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Non poteva mancare nel nostro calendario dell’avvento una finestra sui diversi usi tradizionali di festeggiare il Natale in Italia e in Europa.
Abbiamo già parlato della tradizione del presepe, che a Napoli è diventato una vera e propria arte. Non si può non citare il pandoro di Verona, in realtà evoluzione ottocentesca del dolce tradizionale veronese chiamato ‘Nadalin’, o il panettone milanese: nel passato veniva sfornato la sera della Vigilia di ritorno dalla messa di mezzanotte e ne esistevano numerose varianti, che potevano contenere miele, uvetta, castagne, fichi, noci, nocciole e mele. Per molto tempo in Lombardia, soprattutto nelle zone montane di antica influenza tedesca, è stata portata avanti l’usanza di organizzare fiaccolate per festeggiare il ritorno della Luce: in alcune zone erano i bambini mascherati da Re Magi a portare per le strade del paese una stella colorata fatta di cartone e di legno e illuminata dall’interno, al loro passaggio i cantori intonavano canti tradizionali del Seicento accompagnati da violini e strumenti a corda.
Anche l’Emilia Romagna è ricca di tradizioni popolari natalizie: la sera della Vigilia il capofamiglia poneva nel camino un ceppo, possibilmente di quercia, e accendeva il camino recitando un Pater noster, poi l’intera famiglia vegliava fino alla messa. Per ingannare l’attesa si giocava a carte, si ascoltavano i racconti dei più anziani e si faceva l’’arimblén’, una specie di pesca per indovinare cosa avrebbe riservato il nuovo anno in arrivo. A mezzanotte, uscendo di casa, si lasciavano la porta socchiusa e tre sedie vicino al focolare per permettere alla Sacra famiglia di trovare ospitalità e scaldarsi davanti al fuoco. Curiosa anche la tradizione di indossare una camicia nuova il giorno di Natale, cucita appositamente dalle donne di casa, ma non durante le festività perché si credeva portasse sfortuna: una leggenda narrava che la Vergine non avesse di che coprire Gesù e volesse tessere una camicia con i propri capelli, chiese quindi a una filatrice che passava nei pressi della capanna, ma la donna rifiutò di tagliare i suoi capelli donandole invece i lini più pregiati, per questo non si poteva filare compiendo il gesto che quella donna generosa rifiutò.
Spostandoci al di là delle Alpi, un’usanza rivelatrice di una devozione vicina alla vita quotidiana è il ‘Kindelwiegen’, la ‘ninna nanna del Bambino’, sviluppatasi attorno al quattordicesimo secolo e diffuso in tutte le chiese tedesche già nel quindicesimo. Cullando il bambinello i fedeli potevano esprimere la propria devozione anche in maniera fisica: mentre muovevano la culla intonavano canti e, come era usanza presso i popoli germanici nei giorni di festa, danzavano intorno a essa. In molti paesi le credenze più originali riguardavano la notte della Vigilia. Era per esempio un’idea diffusa che a mezzanotte agli animali fosse concesso il dono della parola, a cambiare era il destino di chi li ascoltava: in Svizzera formulavano auspici o predizioni a chi li ascoltava, mentre in Gran Bretagna e fra le Alpi tedesche sentirli parlare era un cattivo presagio.
Caratteristico dell’Inghilterra è lo scambio di biglietti di auguri, un’abitudine che si dice sia iniziata nel dicembre del 1843, quando sir Henry Cole chiese a un amico pittore di dipingere piccole cartoline da portare ad amici e parenti: da allora è diventata una tradizione irrinunciabile per tutti i sudditi di Sua maestà. Inglese è anche l’usanza dei cantori di Natale narrati anche da Charles Dickens, che la sera della Vigilia percorrevano le nebbiose strade londinesi e non solo cantando sull’uscio delle case e facendo gli auguri, ricevendo in dono qualche sterlina.
In Grecia la mattina di Natale i bambini trovavano accanto al letto dolci, un bastone e una bisaccia, con questi oggetti andranno di casa in casa a portare i propri auguri in cambio di piccole somme o leccornie. A pranzo si usa mangiare il Kristofsomo, il ‘pane di Cristo’: un pane speziato e farcito di uvetta, noci e pinoli dalla preparazione lunga e complicata, è considerato sacro dalla chiesa greca ortodossa e si dice che assicuri benessere per un anno intero alla famiglia che lo consuma. Le celebrazioni si chiudevano nel pomeriggio con grandi falò accesi nelle piazze attorno ai quali la popolazione intonava canti tradizionali.
Come dimostrato da questi pochi accenni, ovunque il festeggiamento del Natale era il punto culminante dell’inverno, un’occasione per riunire la famiglia e perpetuare tradizioni famigliari o popolari dal sapore antico. Una dimensione intima e raccolta che negli ultimi anni si sta perdendo nella moderna frenesia della corsa ai regali.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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