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100 anni con Lorenzo Milani. Un incontro per conoscerlo meglio. Attraverso le sue lettere.

Alla canonica di Sant’Agostino di Ferrara si è tenuto un interessante incontro dal titolo “100 anni con Lorenzo Milani… un cammino che continua”.
Di fronte ad una platea di un centinaio di persone, sono intervenuti Nicola Martucci, presidente provinciale Azione Cattolica, Cristiano Zagatti, sindacalista CGIL ex segretario della Camera del Lavoro di Ferrara, Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara e presidente di “Migrantes” e  Luisa Ghezzo, insegnante.

Il centenario della nascita del priore di Barbiana incrocia un altro centenario, la morte di don Giovanni Minzoni di Argenta, assassinato dalle squadracce fascisteSe per Giovanni Minzoni è stata aperta la causa di canonizzazione, per Lorenzo Milani no. Come don Minzoni, anche don Lorenzo è stato un profeta che ha lavorato sulla parola, un anticipatore, un facilitatore, un maestro.

Lettere di Lorenzo Milani, a cura di Michele Gesualdi, prefazione del Cardinale Matteo Zuppi, San Paolo Edizioni, 2023

L’occasione del centenario è per tutti motivo di conoscerlo meglio nella sua autenticità. Don Milani non va citato, ma rilanciato e vissuto.
Qual è la teologia di don Lorenzo?
Ce ne si accorge leggendo alcune sue lettere che sono state condivise durante la serata, perché è vero che tanto è stato scritto su di lui, ma per approfondire il suo pensiero, per capire il vero don Lorenzo credo sia fondamentale la sua corrispondenza, le tante lettere da lui scritte durante la sua breve vita.

La pubblicazione dell’opera omnia del 2017 dei Meridiani Mondadori ha raccolto oltre un migliaio di lettere che si possono dividere in due gruppi: quelle scritte ai famigliari e quelle indirizzate ad un esteso gruppo di corrispondenti. Di quelle lettere, nel 1973, la madre Alice curò una raccolta che ne conteneva 175.
Proprio le parole della mamma ci hanno guidato nella preparazione di questo incontro: “Tanti hanno scritto della durezza, dell’ironia, della spietatezza di mio figlio, uomo e prete e per un verso hanno ragione … voglio che Lorenzo sia conosciuto meglio, che si dica anche della sua allegrezza. Mi preme che si conosca il prete, quel sacerdote unico che Lorenzo è stato … mi preme che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa; e che anche la Chiesa renda onore al lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire, ma che gli ha dato il sacerdozio e la forza di quella fede che resta per me il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà il prete che Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche il resto.

Don Lorenzo ha scritto un solo libro, Esperienze Pastorali, perché il più famoso Lettera ad una professoressa è frutto della scrittura collettiva della Scuola di Barbiana. Anche il volume L’obbedienza non è più una virtù è la raccolta dei documenti del processo di don Milani in riferimento alla lettera che scrisse ai cappellani militari.

Il primo ospite, il professor Nicola Martucci, espone brevemente il contesto storico in cui visse don Lorenzo: nasce il 27 maggio del 1923 a Firenze, dove entra in seminario nel novembre del 43 e viene ordinato prete a luglio del 1947. L’epoca in cui don Lorenzo matura la sua vocazione e sceglie di perseguirla corrisponde al termine del secondo conflitto mondiale e alla successiva ricostruzione nazionale: un tempo in cui la chiesa vive, grazie al suo ruolo peculiare in tale ricostruzione (presenza nell’assemblea costituente, partito guida del paese di matrice cattolica la Democrazia Cristiana, presenza capillare sul territorio grazie al sistema delle parrocchie e alla vitalità dell’associazionismo laicale) il sogno di una nuova cristianità. Questo progetto di una società fondata sui valori cristiani e caratterizzata da una cultura dominante che prende spunto dagli stessi valori si infrange sulla realtà dei mutamenti sociali che presto investono anche l’Italia.

Con il processo di modernizzazione e sviluppo industriale crescono, soprattutto in certe zone del paese e in determinati ceti sociali, benessere e reddito. Don Lorenzo dal 7 dicembre del 1954 viene mandato “in esilio” a Barbiana dal cardinale Florit. Qui decide di prendersi cura dei poveri figli degli abitanti del piccolo borgo sulle montagne fiorentine.
Il 28 ottobre del 1958 è eletto papa Giovanni XXIII, che da pontefice inatteso e visto dai più come “di passaggio”, si rivela il grande visionario che decide e da avvio al Concilio Vaticano II, convinto, grazie alla sua esperienza “cattolica” di Chiesa che fosse necessario un “aggiornamento” nella vita della Chiesa e della sua azione pastorale, e che fosse oramai improcrastinabile un cambio di paradigma nella relazione fra la Chiesa e il mondo.
Giovanni XXIII inizia un processo che porta la Chiesa universale a guardarsi allo specchio, a cercare le sue origini per chiarire la propria identità e potere così dialogare al meglio con il mondo nel quale vive e che rappresenta luogo di manifestazione e di salvezza di Dio.

Durante l’incontro vengono citati alcuni  contemporanei di don Milani e a lui legati, tra i quali un altro prete “scomodo”, don Primo Mazzolari. Cremonese, calato a pieno nel suo tempo. Don Mazzolari visse il suo ministero mettendo al centro temi di grande attualità e pregnanza evangelica come l’amore verso i poveri, l’attenzione ai “lontani”, la vita e l’identità della Chiesa, la pace.
Si da lettura della lettera indirizzata a don Piero, in cui Lorenzo risponde all’amico prete che per lui era impossibile, come gli avevano chiesto, difendere i padroni industriali, mentre i lavoratori erano privi di diritti. Porta l’esempio di uno dei suoi ragazzi che ha cominciato a lavorare a dodici anni nell’industria tessile a Prato, senza assicurazione, esposto agli infortuni, con un orario di lavoro di dodici ore.

Il sindacalista Cristiano Zagatti parla di una sua passata esperienza in cui ha incontrato per diverso tempo gli studenti delle scuole superiori. In quelle occasioni rimase molto stupito nel vedere l’ignoranza dei ragazzi sull’esistenza dei diritti dei lavoratori e sulla possibilità di espressione nei luoghi di lavoro.
Per spiegare loro come affrontare il mondo una volta fuori dalla scuola, utilizzò argomenti concreti, partendo dal vissuto dei ragazzi stessi: riflessioni sull’organizzazione del loro istituto (i rappresentanti degli studenti e dei genitori, ad esempio) o la programmazione della rete dei mezzi di trasporto a disposizione degli studenti e così via. Così come si affrontano i problemi scolastici attraverso i rappresentanti di istituto, il sindacato è luogo in cui l’unione è il mezzo per affrontare i problemi dei lavoratori.

L’intervento del vescovo Gian Carlo Perego è introdotto dalla lettura della lettera ai sacerdoti della Diocesi fiorentina, indirizzata, per conoscenza, anche al Cardinale Florit. In questa lettera, scritta a quattro mani con don Bruno Borghi (che sarà il primo prete operaio italiano), i due prelati esprimono profondo dissenso per le dimissioni non motivate di mons. Bonanni dal suo incarico di rettore del Seminario Maggiore di Firenze.

Il vescovo Perego, riprendendo il contesto già spiegato da Martucci, ricorda  alcuni testimoni chiave del momento storico in cui operò don Milani: Giorgio La Pira, allora sindaco di Firenze, don Primo Mazzolari, il presbitero intellettuale ed editore Ernesto Balducci e don Bruno Borghi. Queste persone, nonostante la Chiesa istituzionale fosse composta da cardinali non proprio aperti a quello che il Concilio Vaticano andava facendo, Costituivano nella Firenze di quel tempo un laboratorio di pensiero e di apertura al dialogo che dovrebbe vivere anche oggi: la capacità di coinvolgere i laici.  Il vescovo Perego porta come esempio il sindaco La Pira, che nella costruzione di nuovi quartieri di Firenze, si preoccupava di edificare prima i centri di aggregazione, di cultura e i servizi, poi le case, progettate a non più di quattro piani, per favorire il senso di comunità tra le famiglie.

Nell’ultimo intervento Luisa Ghezzo, parla del progetto Erasmus, a cui ha partecipato a Parigi, nel 2002. Di primo acchito ci si potrebbe chiedere come questa esperienza possa essere inerente alla metodologia di Don Lorenzo Milani. Leggendo però le lettere, ci si rende conto come Il priore di Barbiana, insegnando ai suoi ragazzi le lingue europee per mandarli in viaggi studio-lavoro nelle città d’Europa e non solo, sia stato un precursore del progetto Erasmus.

Il nome del programma deriva dall’umanista e teologo olandese Erasmo da Rotterdam (1466/69-1536), che viaggiò diversi anni in tutta Europa per comprenderne le differenti culture. L’idea di permettere lo scambio tra studenti europei ebbe origine nel 1969, grazie all’intuizione dell’italiana Sofia Corradi (soprannominata “Mamma Erasmus“), pedagogista e consulente scientifico della Conferenza permanente dei rettori delle università italiane: questo ruolo le permise di far conoscere la sua idea in ambito accademico e istituzionale. Oggi il progetto ha consentito ad oltre mezzo milione di studenti italiani di visitare stati all’interno e all’esterno dell’Unione Europea.

Luisa Ghezzo condivide alcune lettere inviate da Don Milani alla professoressa Elena Brambilla, e una al maestro Mario Lodi, pedagogista e insegnante di scuola elementare che ha ridisegnato il valore educativo della scuola cambiandone aspetti e metodologie.
Elena Pirelli Brambilla, facoltosa amica ed estimatrice di don Milani e della sua scuola, appartenente al gruppo di cattolici progressisti con cui i Milani erano entrati in contatto, per affinità di interessi culturali e di impegno sociale, è docente di Lettere e filosofia presso l’Università degli Studi di Milano negli anni ’60, moglie dell’amministratore delegato della famosa società Pirelli.

Nella prima lettera Don Milani chiede a Elena se può regalare ai ragazzi della scuola, un corso su giradischi di lingua tedesca. Nella seconda, datata 4 giugno 1963, Don Lorenzo sta organizzando il viaggio a Parigi di 5 ragazzi e chiede ad Elena se ha conoscenze di persone francesi che possano parlare in francese con i ragazzi.
Nella terza lettera dell’ 11 settembre 1966, Don Milani racconta ad Elena che finalmente riesce a far partire per l’Inghilterra Carla, la prima ragazza della scuola di Barbiana ad andare all’estero.

Luisa Ghezzo spiega poi che proprio nel 2023 cadono i vent’anni dalla sua partecipazione al Progetto Erasmus. All’inizio del mese di agosto si è tenuto in Sardegna un incontro con gli studenti che erano con lei a Parigi nel 2002. Ha ritrovato i suoi amici di allora cui ha chiesto un commento sul significato che ha avuto per loro vivere un anno in Erasmus. Ne è uscito un breve documentario intitolato “Se tutti facessero l’Erasmus non ci sarebbe la guerra”, una frase pronunciata da una sua compagna di studi irlandese molto simile alla conclusione della lettera indirizzata dai ragazzi di Barbiana a Mario Lodi.

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Luisa Ghezzo

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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