scenografia: Carolyn Carlson, Assistente coreografica: Colette Malye, Interpreti: Chinatsu Kosakatani, Juha Marsalo, Céline Maufroid, Riccardo Meneghini, Isida Micani, Yutaka Nakata, Alexis Ochin, Sara Orselli, Sara Simeoni; Musiche: Aleksi Aubry-Carlson, René Aubry, Maarja Nuut, K. Friedrich Abel; Luci: Rémi Nicolas, assistito da Guillaume Bonneau; Proiezioni pittoriche: Gao Xingjian; Oggetti di scena: Gilles Nicolas e Jank Dage; Costumi: Elise Dulac e Atelier del Théâtre National de Chaillot. Grazie a Chrystel Zingiro; Produzione: Carolyn Carlson Company, coproduzione : Théâtre National de Chaillot, Théâtre Toursky Marseille, Ballet du Nord / Centre Chorégraphique National Roubaix Hauts-de-France, Equilibre Nuithonie Fribourg.

Carolyn Carlson è nata in California e si definisce una nomade. Dalla Baia di San Francisco all’Università dello Utah, dalla compagnia di Alwin Nikolais a New York a quella di Anne Béranger in Francia, dall’Opéra di Parigi al Teatrodanza La Fenice di Venezia, dal Théâtre de la Ville a Helsinki, dal Ballet de l’Opéra di Bordeaux al Cartoucherie di Parigi, dalla Biennale di Venezia a Roubaix, è una viaggiatrice instancabile, sempre in cammino per sviluppare e condividere il suo universo poetico. Approdata in Francia nel 1971, con Rituel pour un rêve mort, firma il suo manifesto poetico, con un approccio che da allora non ha più abbandonato: una danza volta alla filosofia e alla spiritualità. Al termine “coreografia”, preferisce quello di “poesia visiva” per descrivere il suo lavoro. Ha realizzato oltre cento pièce, molte delle quali costituiscono le pagine più importanti della storia della danza, da Density 21,5 a The Year of the horse, da Blue Lady a Steppe, da Maa a Signes, da Writings on water a Inanna. Nel 2006, la Biennale di Venezia le ha conferito il primo Leone d’Oro mai assegnato a un coreografo. È Comandante delle Arti e delle Lettere e Ufficiale della Legion d’Onore. Fondatrice dell’Atelier de Paris-Carolyn Carlson alla Cartoucherie nel 1999, è stata, con la sua Carolyn Carlson Company, artista associata al Théâtre National de Chaillot dal 2014 al 2016. Nel 2017, dà vita a nuove forme di creazione, tra cui una mostra e un lungometraggio danzato.

Crediti fotografici: foto di scena © Frédéric Iovino / foto ritratto © Jean-Louis Fernandez 

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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